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lunedì 28 maggio 2012

Brescia : Strage di piazza della Loggia nessun colpevole


La strage di piazza della Loggia è stato un attentato terroristico compiuto il 28 maggio 1974 a Brescia, nella centrale piazza della Loggia. Una bomba nascosta in un cestino portarifiuti fu fatta esplodere mentre era in corso una manifestazione contro il terrorismo neofascista indetta dai sindacati e dal Comitato Antifascista con la presenza del sindacalista della CISL Franco Castrezzati, dell'on. del PCI Adelio Terraroli e del segretario della camera del lavoro di Brescia Gianni Panella. L'attentato provocò la morte di otto persone e il ferimento di altre centodue.

28 MAGGIO 1974? NON E' SUCCESSO NIENTE!

Tutti assolti. Zorzi, Maggi, Rauti, Tramonte, Delfino… tutti assolti. Il tribunale di Brescia dello Stato italiano, autoassolvendosi, ha stabilito che la strage del 28 maggio del 1974 resterà impunita. Come tutte le stragi fasciste, del resto. Poi magari, tra qualche anno, quando qualcuno chiederà a qualche studente cosa sa di quanto accadde a Piazza della Loggia, si sentirà rispondere che a mettere la bomba sono stati i brigatisti. E c’è ancora chi parla di “pezzi di Stato deviati”, come se non fu tutto l’intero apparato a dichiarare guerra al movimento dei lavoratori ma solo alcune mele marce… E c’è ancora chi crede alle toghe rosse


 OGGI LUNEDI 28 MAGGIO

Questa mattina alle nove e trenta alcune centinaia di attivisti del Kollettivo Studenti in Lotta e del centro Centro Sociale Magazzino 47, insieme ad altre realtà antagoniste della città - sindacati di base, gruppi della sinistra - erano partiti in corteo da Piazza Garibaldi con l'intenzione di arrivare in Piazza della Loggia, per ribadire che le responsabilità della strage del 28 maggio del 1974 sono da addebitare allo Stato e ai suoi apparati. E anche per contestare le politiche di massacro sociale imposte dal governo Monti. Con loro tante bandiere, ad esempio quelle dei No Tav, e qualche rete metallica da utilizzare per parare i colpi dei manganelli, visto che la Questura aveva già avvisato i manifestanti che non gli avrebbe permesso di entrare in piazza. Ed infatti quando gli studenti sono arrivati in corso Matteotti i cordoni dei Poliziotti hanno cercato di impedire che il piccolo corteo potesse partecipare alla celebrazione a suon di bastonate.
Ma nonostante le nuove cariche una volta arrivati in piazza e il minaccioso schieramento dei cordoni del servizio d'ordine dei sindacati confederali, alla fine studenti e altri attivisti si sono ricompattati e sono riusciti a fare il loro ingresso in Piazza della Loggia e a dirigersi verso la stele che riporta i nomi delle vittime della bomba di 38 anni fa. "Ci siamo presi piazza della Loggia – ha gridato uno dei manifestanti col megafono – ricompattiamoci e rendiamo omaggio ai nostri morti, nostri e non del ministro dell'Interno".
E dire che il messaggio inviato per l'occasione al sindaco della città da Giorgio Napolitano davano ragione ha chi chiede finalmente verità e giustizia.  “Il corso della giustizia deve, pur nei limiti in cui è rimasto possibile, continuare con ogni scrupolo e, nel contempo va peró fin da ora messo in luce quanto è emerso” sulla “matrice di estrema destra neofascista” e “sugli ostacoli che una parte degli apparati dello Stato frappose alla ricerca della verità” aveva affermato nel suo messaggio il Presidente della Repubblica.
Ma di fronte alla recente assoluzione dei colpevoli dell'eccidio e alla blindatura della piazza le parole del capo dello Stato e quelle proferite dal vivo dal Ministro degli Interni erano suonate come un paradosso, un affronto alla memoria e alla dignità delle vittime e dei loro parenti.
«Siamo costernati di essere a Brescia oggi senza verità» aveva detto Anna Maria Cancellieri, aggiungendo: «La verità a un certo punto sembrava arrivare. Il messaggio che deve passare è che non abbiamo nessuna intenzione di arrenderci. La verità arriverà. È un dovere e non possiamo trascurare nessun impegno per arrivare alla soluzione».



