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venerdì 18 settembre 2015

Il Caso di Giordano Bruno Condannato al Rogo



"Oggi la Chiesa Cattolica festeggia S.Roberto Bellarmino inquisitore gentiluomo. Ricordiamo con affetto Giordano Bruno, una delle sue vittime illustri, arso vivo "con amore"

Roberto Francesco Romolo Bellarmino (Montepulciano, 4 ottobre 1542 – Roma, 17 settembre 1621) è stato un teologo, scrittore e cardinale italiano, venerato come santo dalla Chiesa cattolica e proclamato dottore della Chiesa. Apparteneva all'Ordine dei Gesuiti.

Il Caso di Giordano Bruno, filosofo e frate domenicano condannato al rogo per eresia, fu un evento che scaturì dalla dura reazione controriformista ai tentativi di modificare i temi della fede religiosa iniziati alcuni decenni prima con la riforma protestante. Il frate domenicano, condannato per le sue idee anche dalla chiesa luterana e da quella calvinista, si era fatto promotore di nuove idee religiose e filosofiche che lo ponevano in contrasto con quelle della Chiesa, di cui era membro. L'istruzione dell'inchiesta e del processo ebbe luogo nel 1593 e la sentenza fu emessa nel 1600: coinvolse Bellarmino dal 1597, da quando cioè fu nominato consultore del Sant'Uffizio. Il Bellarmino ebbe alcuni colloqui con il frate domenicano, durante i quali tentò di fargli abiurare le molte tesi considerate eretiche, nel probabile tentativo di salvargli la vita, poiché la condanna per eresia era inevitabilmente capitale. La lunga durata del processo fu causata dal fatto che Giordano Bruno non ebbe un comportamento lineare nell'ammettere l'ereticità delle proprie posizioni. Benché gli inquisitori volessero ricorrere, come extrema ratio, alla tortura, Papa Clemente VIII si oppose fermamente.

L'Inquisizione era l'istituzione ecclesiastica fondata dalla Chiesa cattolica per indagare e punire, mediante un apposito tribunale, i sostenitori di teorie considerate contrarie all'ortodossia cattolica (le cosiddette eresie). Nella sola Spagna (e nelle sue colonie) ed in Portogallo l'Inquisizione dal XVI secolo fu sotto il controllo del re e quindi univa al contrasto dell'eresia o della stregoneria anche la persecuzione degli avversari politici.



Struttura e scopi dell'Inquisizione

Da una stessa fonte cattolica si ricava il ventaglio degli obiettivi perseguiti dal tribunale dell'Inquisizione. Stabilito che l'Inquisizione si propose, nel corso della sua lunga esistenza, di perseguire soprattutto gli eretici, ossia coloro che «dogmatizzano contro la fede cristiana e generalmente contro la religione», nella sua fase matura coinvolse, pur essendo di giurisdizione ecclesiastica, anche il potere civile, dal momento che i regnanti considerarono generalmente la religione «come il primo bene de' popoli e come eziandio il più forte baluardo della pubblica sicurezza», collaborando con i poteri ecclesiastici alla repressione delle eresie, «sempre infeste all'altare insieme ed al trono».

A Roma, dal Cinquecento, l'Inquisizione aveva per prefetto lo stesso papa che nominava gli inquisitori generali, un gruppo di cardinali appartenenti alla Congregazione della sacra Inquisizione, e gli inquisitori particolari, consultori della Congregazione; nelle diverse diocesi dello Stato pontificio erano presenti altri inquisitori. Nella Spagna e nel Portogallo venivano nominati dal re gli inquisitori generali, confermati dal papa.

L'autorità dell'Inquisizione, in materia di fede, si estendeva «sopra qualunque persona di qualunque grado, condizione e dignità, o siano vescovi, magistrati, comunità, né vi ha privilegio personale o locale che esenti dalla di lui giurisdizione»: i magistrati e i giudici erano tenuti ad eseguire i suoi decreti, sotto pena di scomunica.

