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giovedì 9 settembre 2010

Le bugie del ponte hanno le campate troppo corte




Le bugie del ponte hanno le campate troppo corte


DI - Osvaldo Pieroni :: Alberto Ziparo


Un'analisi e lo stato dell'arte sulla «grande operetta» dello Stretto alla vigilia del corteo No Ponte di Torre Faro, sulla sponda siciliana. Tratto dall'Almanacco estivo di Carta «Lonely Europe».

Il ministro Tremonti nella sua manovra «lacrime e sangue» taglia tutto: sanità, giustizia, scuole welfare, università e ricerca, fondi di regioni ed enti locali, difesa del suolo, paesaggio e beni culturali, attrezzature di tutela del territorio e collegamenti per la Sicilia e la Calabria. Non è riuscito invece a congelare –come pure annunciato alla vigilia- «il Ponte sullo Stretto ed altre Grandi Opere tra le più discusse», ottenendo però la dilazione al 2013. «I flussi economico-finanziari per la costruzione del ponte potranno avviarsi a partire dal 2013, viste le compatibilità di bilancio». Non è solo per questo, certo, che si sono interrotti i lavori-bluff del binario di Cannitello-opera collegata [che costerebbe la «modica» cifra di 30 milioni di Euro, che invece potrebbero servire a risarcire e ricostruire le aree alluvionate di Scaletta messinese], che in realtà non erano mai partiti. A parte alcuni giorni di pseudopulitura su terreni presi in affitto, a beneficio soprattutto di telecamere e fotografi, dei lavori non c’è più traccia e sul suolo spianato torna a crescere l’erba.
Quello che invece non si ferma è il «progettificio». Anzi si annuncia il progetto «davvero definitivo», dopo una serie innumerevole di pseudo-elaborati, già costati alla collettività nazionale alcune centinaia di milioni di euro, destinati ad aumentare enormemente «fino alle progettazioni esecutive» [se mai ci si arriverà]. Per rendere «più evidenti» la visibilità e le spese di progettazione si inviano alcune trivelle [chi paga?] «per i rilievi geognostici preliminari». E le si piazzano, data la imminente stagione turistica, sui lungomare di Cannitello-Villa San Giovanni e di Ganzirri-Messina, rendendo sostanzialmente impraticabili le aree occupate. Meno male che negli ultimi anni, oltre alla progettazione eterna, si sono prodotti numerosi studi critici, ormai consolidati nella quasi totalità del mondo scientifico.

