“Il 16 ottobre del 1943, a Roma, 1024 persone, tra le quali più di 200 bambini, furono rastrellate dai nazisti. Partirono in 18 vagoni piombati diretti ad Auschwitz. Tornarono 15 uomini e 1 donna, nessun bambino.
Ricordare il passato ci aiuta ad affrontare il presente in maniera diversa, a considerare con maggiore sensibilità chi, anche oggi, è costretto a fuggire da persecuzioni, guerre e violazione dei diritti fondamentali.
Pochi giorni fa, dopo avere parlato con i superstiti del naufragio di Lampedusa, ho ripensato anche alla storia della nave ‘Pentcho’. I suoi 520 passeggeri ebrei, imbarcatisi a Bratislava il 18 maggio 1940, potevano vedere i ristoranti sulle rive del Danubio, ascoltare la musica proveniente dai caffè, mentre morivano di fame al punto di dipingere sulla nave la parola “FAME” in tre lingue, senza che nessuno portasse loro del cibo. Navigarono a lungo, dal mar Nero al mare Egeo. Tanti paesi rifiutarono di dargli ospitalità. Il 9 ottobre l’imbarcazione si schiantò. La nave militare italiana ‘Camogli’, coraggiosamente, prestò soccorso. Molti dei passeggeri poi finirono ad Auschwitz, altri si salvarono.
Le vittime del rastrellamento al ghetto o della ‘Pentcho’, come quelle di oggi, a Lampedusa, ci ricordano che la domanda di pace, di libertà, di sicurezza è sempre stata comune a tutto il genere umano, in ogni momento e in ogni angolo della Terra. Si cerca sempre un approdo migliore quando i propri diritti vengono calpestati. Allora come oggi”.
Dall’intervento pubblico pronunciato per il 70esimo anniversario del rastrellamento nazista nel ghetto ebraico di Roma .
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