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lunedì 10 maggio 2010

Caro Scajola: cittadino italiano residente in L’Aquila

Caro Scajola
DI : Filippo Tronca


Anch'io ho un problemino con la casa. Lettera di raccomandazione da un cittadino aquilano.

Gentile ed Esimio Dott. Ex-Min.
Onorevole Claudio Scajola,

Chi le scrive è un cittadino italiano, residente in L’Aquila, che in occasione del terremoto del 6 aprile, una sciagura che ci ha colto tutti davvero di sorpresa, ha perso l’unica casa che aveva.
Le scrivo innanzitutto per esprimere la mia personale solidarietà per la spiacevole disavventura che le è capitata, e che le è costata il posto di lavoro.
Come la capisco! Anche io come altri 20 mila post-terremotati, mica bruscolini, siamo in cassa integrazione o siamo diventati disoccupati.
Ma le comuni sciagure servono almeno a rinsaldare il senso di solidarietà, ed è per questo che mi permetto di chiederle un piccolo aiuto.

Prima però devo brevemente rappresentarle la mia personale e difficile situazione ma, la prego di credermi, non lo faccio con l’intento pretestuoso di far fare una brutta figura al mio Paese, né per atteggiarmi a lamentoso e scroccone terremotato meridionale. Anche perché, con un genovese parsimonioso e inflessibile come lei, me ne guarderei bene.
Deve dunque sapere che dopo un anno vivo ancora in un garage che divido con il motozappa di mio cugino. Infatti nel famoso concorso a punti della scorsa estate, insieme a trentamila colleghi senzatetto, non ho messo la crocetta sul progetto C.a.s.e., e ho scelto di ricevere un assegno mensile di 300 euro al mese, nella consapevolezza che patate, cipolle e bottiglie di pomodoro, site anch’esse nel garage di cui sopra, non mi sarebbero bastate per sopravvivere, e anche se avessi scelto di concorrere per un appartamento del progetto C.a.s.e., finito lo spumantino e le masserizie con cui il Nostro Presidente ha riempito la dispensa, non avrei avuto più nulla da mangiare.

Quei pochi soldi che guadagno facendo lavoretti in nero, li devo mettere da parte per pagare il mutuo della mia casa distrutta. E la banca, sugli interessi sospesi, mi ci farà pagare pure gli interessi. Del resto qui anche le banche sono terremotate. Gli ultimi spiccioli li scialo al Gratta e Vinci, per contribuire alla ricostruzione della mia città.
Ma capirà, dopo un anno la convivenza con il motozappa è diventata impossibile. Che vuole, ho un carattere difficile, sono single, e del resto se non lo fossi, non mi troverei in questa situazione, al limite dell’auto-estinzione.
E così, vengo a bomba. Avrei deciso di costruirmi un mezzanino da 180 metri quadri, con superba vista sui gloriosi ruderi della chiesa di Collemaggio, cosa che aumenterà senz’altro il suo valore di mercato.
«Ma ciò è illegale!», osserverà lei esterrefatto. Beh, voglio stupirla: si dà il caso che avrei trovato un astutissimo escamotage. Che vuole, il terremoto aguzza l’ingegno.
Presenterò infatti questa mia dimora temporanea come un’opera d’arte, e precisamente come un monumento che celebra e riproduce in miniatura una palazzina antisismica del progetto C.a.s.e, con tanto di dedica scolpita in una stele di cartongesso, all’ingegner Gian Michele Calvi, il fondatore della nuova L’Aquila. Un esempio di home-sweet-home-art, dove l’elemento umano, nella figura di me medesimo, completa l’installazione abitandola, interpretando in una performance-in-situazione, la vita quotidiana di un terremotato medio.

C’è un problemino, i soldi, che avrà intuito, non mi bastano. Anzi per essere precisi non ho un becco di un quattrino in tasca, e vengo dunque alla richiesta di aiuto.
Leggendo il giornale ho saputo che esiste in Italia un sant’uomo che le avrebbe pagato, a sua insaputa e in forma anonima, buona parte di un suo appartamento di Roma che ora per colpa dei soliti invidiosi e rosiconi, le sta procurando un sacco di problemi. Ecco, questo è un episodio che mi ha colpito molto e che infonde rinnovata fiducia nel buon cuore degli italiani, capaci di solidarietà, per di più fine a sé stessa, e non per vanagloria e smania di protagonismo.
Le chiedo dunque la cortesia di rintracciare questo benefattore per recapitargli il numero di conto corrente della ditta edile presso cui ho intenzione di acquistare il materiale di cui ho necessità. Garantirò ovviamente il suo più rigoroso anonimato, al fine di preservare la purezza caritatevole del gesto. La donazione potrebbe ad esempio essere convertita in caciotte circolari, poi barattate in statuette di Padre Pio, quelle incapsulate dentro sfere di cristallo accessoriate di nevicata, non so se ha presente, e ancora in sardine, esportate in Albania e fatte rientrare in Italia nella forma di profumi taroccati di Dolce&Gabbana, infine convertiti in denaro grazie alla collaborazione di un banchiere travestito da clown, che pagherà la merce al falegname amico mio a sua volta camuffato da bagno chimico.

Lei, gentile signor Scajola, dando una lezione di moralità agli italiani ha affermato: «Lascerò l’appartamento, non posso avere il sospetto di abitare una casa non pagata da me». Io questo lusso purtroppo non me lo posso permettere, in una casa non pagata da me ci vivrei benissimo. Però potrei contraccambiare alla generosità del misterioso e timido benefattore in modo più che dignitoso.
Ho letto infatti che un amico di lui, tal signor Francesco Maria De Vito Piscicelli, è appena uscito di prigione. Ebbene, sono pronto ad offrire la mia casa pericolante, in pieno centro storico, per consentirgli di trascorrere in un luogo tranquillo e silenzioso, i mesi di arresti domiciliari che lo attendono. Nel sincero augurio che non gli capiti di tornare a ridere dentro il letto.


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