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martedì 24 settembre 2013

ANP reprime il diritto di manifestazione


Amnesty: ANP reprime il diritto di manifestazione

Il rapporto pubblicato ieri accusa il governo di Ramallah di uso eccessivo della forza contro i manifestanti palestinesi.
 Forza che sconfina nella cooperazione con Israele.
- Uso eccessivo della forza contro i manifestanti palestinesi. Stavolta l'accusa, mossa da Amnesty International, non cade sul governo israeliano, ma su quello di Ramallah.

"Il comportamento delle forze di polizia contro i manifestanti in Cisgiordania continua a non rispettare le norme previste dal diritto internazionale", ha detto Philip Luther, direttore di Amnesty per il Medio Oriente e il Nord Africa. Un comportamento che "erode i diritti di espressione e di manifestazione".

Il rapporto di 29 pagine pubblicato ieri racconta la situazione in Cisgiordania attraverso l'analisi di una serie di eventi verificatisi negli ultimi anni e che mostrano un'escalation nell'utilizzo della repressione contro le proteste di piazza. Un esempio: il 30 giugno e il primo luglio 2012 le forze di sicurezza dell'Autorità Palestinese aggredirono un gruppo di manifestanti che stava protestando per l'annuncio di un incontro tra il presidente Abbas e funzionari israeliani. Almeno cinque i feriti, numerosi gli arresti, che costrinsero l'ANP ad aprire un'inchiesta sull'accaduto. Inchiesta che ad oggi non ha ancora prodotto alcun risultato, nonostante le prove di un uso della forza "non necessario, ingiustificato e sproporzionato": "Nonostante le prove raccolte dall'Independent Investigative Committee - continua Luther - l'ANP non ha perseguito nessun poliziotto per le violenze perpetrate contro manifestanti pacifici. Tale impunità inevitabilmente avvalla altri abusi, che proseguono ancora oggi".

Tra questi anche l'omicidio. Le forze di sicurezza di Ramallah sono implicate nella morte di due palestinesi verificatesi negli ultimi mesi: Khaleda Kawazbeh, morto l'8 maggio in circostanze non chiare dopo un raid della polizia dell'ANP nel villaggio di Sair, ad Hebron; e Amjad Odeh, colpito da un proiettile apparentemente sparato da un poliziotto palestinese lo scorso 27 agosto, nel campo profughi di Askar a Nablus.

Una repressione che si aggiunge a quella violenta e penetrante delle autorità israeliane, che dall'inizio dell'anno ha già provocato la morte di 16 giovani palestinesi, uccisi durante raid o durante manifestazioni contro l'occupazione. Così, il popolo palestinese finisce per essere stretto in una doppia morsa, quella interna e quella israeliana. Spesso sono proprio le forze di sicurezza palestinesi a fare da cane da guardia: è successo durante il mese di Ramadan, negli ultimi anni, quando ad impedire il passaggio dei fedeli musulmani al checkpoint erano i poliziotti palestinesi. È successo durante numerose manifestazioni di cui siamo stati testimoni: le marce verso i checkpoint bloccate da catene umane di poliziotti palestinesi, invece che dalle forze militari israeliane.

A dettare una simile politica sono gli Accordi di Oslo stretti tra Israele e OLP che, dietro la sponsorizzazione statunitense, prevedono una stretta collaborazione in materia di sicurezza. L'obiettivo era quello di giungere alla creazione di uno Stato di Palestina indipendente, passando prima per la cooperazione nel settore della sicurezza, ma che ad oggi a farne le spese è ancora una volta il popolo palestinese.

di Emma Mancini  da  http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=22157
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