Strage di Brescia, nessun colpevole.

 Ma la strategia della tensione è finita?



A Brescia in piazza della Loggia il 28 maggio 1974 si svolgeva una manifestazione sindacale antifascista. Per sostenere il processo di emancipazione del Paese che la Strategia della tensione con le sue bombe cercava di bloccare.

C’era stata Piazza Fontana il 12 dicembre del 1969, a Milano, nella sede della Banca dell’Agricoltura, per far credere che fosse la sinistra a colpire il capitale anche nella piccola imprenditoria che a quella banca si rivolgeva. Sedici morti e 88 feriti. A seguire la morte di Pinelli in questura quattro giorni dopo e l’arresto di Valpreda…

C’era stato il 22 luglio 1970 di Gioia Tauro col deragliamento della Freccia del Sud. Ancora una bomba seminava terrore colpendo un treno di lavoratori: 6 morti e oltre 60 feriti. Pochi giorni prima era iniziata a Reggio Calabria la rivolta campanilista dove in inquietanti intrecci tra mafia e fascismo si cavalcava il disagio meridionale al grido di “Boia chi molla”.

Il messaggio era chiaro: state lontani da qui perché è “cosa nostra”. Ma si preferì accreditare il deragliamento per incidente, anche dopo una illuminante perizia del 23 giugno 1973, che chiarisce come «la deformazione della piastra prelevata in corrispondenza della rotaia con suola danneggiata è da attribuirsi sicuramente all'azione dell'esplosione e non all'urto del materiale rotabile».
Se per piazza Fontana si era individuato negli anarchici Pinelli e Valpreda (innocenti) il facile bersaglio, per Gioia Tauro sono i ferrovieri, più evocativi di “rossi pericolosi” per l’immaginario perbenista. E quattro ferrovieri innocenti vengono incriminati…

Intanto però, anche la pista nera qualcuno cominciava coraggiosamente a batterla. Gli strateghi si sentono in pericolo, e mandano il loro segnale di morte ai brigadieri che indagano. Ed è la strage di Peteano: il 31 maggio 1972 tre carabinieri sono fatti saltare in aria da un’altra bomba opportunamente posta nel bagagliaio di un’automobile che avrebbero dovuto perquisire. Un avviso chiaro, come dichiarerà il pentito neofascista Vinciguerra: lasciate stare i neri! Le indagini della Magistratura confermeranno, visto che nel 1987 due alti ufficiali dei carabinieri sono condannati a dieci anni e mezzo di reclusione per deviazione e depistaggio su questa strage. Dietro di loro un altro generale, Giovambattista Palumbo, che però non potrà testimoniare, perché deceduto. “Stragi di Stato”?

L’Italia civile e democratica sa e vuole giustizia. Le manifestazioni antifasciste e in difesa della Costituzione repubblicana si susseguono: per la libertà, per i diritti, per la democrazia.
A Brescia in quel piovoso martedì del 28 maggio 1974 sono i sindacati a chiamare a raccolta nella splendida Piazza della Loggia. Ma le mani assassine della Strategia della tensione stanno in agguato. Un’altra bomba, questa volta nascosta dentro un cestino di rifiuti lascia a terra 104 feriti e 8 morti: Livia Bottardi (32 anni) - Giulietta Banzi Basoli (34 anni) - Clementina Calzari (31 anni) - Alberto Trebeschi (37 anni) - Luigi Pinto (25 anni) - Euplo Natali (69 anni) - Bartolomeo Talenti (56 anni) - Vittorio Zambarda (60 anni).

Stranamente i pompieri azionano le loro pompe. Così oltre al sangue che potrebbe impressionare i passanti (questa è una delle dichiarazioni di getto della polizia a chi chiedeva di far chiudere gli idranti), anche i resti dell’ordigno sono spazzati via.
Altra stranezza: ci sono pochissimi carabinieri in piazza. Il loro capitano, Francesco Delfino, è in Sardegna, e quasi tutto il suo reparto è stato inviato a un corso di formazione.
Delfino ha nostalgie fasciste e le mani in pasta con i servizi segreti. Il suo nome che ricorre in molte inchiesta sulle stragi, oltre a quella di Brescia, è rimbalzato anche sulle pagine di cronaca nera in occasione del rapimento di Giuseppe Soffiantini (1997). Delfino è ormai generale (ha fatto carriera) e viene accusato di aver estorto alla famiglia del sequestrato, per favorirne il rilascio, quasi un miliardo di lire. Per questo reato nel 2001 è stato condannato definitivamente in Cassazione a 3 anni e 4 mesi di carcere.

