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lunedì 7 marzo 2011

L'8 MARZO Giornata internazionale dell'operaia

L'8 MARZO 



Giornata internazionale dell'operaia 

Giornata internazionale della DONNA




La giornata internazionale della donna, comunemente definita festa della donna, ricorre l'8 marzo di ogni anno per ricordare sia le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne, sia le discriminazioni e le violenze cui esse sono ancora fatte oggetto in molte parti del mondo.
L'8 marzo 1917 le celebrazioni furono interrotte dalla Prima guerra mondiale in tutti i paesi belligeranti, finché a San Pietroburgo, l'8 marzo 1917 - il 23 febbraio secondo il calendario giuliano allora in vigore in Russia - le donne della capitale guidarono una grande manifestazione che rivendicava la fine della guerra: la fiacca reazione dei cosacchi inviati a reprimere la protesta, incoraggiò successive manifestazioni di protesta che portarono al crollo dello zarismo, ormai completamente screditato e privo anche dell'appoggio delle forze armate, così che l'8 marzo 1917 è rimasto nella storia a indicare l'inizio della «Rivoluzione russa di febbraio». Per questo motivo, e in modo da fissare un giorno comune a tutti i Paesi, il 14 giugno 1921 la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste, tenuta a Mosca una settimana prima dell’apertura del III congresso dell’Internazionale comunista, fissò all'8 marzo la «Giornata internazionale dell'operaia».
In Italia la Giornata internazionale della donna fu tenuta per la prima volta soltanto nel 1922, per iniziativa del Partito comunista d'Italia, che volle celebrarla il 12 marzo, in quanto prima domenica successiva all'ormai fatidico 8 marzo. In quei giorni fu fondato il periodico quindicinale Compagna, che il 1º marzo 1925 riportò un articolo di Lenin, scomparso l'anno precedente, che ricordava l'8 marzo come Giornata internazionale della donna, la quale aveva avuto una parte attiva nelle lotte sociali e nel rovesciamento dello zarismo.
La connotazione fortemente politica della Giornata della donna, l’isolamento politico della Russia e del movimento comunista e, infine, le vicende della Seconda guerra mondiale, contribuirono alla perdita della memoria storica delle reali origini della manifestazione. Così, nel dopoguerra, cominciarono a circolare fantasiose versioni, secondo le quali l’8 marzo avrebbe ricordato la morte di centinaia di operaie nel rogo di una inesistente fabbrica di camicie Cotton o Cottons avvenuto nel 1908 a New York, facendo probabilmente confusione con una tragedia realmente verificatasi in quella città il 25 marzo 1911, l’incendio della fabbrica Triangle, nella quale morirono 146 lavoratori, in gran parte giovani donne immigrate dall'Europa. Altre versioni citavano la violenta repressione poliziesca di una presunta manifestazione sindacale di operaie tessili tenutasi a New York nel 1857, mentre altre ancora riferivano di scioperi o incidenti verificatesi a Chicago, a Boston o a New York.
Nonostante le ricerche effettuate da diverse femministe tra la fine degli anni '70 e gli '80 abbiano dimostrato l'erroneità di queste ricostruzioni, le stesse sono ancora diffuse sia tra i mass media che nella propaganda delle organizzazioni sindacali.



Per l’8 marzo, non vogliamo mimose, non le abbiamo mai volute.
Se però dobbiamo essere precise, qualche desiderio lo avremmo. Lo abbiamo tutto l’anno.
Non comprende fiori.


Le ricorrenze non ci piacciono, tanto più quando da commemorazioni di tragedia e simbolo di lotta si trasformano in bieca operazione di marketing, ma ignorarle sarebbe ancora peggio, perchè non possiamo non notare il proliferare di spogliarelli per la notte delle donne e pubblicità di fiorai che vogliono venderci questa giornata come un nuovo San Valentino, mentre ovunque si diffonde una cultura in cui le donne sono spinte ad avere paura di girare da sole di notte o sembrano sfigate se non hanno un uomo che gli regali qualcosa.

L’8 marzo sarà per noi quindi solo un altro giorno per ribadire le necessità per cui lottiamo tutto l’anno.

Contro la violenza sulle donne, declinata non solo come violenza fisica e sessuale, ma come quella che viviamo ogni giorno tra le discriminazioni e i soprusi sul lavoro, a casa, a scuola, per strada, nelle relazioni sentimentali e sessuali.

Così, sentiamo di voler lanciare un bouquet di rivendicazioni, quelle che sentiamo più urgenti in questo momento.

Tenetevi le mimose…

…vogliamo vivere i nostri desideri, per essere libere di amare chi vogliamo e nel modo che ci eccita di più.


