Le Carte Parlanti

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giovedì 30 giugno 2016

Passerella di Christo'


 Sfilata di popolo e parcheggio a 20 euro: italiani senza speranza

Due mesi fa affrontarono code chilometriche, in tangenziale prima e davanti ai negozi poi, per assistere all’inaugurazione del centro commerciale di Arese, dove si era diffusa la voce del pollo fritto in omaggio. Oggi fanno la stessa cosa per andare sul lago d’Iseo, dove parcheggiano a 20 euro, si ‘sparano’ tre chilometri di camminata su una passerella ricoperta da un pezzo di stoffa e mangiano sul lago pagando tutto il triplo. Italiani, popolo senza speranza

 La passerella di Christo', istrionico americano di origini bulgare, è soltanto l’ultimo bluff di un pubblicitario (bravissimo) mascherato d’artista (all’inizio originale, oggi ripetitivo, quindi mediocre). E in Italia, patria dei gonzi, non poteva non avere successo. Eccoli lì, i cittadini di metà nazione: incantati davanti a una passerella galleggiante lunga tre chilometri e mezzo con un pezzo di stoffa sopra, che cambia colore a seconda della luce del giorno e delle notte. Si mettono in coda, dopo aver pagato 20 euro per parcheggiare, poi si fanno la passeggiata sotto il sole , bambini al seguito ed infine tutti con le gambe sotto il tavolo per magiare e bere sul lago pagando il triplo. Lo scorso aprile fecero lo stesso: code chilometriche e ore di tempo per arrivare all’inaugurazione del centro commerciale di Arese, scena devastante che si ripeteva qualche giorno dopo, quando si era diffusa la voce che K. distribuiva il pollo fritto gratis.

La passerella di Christo' è la stessa cosa: una giostra, una specie di luna park. Una pagliacciata, di quelle così potenti da generare un business milionario. Gli unici, che veramente dovrebbero fare un monumento al sedicente ‘artista’ sono i gestori di alberghi e ristoranti: hanno registrato il tutto esaurito e non riescono più a soddisfare le prenotazioni. ‘The floating piers’, perché se il nome è in inglese piace di più. Se poi l’autore di queste banalissime installazioni si è costruito una certa popolarità, allora il gioco è fatto: troverete centinaia di critici pronti a decantare, con espressioni roboanti, la geniale invenzione.

Che di geniale non ha nulla, perché l’arte, in epoca contemporanea è da un secolo lo specchio di tempi più aridi, più pragmatici, più utilitaristi. E allora l’artista si adegua, provoca il pubblico. Le fece Marcel Duchamp. maestro indiscusso del ‘ready-made’ e dell’assemblaggio. Una volta scandalizzò i perbenisti, perché portò in un museo una ruota di bicicletta, la mise su un cavalletto e disse a tutti che era un’opera d’arte. Eccellente provocazione di chi aveva inteso la crisi profonda della poesia (dal greco ‘poiesis’, ‘creazione’). Piero Manzoni fece di più: defecò in un vasetto, lo portò al museo e lo chiamò ‘merda d’artista’. Provocazione ancora più intelligente, sempre con il medesimo scopo.

Farlo ai tempi di Duchamp e Manzoni, ottant’anni fa, aveva un senso preciso. Ma riproporre oggi la parodia di quelle provocazioni è manierismo, della peggior specie. E poi è marketing, pubblicità, ma nulla di più. Una gigantesca attrazione per gonzi, che infatti abboccano a frotte. Se volete farvi un giro sul Lago d’Iseo, mangiare e bere, godervi lo spettacolo di un luogo naturale fra i più belli al mondo e farvi pure un giro di giostra, accomodatevi. Alla fine, forse, era proprio questo lo scopo che Christo voleva raggiungere: spacciare una passerella per opera d’arte e contemplare il decadente spettacolo di migliaia di persone in coda per salirci sopra. E non c’era neppure il pollo fritto gratis. Bravi gli italiani, popolo senza speranza.


LEGGI TUTTO SULLA PASSERELLA

I COSTI

COME E' NATA L'IDEA

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mercoledì 29 giugno 2016

Stupro di Gruppo












In un paese fatto di genitori che permettono ai figli minorenni di scrivere sui social affermazioni
violente e criminali, che giustificano un reato terribile, non ci si può certo stupire che quelle 5 belve 
esistano. Noi siamo quello che respiriamo, vediamo, ascoltiamo, sentiamo. Siamo l’educazione che la società e la famiglia ci offrono.
Un genitore che giustifica un figlio criminale è più criminale e pericoloso del figlio stesso.
Uno stupro è un dolore che dura una vita. 

Alberto Moravia pubblica il romanzo La ciociara, una versione cinematografica diretta da Vittorio De Sica; è celebre l’interpretazione dell’allora ventiseienne Sophia Loren. 

leggi l' articolo
Italia : Maschilismo e Stupri di Gruppo per Ignoranza




martedì 28 giugno 2016

Per Creare una Password Sicura


Quante password abbiamo legate ai numerosi strumenti e servizi che la tecnologia del giorno d'oggi ci mette a disposizione. Tante, ma sono veramente sicure? 