Nelle prossime righe riportiamo una summa degli esiti di tali elaborazioni, per sottolineare ulteriormente come le posizioni pro ponte oggi costituiscano, tra l’altro, un rovesciamento dei reali contenuti della questione e quindi un gravissimo inganno per i cittadini della Sicilia e della Calabria.
Un’infrastruttura inutile, anzi critica per il sistema dei trasporti: il ponte era stato concepito per servire il traffico di lunga distanza da e per la Sicilia; invece nello Stretto resterà in futuro sempre più una mobilità locale. Infatti il trasporto di lunga distanza ha subito nelle ultime fasi fortissime trasformazioni: gli spostamenti hanno abbandonato gomma e ferrovia, per aerei [i passeggeri] e navi [le merci]. Gli attraversamenti di lunga distanza tra Messina e Villa e viceversa erano computabili in oltre undici milioni di unità nel 1985, sono calati a poco più di sei milioni e mezzo nel 2002 ed il trend in discesa prosegue. Intanto la Sicilia è passata da due aeroporti e tre piste a sei aeroporti e una dozzina di piste [il traffico aereo è aumentato del 3200 per cento circa!] e ha scoperto di avere una decina di porti industriali, utilizzati poco o nulla, che stanno assumendo sempre più la configurazione di terminal commerciali. «Credevamo di studiare un’infrastruttura, invece studiavamo un monumento» hanno commentato i migliori studiosi di economia dei trasporti.
Dal punto di vista economico è fallita e tramontata la politica dei grandi poli industriali ed infrastrutturali, di cui il ponte sarebbe l’ultimo enorme colpo di coda: basta osservarne le macerie, da Priolo e Gela, da Milazzo a Termini Imerese. Oggi lo sviluppo della Calabria e della Sicilia può venire solo dalla valorizzazione sostenibile delle loro risorse territoriali e paesaggistiche, se fruite in maniera equilibrata e intelligente, piuttosto che essere degradate e distrutte da consumo intensivo e sfrenato.
Dal punto di vista occupazionale, basta leggere bene lo stesso progetto [che, al di là dei quasi quattrocento milioni di euro fin qui spesi, mantiene sostanzialmente sempre lo stesso schema di massima]: lì si ammette che, con il ponte, almeno metà degli addetti ai traghettamenti pubblici e privati diverrebbero esuberi [saldo negativo di circa milleduecento unità]. Ed anche durante i cantieri – che in ogni caso significano mano d’opera temporanea che poi torna disoccupata – le cifre sono assai più ridotte, molto meno di un decimo di quelle agitate dalla propaganda, se lette bene.
Dal punto di vista urbanistico, ambientale e paesaggistico l’operazione sarebbe un disastro: basta confrontare il progetto con le Linee Guida del Piano Territoriale Paesaggistico siciliano e del QTR Paesaggistico della Calabria con gli strumenti urbanistici dei Comuni interessati [ si veda il rapporto dell’Ufficio tecnico del comune di Messina, preoccupatissimo per gli impedimenti che le attrezzature del Ponte avrebbero comportato rispetto a funzioni essenziali per la città]. Laddove le città dello Stretto hanno bisogno di bloccare e riqualificare l’insediamento con operazioni «a grana fine» di ristrutturazione, ecofunzionale e tipomorfologica, si propone una megastruttura concepita per un’idea obsoleta di area dello Stretto.
I gravissimi problemi ambientali che la struttura comporterebbe, soprattutto su Ganzirri e sulla Costa Viola, in un’area quasi totalmente tutelata, non sono neppure affrontati nel progetto: la commissione VIA del Ministero dell’Ambiente del precedente governo Berlusconi è stata messa sotto inchiesta dalla procura di Roma per «falso ideologico», per avere –sotto le pressioni dell’allora ministro delle infrastrutture e dei vertici dell’esecutivo– emesso parere positivo, pure con moltissime prescrizioni, stralciando dai documenti ufficiali le osservazioni relative agli impatti più critici e irreversibili del progetto. In pratica, ministeri e CIPE hanno cancellato gli aspetti che erano di difficile e impossibile risoluzione, nonostante si trovassero di fronte a documenti ufficialmente e formalmente allegati alla procedura. L’inchiesta era stata chiusa per l’accantonamento del ponte da parte del governo Prodi.
Per quanto riguarda il paesaggio c’è ormai una letteratura di insigni paesaggisti preoccupati della sfigurazione di una delle più grandi opere d’arte naturali della Terra: lo Stretto. Con la paratia trasversale di oltre 1200 metri quadri [costituita dal sistema pilastri-reticolare] lo Stretto perderebbe la propria secolare unità scenografica, trasformandosi in una baia, gravata da coppie di «Torri Gemelle», molto più alte delle massime alture esistenti in zona e da coacervi di svincoli e rampe.
Anche come simbolo, il progetto è vecchio: non a caso viene paragonato alla torre Eiffel [fine diciannovesimo secolo], al Golden Gate [inaugurato nel 1938 agli albori della civiltà dell’auto, mezzo da cui, quasi un secolo dopo, dobbiamo tendere a liberarci]. Sono icone di una modernità passata. Oggi sviluppo sostenibile significa high tech a basso impatto energetico e ambientale e valorizzazione delle risorse ecologiche, proprio quelle che il Ponte negherebbe nello Stretto.
Negli studi da cui sono tratte le sintetiche considerazioni precedenti, si sono analizzati gli aspetti riguardanti impatti e pianificazione, economica, trasportistica, territoriale, ambientale, paesaggistica. Di recente un gruppo di tecnici, accademici – di cui diversi, già componenti del Consiglio Superiore dei Lavori pubblici – si sono soffermati sugli aspetti della costruibilità. Questo riguardava anche gli enormi problemi sismologici, che sembrano accentuarsi con l’avanzare di ricerche ed esperienze. In particolare gli stessi progettisti del preliminare hanno ammesso che, nel chiudere quell’elaborato, avevano dovuto totalmente trascurare «il segmento più attivo della faglia sismica più dinamica», specie dal lato calabro. Per cui hanno proposto una soluzione traslata di cinquecento metri , con campata più ridotta e con pilastri nello Stretto.
Gli elaborati di tali tecnici delle costruzioni hanno infatti rappresentato l’ ennesima bocciatura del progetto. «Esistono nel progetto di massima una trentina di parametri scoperti [compresi quelli sismologici], di cui almeno la metà insormontabili. Tra l’altro gli studiosi di evoluzione delle tecnologie dei materiali impiegabili stimano in centoventicinque anni, ad essere ottimisti, l’orizzonte temporale per cui tutte le strutture finora previste possano essere effettivamente pronte per l’utilizzo. Ricordando che, ad oggi, la più lunga campata bifunzionale [gomma e ferrovia] esistente è di 550 metri e che anche l’Akashi in Giappone, nonostante l’enorme impegno tecnico, finanziario ed economico, alla fine è stato costruito come ponte monofunzionale viario.» Nel caso dello Stretto, peraltro, si tratterebbe di «assicurare una campata quasi doppia e bifunzionale».
Questi sono i veri termini della questione: ignorarli significa agire per motivi estranei ad una corretta programmazione politica.
Si può essere di destra o di sinistra, pontisti o non pontisti, ma si ha il diritto – e forse anche il dovere come calabresi e siciliani – di non essere presi in giro.


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