Proliferano sul web e tra i media gli inviti a partecipare a folli notti erotiche in occasione dell’ 8 marzo, quando alle donne verrebbe concesso di imitare il rito collettivo dell’eccitazione maschile da strip bar.
Alle donne quindi è concesso il divertimento erotico una volta all’anno, ma soprattutto la presunta libertà sessuale delle donne deve essere normata e modellata su quella maschile eterosessuale.
Insomma, per tutto l’anno viviamo immerse tra gelosie e repressione, poi un giorno, sommerse di mimose possiamo ammirare i corpi unti e plastificati di aitanti spogliarellisti, ma dare voce ai veri desideri dei nostri corpi… quello no.

…vogliamo liberarci dagli stereotipi!


L’immagine delle donne tra i media e nella concezione comune è sempre più omologata a un modello non realistico, influenzato dalle modifiche artificiali dei programmi di elaborazione grafica e fotoritocco.
La pubblicità e le aziende dell’industria della moda, della cura estetica e cosmetica traggono dalla creazione del bisogno indotto di rispecchiare quel canone la principale fonte di profitto, lucrando sulla crescente mancanza di autostima delle donne, che si rispecchia nella frequente colpevolizzazione e nella subordinazione a cui le donne si condannano anche da sole.

…vogliamo la parità salariale.


Secondo l’ISTAT, il divario salariale tra uomini e donne in Italia è ancora circa al 20%.
Nonostante le donne percentualmente raggiungano un grado di educazione più alto, questo non è di alcun aiuto nella realizzazione professionale della massa femminile. Apparentemente le donne oggi sono quindi libere di lavorare, in pratica però ci sono molte concause che ne fanno una libertà illusoria e che ancora nel 2013 conferiscono al “lavoro” il ruolo di uno dei pochi spazi di tentata emancipazione e liberazione femminile.
Tra le cause della disparità salariale è da annotare la grande diffusione del part time tra le donne lavoratrici, che ovviamente prevede avanzamenti di carriera e di stipendio inferiori del full time: la scelta del lavoro a tempo parziale è obbligata per molte donne che si ritrovano a dover anche provvedere da sole o quasi ai lavori di cura e gestione della casa e della famiglia.
Tra le cause della disparità lavorativa, c’è però soprattutto la “segregazione occupazionale“, ovvero la condizione socio-culturale che impone alle donne l’occupazione in settori che prevedono stipendi inferiori agli ambiti considerati “maschili” e più bassi inquadramenti contrattuali.

…vogliamo decidere sui nostri corpi!


Tra leggi regionali per lo smantellamento dei consultori pubblici e continui attacchi da parte cattolica alla legge 194, ancora oggi è importante lottare per la difesa dei diritti alla salute delle donne e all’autodeterminazione delle scelte. Crediamo che sia fondamentale ribadire la totale autonomia e indipendenza delle donne nel decidere della propria vita e della propria maternità.
Senza escludere la necessità di miglioramenti alla legge sull’interruzione di gravidanza, in direzione di minore criminalizzazione delle donne che decidono di abortire, è però ancora necessario tutelare i diritti acquisiti fin qui.

…vogliamo la RU486!


Oggi in Italia, nonostante sia stato autorizzato nel 2009 l’uso della pillola abortiva RU486, oggi è quasi impossibile per una donna decidere serenamente di abortire farmacologicamente, senza entrare in sala operatoria.
Sarà che grazie alla cultura cattolica e alle sue ingerenze sono ancora molto affezionati al “partorirai con dolore”, figuriamoci se non devi patire abortendo.  Sarà anche che persino le forze politiche favorevoli all’introduzione del farmaco in Italia si sono ritrovate ( ed accontentate ) a firmare protocolli regionali che prevedono inutili ricoveri di 3 giorni quasi impossibili in un Paese che continua a tagliare posti letto agli ospedali e in cui la priorità è data sempre e solo a chi deve diventare madre, non a chi sceglie  di non esserlo.

Avremmo ancora tante altre istanze, necessità, che nascono 
dal privato e poi si riversano nel politico.
Queste sono quelle che hanno per noi oggi la priorità perchè sintomi dell’arretratezza della struttura socio-economica in cui ci troviamo a vivere.
.

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2 commenti:

  1. Ciao Cipiri, leggendo il tuo post, mi sono accorta che anch'io conoscevo la versione delle repressione violente sulle donne in diverse città dell'America.
    Il fatto è che lo ricordo da anni, ma chissà come l'ho saputo...
    Buona giornata!
    Ora indagherò anch'io :)
    Lara

    RispondiElimina
  2. ok , buona ricerca e buona giornata , ciaooooooo

    RispondiElimina

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