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lunedì 19 aprile 2010

l'arresto degli operatori di Emergency

Cosa c'è davvero dietro l'arresto degli operatori di Emergency

Emanuele Giordana Lettera22


da Lettera22.it. La recente vicenda di Emergency scoppia in un momento delicatissimo nei rapporti tra Kabul e Washington e, di riflesso, con tutti gli alleati occidentali dell'Afghanistan. Un momento in cui la corda è tesa, la tensione è alta, gli screzi all'ordine del giorno. I colpi bassi pure

L’esercito americano ha chiuso in Afghanistan il fortino nella valle di Korangal. In termini di vite umane era costato 42 soldati e centinaia di feriti. Molto sforzo per nulla perché la valle nella provincia di Kunar, desertica e spopolata, restava e resta saldamente in mano talebana nonostante l’impiego di risorse materiali e umane. Non è l’unico avamposto sigillato: nel 2007 e nel 2008, spiega il New York Times, due fortini e una base satellitare sono stati chiusi nella valle di Waygal in Nuristan e nel 2009 due ne son stati chiusi, sempre in Nuristan, nell’area di Kamdesh. Con la base di Korangal sono state abbandonate anche altre cinque basi satellitari. Qualcuno [oltre ai giornali americani] se n’è accorto?
La fortissima attenzione che abbiamo sul caso del personale di Emergency, giustificata dall’indignazione per il fatto che si tratta di italiani, umanitari e volontari probabilmente coinvolti in una oscura manovra, rischia di farci dimenticare la cornice in cui si dipana il quadro della vicenda. E in questo caso la cornice è quanto mai parte del quadro e lo condiziona pesantemente. Oltre la guerra, che ne è ovviamente lo sfondo naturale.
La recente vicenda di Emergency scoppia in un momento delicatissimo nei rapporti tra Kabul e Washington e, di riflesso, con tutti gli alleati occidentali dell’Afghanistan. Un momento in cui la corda è tesa, la tensione è alta, gli screzi all’ordine del giorno. I colpi bassi pure. Un quadro aggravato, come racconta la vicenda dell’avamposto di Korangal, da un discreto nervosismo che caratterizza i manovratori di Isaf Nato, il generale McChrystal in particolare, cui spetta il compito di dimostrare, entro sei-otto mesi, che aver portata i 1300 soldati americani del 2001 ai 70mila attuali (più o meno dispiegati e in crescita) è un’impresa con un senso.
Sul piano politico la corda si è sempre più tesa dopo gli attacchi sferrati a giorni alterni a Karzai dalla stampa americana, da mezze dichiarazioni ufficiali o di questo o quell’anonimo funzionario. Infine, quando a fine marzo il parlamento afgano ha bocciato la legge con cui Karzai voleva assicurarsi il pieno controllo di una commissione elettorale, il presidente è letteralmente esploso, coprendo i suoi alleati di insulti e pesantissime accuse. La recente visita di Obama in Afghanistan inoltre ha sgombrato il campo da nubi solo fino a un certo punto tanto che, a inizio aprile, la visita di Karzai a Washington del prossimo 12 maggio sembrava sul punto di saltare. Come insegna l’esperienza, quando la corda politica si tende troppo e quando il presidente si sente nell’angolo, partono i colpi di coda. Difficile escludere che quello contro Emergency non rientri in una strategia per alzare il prezzo: colpire Emergency per parlare a Roma [la nuora] perché, in ultima analisi, Washington [la suocera] intenda.
Sul piano militare la situazione non è meno tesa. Dopo che l’Operazione Moshtarak ha dato la prima spallata in febbraio ai comandi talebani dell’Helmand, ora McChrystal vuole prendere di petto la regione di Kandahar e rendere finalmente sicura la sua capitale. Il nuovo piano strategico è quello di abbandonare avamposti inutili e onerosi concentrandosi sulle aree dove il controllo del governo è debole e inesistente, «proteggendo» gli afgani dai talebani. Una scommessa forte. Ma la turbolenza politica non aiuta. Karzai ha fatto un giro di visite dai capi villaggio della zona [gli «elde» o anziani come si dice in gergo] rassicurandoli sul fatto che nulla si farà in futuro sul piano militare senza il loro accordo. McChrystal è in fibrillazione: deve assecondare due presidenti, il suo e quello afgano, ma fino a che punto? Il generale ha anche un’altra preoccupazione. Nonostante promesse, rassicurazioni e cambio delle regole d’ingaggio, i suoi ragazzi continuano a sbagliare: sparano sulle corriere, ai posti di blocco, lungo le strade come purtroppo avviene in ogni guerra. Nemmeno questo aiuterà un conflitto che, per arrivare a soluzione, ha puntato tutto, per l’ennesima volta, sull’opzione militare. Inevitabilmente prigioniera delle logiche perverse della guerra [vittime civili, consenso in calo, perdite] e di quelle altrettanto minate della politica. Di cui Emergency sembra pagare in parte il conto.

ARTICOLO REDATTO PRIMA DELLA LIBERAZIONE <------------- . -

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