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domenica 19 gennaio 2014

Morti di stato: Istituito un numero verde


Morti di stato. 

Istituito un numero verde.

 L’iniziativa di Ilaria Cucchi, Lucia Uva

 e altri familiari di vittime

Cosa può fare un cit­ta­dino o i suoi fami­liari, oppure dei testi­moni, di fronte a un abuso da parte di uomini in divisa? Sì, certo a cose fatte si può sem­pre cer­care giu­sti­zia in un aula di tri­bu­nale, anche se i pro­cessi in que­sti casi sono un cal­va­rio, una lotta impari, desti­nata a durare anni e con buone pro­ba­bi­lità di vedere umi­liata la spe­ranza di accer­tare la verità. Adesso però una cosa la si può fare subito. Chia­mare il numero verde 800.588605. Si tratta di un punto di appog­gio e primo inter­vento messo a dispo­si­zione da Acad, Asso­cia­zione con­tro gli abusi in divisa Acad.

È la prima volta che una simile ini­zia­tiva viene spe­ri­men­tata in Ita­lia e deve ancora cre­scere. È pre­sen­tata ieri all’auditorium di piazza Libertà di Ber­gamo. C’erano 15 fami­liari delle vit­time, tra que­sti anche Ila­ria Cuc­chi, Lucia Uva e Dome­nica Ferrulli.Gra­zie alla loro tena­cia e a tanto corag­gio le loro sto­rie hanno fatto brec­cia sui media, anche se non hanno mai tro­vato vera­mente giu­sti­zia. Ma sono solo la punta dell’iceberg di un feno­meno che non può essere liqui­dato da parte della poli­tica e delle forze dell’ordine facendo ricorso all’abusata cate­go­ria delle «poche mele marce». L’associazione Acad è nata lo scorso marzo.

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800 58 86 05 : se vedi/subisci un abuso, chiama!


E’ il frutto di un lungo lavoro da parte di atti­vi­sti e sem­plici cit­ta­dini indi­gnati dopo il caso
 di Fede­rico Aldro­vandi. Hanno comin­ciato a seguire i pro­cessi, hanno accu­mu­lato e pro­pa­gan­dato mate­riale, film, libri, docu­menti. E così hanno cono­sciuto le fami­glie delle vit­time con cui hanno costruito un rap­porto di vici­nanza umana ed emo­tiva. Adesso met­tono a dispo­si­zione que­sto numero verde. Il primo obiet­tivo è quello di non fare sen­tire solo chi è con­vinto di aver subito un abuso: potrebbe capi­tare a chiun­que. «Il numero testi­mo­nia che tante per­sone si tro­vano o si sono tro­vate in que­ste con­di­zioni», rac­con­tano gli atti­vi­sti di Acad. L’idea è quella di com­bat­tere allo stesso tempo il senso di impo­tenza e il muro di paura e di omertà che cir­conda que­sti casi. Il numero è a dispo­si­zione non solo di chi subi­sce ma anche dei testi­moni di soprusi poli­zie­schi.

E’ uno stru­mento che potrebbe ser­vire a far emer­gere casi mai denun­ciati e del tutto sco­no­sciuti. Infine ha lo scopo di fare rete, di met­tere in con­tatto le vit­time fra loro, di con­di­vi­dere espe­rienze e met­tere a dispo­si­zione sup­porto prima di tutto legale anche gra­zie alla lunga espe­rienza e ai con­tatti rac­colti nell’ambito della lotta alla repres­sione dei movi­menti. Acad, spie­gano, è solo un tas­sello nell’ambito di un’azione plu­rale. «Dall’iniziativa di que­sta sera parte un lavoro che deve inte­ra­gire insieme ad altri sog­getti sociali ed asso­cia­zioni che magari hanno più capa­cità di met­tere in discus­sione anche le leggi vigenti», dice Italo Di Sabato che ade­ri­sce ad Acad e fa parte dell’Osservatorio sulla repressione.

La ragione fon­dante e prio­ri­ta­ria è dare voce alle vit­time. «Acad e il numero verde devono essere uno stru­mento per dare a loro la pos­si­bi­lità di farsi sen­tire». Ieri, oltre a Ila­ria Cucci, Lucia Uva e Dome­nica Fer­rulli, hanno rac­con­tato le loro sto­rie anche Mariella Zotti, moglie di Vito Daniele, morto nel 2008 durante un fermo in auto­strada, Car­mela Bru­netti, sorella di Ste­fano, morto nel 2008 a seguito di un arre­sto, Gra­zia Serra, nipote di Franco Mastro­gio­vani, morto nel 2009 nel reparto di psi­chia­tria dell’ospedale di Valle della Luca­nia dopo essere stato legato al letto per ore, Cira Anti­gnano, madre di Daniele Fran­ce­schi, morto in un car­cere in Fran­cia nel 2010, Rai­monda Pusceddu, madre di Ste­fano Gugliotta, pic­chiato a Roma nel 2010, Filippo Nar­ducci, pic­chiato a Cesena nel 2010, Clau­dia Budroni, sorella di Dino, ucciso da un colpo di pistola sul rac­cordo anu­lare di Roma nel 2011 e Osvaldo Casal­nuovo, padre di Mas­simo Casal­nuovo.

La sto­ria di Mas­simo è stata rac­con­tata anche da un docu­men­ta­rio di Dario Tepe­dino. Mas­simo è morto il 20 ago­sto 2011, appena uscito dall’officina in cui lavo­rava con il padre a Buo­na­bi­ta­colo (Salerno). Gui­dava un moto­rino senza casco. A un posto di blocco due cara­bi­nieri dicono di aver­gli inti­mato l’alt ma che lui avrebbe acce­le­rato per poi cadere. Due testi­moni invece sosten­gono che è stato uno dei due cara­bi­niere a dare un cal­cio al moto­rino facen­dolo cadere e uccidendolo.




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