Gli inquisitori procedevano:

«contro gli eretici ed i fautori o ricettatori di essi, contro i sospetti di una falsa credenza, contro quelli che impediscono agli inquisitori di esercitar liberamente il loro uffizio, e contro quelli che richiesti a prestar la loro opera per poterlo eseguire, si ricusano, ancorché siano principi, magistrati e comunità»;
«contro i pagani che venuti alla fede e battezzati, ritornano a professare il paganesimo»;
«contro i malefici ed i sortilegi che con arti superstiziose tentano di danneggiare il prossimo; contro gli astrologi giudiziari, divinatori e maghi, molto più se questi abbiano fatto patti col demonio, ed abbiano apostatato dalla vera religione; contro quelli che impediscono ai bramosi di professare la vera fede e di abbracciarla; contro chi predichi dottrine scandalose e contrarie alla vera religione; contro quelli che in pubbliche lezioni o dispute, ed anche in discorsi e scritti privati sostengono che la ss. Vergine non sia stata concepita senza macchia originale»;
«contro chi usa litanie nuove non approvate dalla sacra congregazione de' riti; contro chi celebra la messa e ascolta le confessioni non essendo sacerdote; contro i sacerdoti sollecitanti a cose turpi nell'atto della confessione o immediatamente innanzi o dopo di essa, o nell'occasione o col pretesto della medesima; contro i ministri del sacramento della penitenza, che neglicentino di avvertire i penitenti dell'obbligo di denunziare i sollecitanti, o che insegnano non esservi siffatta obbligazione, e contro i testimoni falsi e calunniatori che depongono in causa di fede»;
«contro i cristiani apostati, anzi possono procedere contro i giudei ed altri infedeli se neghino quelle verità, che nella loro credenza sono comuni coi cristiani, se invochino o facciano sacrifici ai demoni, e cerchino d'indurre i cristiani ad eseguirli, se pronunzino delle bestemmie ereticali, ed in molti altri casi».

In tempi recenti, qualcuno prova ad operare 
una sorta di "revisionismo storico" per tentare di negare
 il crudele sterminio di milioni di persone.

Il processo inquisitorio
Il processo accusatorio, previsto dal diritto romano, consisteva nel pubblico confronto orale fra accusatore e accusato, al quale assisteva il giudice: l'onere della prova ricadeva sull'accusatore, che se non dimostrava le proprie accuse, era condannato dal giudice alla pena che avrebbe dovuto subire l'accusato in caso di riconosciuta colpevolezza. Il tribunale dell'Inquisizione adottò invece la procedura del processo inquisitorio – dal latino inquisitio, indagine – nel quale il giudice è anche accusatore: sulla base di una denuncia anche generica, egli è tenuto a raccogliere le prove della colpevolezza dell'imputato, conducendo indagini segrete e dirigendo il processo al quale, secondo quanto stabilito nel 1205 dalla decretale Si adversus vos di Innocenzo III, il pubblico non può assistere né è ammessa la presenza di un avvocato difensore; le testimonianze e le dichiarazioni dell'imputato sono verbalizzate. Per giungere alla condanna è sufficiente la testimonianza concorde di almeno due testimoni o la confessione dell'imputato, il quale viene detenuto in carcere durante lo svolgimento del processo, che non ha una durata predefinita e le cui udienze – i costituti - si svolgono a discrezione dello stesso giudice.