Ma dalla strage di Brescia, grazie alla recente sentenza del 14 aprile 2012 della Corte d’Appello d’Assise, Delfino esce assolto. E con lui gli altri imputati che la trama nera lega in quegli anni e i cui nomi, come quello di Delfino, ricorrono nelle indagini della Magistratura e negli atti delle Commissioni Parlamentari d’inchiesta.
Carlo Maria Maggi della cellula veneta di Ordine Nuovo.
Delfo Zorzi, anch’egli ordinovista e che oggi fa tranquillamente l’imprenditore a Tokyo. Il suo nome nuovo è Hagen Roi, ha preso la cittadinanza giapponese, che lo ha protetto dal pericolo di estradizione per presentarsi ai processi in Italia.
Maurizio Tramonte, neofascista e strutturale collaboratore dei Servizi segreti.
Col Generale Delfino, tutti assolti! Per insufficienza di prove!

Già le prove… ma gli stragisti fanno le cose “pulite”, anche per la rete di connivenze e complicità di quegli apparati dello Stato, che si continua ipocritamente a chiamare deviati, come se le persone ai vertici non fossero gli stessi inquietanti personaggi opportunamente selezionati per occupare quei gangli vitali nella pericolosa partita del gioco delle parti tra “Gladiatori” e paraventi di “Stato deviato”.
Tutto noto! Lo sapevamo. Lo sappiamo, come urlava Pasolini nel suo terribile “Io so”.
È Storia, che tutti possono studiare.

Allora è indecente che le stragi continuino a restare una verità nascosta, per gli omissis mai fino in fondo sottratti alla coltre di filo spinato del “segreto di stato”.
Così continuano a restare impuniti gli assassini che sia come manovalanza che come ideologi e funzionari, sono stati i protagonisti di quella Strategia della tensione (continuata negli anni Ottanta e forse oltre ancora) che cercava di bloccare il processo di emancipazione dell’Italia nella svolta progressista laica e libertaria di quei formidabili anni Settanta. Una svolta progressista che si chiama parità, uguaglianza, diritti per le donne, i giovani, i lavoratori.

Una rivoluzione copernicana per la democrazia, che ancora oggi qualcuno ha interesse a demonizzare sferrando un mortale attacco proprio ai diritti conquistati in quegli anni di azione collettiva. E nella resa dei conti chiama a paravento questa volta la crisi. Una crisi che non hanno certo prodotto i cittadini, ma governanti e imprenditori presi dalla sindrome del liberismo selvaggio, e che oggi di fronte al default del neocapitalismo non vogliono affrontare il problema dell’equità sociale per continuare a star seduti sul velluto.

La Strategia della tensione di oggi è allora la bomba ad orologeria del lavoro precario e senza tutele, proposto paradossalmente come panacea per superare la crisi. È lo spauracchio della precarietà, che nella perdita di diritti e dignità, fa accettare ogni condizione di precarietà. La sostanza non cambia, c’è anche chi la chiama ipocritamente “flessibilità”.

Oggi, in nome della crisi, un padronato sempre più arrogante sembra voler far credere con il collaborazionismo di una classe di governo che ne è l’espressione, che gli anni Settanta sono roba vecchia, e che tutto sommato chi faceva saltare in aria i lavoratori che allora si chiamavano compagni come in quel 28 maggio del 1974 a Piazza della Loggia è roba passata. Roba da dimenticare.

E c’è da aspettarsi che prima o poi, come per le stragi nazifasciste, qualcuno dica dei vari Delfino, Zorzi, Maggi… che in fondo sono poveri vecchi da lasciare in pace. 
 di Maria Mantello
 http://temi.repubblica.it/micromega-online/strage-di-brescia-nessun-colpevole-ma-la-strategia-della-tensione-e-finita/
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