Se la prova della colpevolezza non viene raggiunta e allo scopo di sciogliere le eventuali contraddizioni presenti nelle sue deposizioni, l'imputato è sottoposto a tortura - mezzo di coercizione legittimato dalla giurisprudenza fino al XVIII secolo - generalmente consistente nella corda: legate le braccia dietro la schiena, l'imputato, nudo, viene sollevato da terra dalla corda che scorre su una carrucola fissata al soffitto. Egli è tenuto in quella condizione per non più di mezz'ora, perché una durata superiore può comportare gravi conseguenze, dalle lesioni agli arti superiori fino al collasso cardiocircolatorio, ma spesso la tortura della corda avviene in altro modo: la corda viene lasciata e poi bloccata all'improvviso, in modo da provocare strappi muscolari e slogature delle spalle oppure direttamente si danno allo stesso scopo violenti strattoni alla corda con il torturato ancora a terra; talvolta all'imputato sospeso in alto si avvicinavano torce o candele alle gambe provocando forti ustioni. La tortura poteva essere reiterata più volte nel corso del processo, anche per cercare torture più efficaci ed invasive.

Se ritiene che l'accusa di eresia sia stata provata (anche tramite la confessione estorta dopo ripetute torture), il tribunale chiede all'imputato di abiurare, cioè di rinnegare le proprie convinzioni. Abiurando, se non è recidivo, l'imputato evita la condanna a morte e viene condannato a pene diverse, dalle preghiere ai digiuni, dalla multa alla confisca dei beni, dall'obbligo di indossare, per sempre o per un determinato periodo, l'abitello – una veste gialla con due croci rosse sul petto e sulla schiena che lo identifica pubblicamente come eretico penitente – fino al carcere, anche a vita. Se è recidivo (magari anche solo per aver prima confessato sotto tortura e poi negato), relapso, l'imputato è condannato necessariamente a morte: pentendosi, viene prima strangolato o impiccato e il cadavere viene poi bruciato e le ceneri disperse; se è impenitente, viene bruciato vivo. La pena viene eseguita dall'autorità civile, il cosiddetto braccio secolare – al quale il tribunale dell'Inquisizione rilascia il reo – in quanto gli ecclesiastici non possono «spargere il sangue», come indicato dalla costituzione De iudicio sanguinis et duelli clericis interdictio del Concilio Lateranense IV del 1215; anche all'autorità civile il tribunale raccomanda di eseguire la sentenza evitando di spargere il sangue del condannato e la bruciatura sul rogo, con o senza strangolamento preventivo, evita appunto lo spargimento di sangue

Durante il processo la Congregazione fece esaminare da Bellarmino una dichiarazione di Giordano Bruno su otto proposizioni che gli erano state contestate come eretiche. Il 24 agosto 1599 il cardinale Bellarmino riferì alla Congregazione che, nello scritto, Giordano Bruno aveva ammesso come eretiche sei delle otto proposizioni, mentre sulle altre due la sua posizione non appariva chiara: «videtur aliquid dicere, si melius se declararet». La completa ammissione gli avrebbe risparmiato la condanna a morte, ma alla fine Giordano Bruno preferì mantenere le precedenti posizioni decidendo di affrontare la pena. A condanna ormai avvenuta all'imputato venne concesso ancora un qualche compromesso per evitare la morte[6], ma Giordano Bruno preferì affrontare il rogo, che ebbe luogo a Roma in Campo de' Fiori il 17 febbraio 1600.



Per oltre 500 anni la chiesa cattolica ha imposto la propria supremazia spirituale con la violenza, eliminando fisicamente ogni oppositore dalle zone sotto la sua influenza politica.

Tuttavia, poichè tali crimini non erano dovuti a "deviazioni" occasionali, ma rappresentavano pienamente l'ortodossia cattolica, col pieno consenso dei vari papi coinvolti e di tutti gli ordini ecclesiastici, oggi disponiamo di molti documenti ufficiali, paradossalmente prodotti dalle stesse autorità ecclesiastiche cattoliche, che forniscono le dettagliatissime prove storiche delle stragi compiute in nome di Dio.

L'arroganza della chiesa cattolica era talmente sconfinata da non far comprendere, all'epoca, che tali documenti, un giorno, potevano essere visti non come "atto di fede", (come essi definivano gli omicidi degli "eretici") bensì come spietata repressione delle opinioni altrui.



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