L’introduzione di tanta tecnologia nella vita di tutti i giorni richiede una crescente adozione di password. Pc, smartphone, posta elettronica, Facebook, Twitter, tutti strumenti e servizi che richiedono una protezione onde evitare accessi indesiderati.

 Banalmente vanno evitati password del tipo 123456, oppure qwerty e altre parole troppo banali e quindi poco sicure.


Una password sicura dovrebbe essere lunga almeno otto caratteri, contenere simboli alfanumerici, mischiando lettere maiuscole e minuscole, includendo anche caratteri speciali. Complicando le password in questo modo se da un lato acquisiamo in sicurezza perché diventano più difficili da indovinare, dall’altro lato per noi diventano più difficili da ricordare. Come fare allora?

CONTINUA A LEGGERE

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Altro Presidio davanti a Palazzo Marino a Milano



"Nulla su di Noi e senza di Noi"
Il Movimento per i Diritti dei Disoccupati
Invita a Partecipare al PRESIDIO
 davanti al Comune di  Milano 
"PALAZZO MARINO"
Giovedì 7 Luglio dalle ore 14:00 alle ore 18:00
Contro la legge Fornero a favore di tutte le Fragilità e criticità del mondo del lavoro:
Disoccupati di tutte le età
Lavoratori precoci quota 41
Opzione Donna
Mobilitati
Esodati
con fischietti, striscioni e cartelli 
faremo sentire la nostra voce
al nuovo Sindaco ed alla Nuova Giunta
che governa la Città

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domenica 26 giugno 2016

Uscita Italiana dall’Euro è un SUICIDIO ?


DALL'EURO SI ESCE PER DECRETO ED A MERCATI CHIUSI 

Se da un lato i Trattati europei prevedono espressamente la facoltà per ciascuno Stato membro di 
recedere dall’Unione - articolo 50 del Tfue, Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea - ponendo come solo obbligo il rispetto delle disposizioni costituzionali e non anche – ad esempio - la 
predisposizione di un atto motivato (questo vuol dire che il recesso può avvenire senza che ricorra un 
legittimo o giustificato motivo di autotutela della sovranità e dell’ordine pubblico interno propri di un determinato Stato membro), 
dall’altro l’uscita dall’euro presenta certamente maggiori problemi (ma solo in apparenza). 
I Trattati, infatti, non sono così chiari come nel caso di recesso dall'Unione. 


Se da un lato gli artt. 139 e 140 del Tfue, prevedendo la distinzione tra Stati “la cui moneta è l'euro” e Stati in deroga, non escludono la possibilità per ciascuno degli Stati “la cui moneta è l'euro” di tornare allo status di Stato in deroga (in tal caso le predette norme andrebbero lette in parallelo con la 
Convenzione di Vienna), dall'altro il recesso dalla moneta unica può avvenire attraverso un atto di 
imperio da parte del Governo italiano, cioè un decreto legge emanato dall'esecutivo – che il Parlamento dovrebbe convertire in legge secondo il dettato costituzionale entro sessanta giorni – attraverso il quale si preveda il ritorno ad una moneta nazionale (da convertire 1:1 con l'euro) provvedendo altresì alla parallela e indispensabile conversione del nostro debito pubblico (il cui ammontare è per circa il 96% ancora sotto giurisdizione italiana) in nuova moneta nazionale (alla quale il Governo dovrebbe ovviamente attribuire valore intrinseco, 
cioè fissare l'imposizione fiscale in nuova moneta nazionale). 

Il tutto, ovviamente, dovrebbe essere accompagnato dal necessario superamento dello scellerato 
divorzio avvenuto nel 1981 tra Banca d'Italia e Tesoro (per cui la Banca d'Italia dovrebbe tornare ad 
esercitare l'importantissima ed irrinunciabile funzione di prestatrice di ultima istanza) e dalla 
nazionalizzazione delle banche, le quali, invece di perseguire lo scopo della speculazione, dovrebbero tornare ad esercitare la funzione per la quale furono costituite, cioè quella di finanziare cittadini e 
imprese nell'interesse nazionale e nel perseguimento delle finalità costituzionali (lavoro, uguaglianza 
sostanziale, risparmio, credito e libera iniziativa economica)!

Del resto, nel caso si decidesse di far leva sul combinato disposto rappresentato dagli artt. 139 e 140 
del Tfue e dalla Convenzione di Vienna, uscire dall'euro restando nell'Ue (vestendo quindi lo status di Stato in deroga) non risolverebbe affatto i nostri problemi in quanto saremmo comunque legati ai vincoli esterni, salvo si decidesse di non rispettarli più, ma in tal caso saremmo comunque esposti a procedure di infrazione da parte di Bruxelles. 

Ciò detto, al fine di poter porre in essere tutte le misure necessarie allo scopo di risolvere le gravissime problematiche economiche e occupazionali cui versa il nostro Paese, la strada consigliata sarebbe quella dell'uscita dall'UE facendo leva sull'art. 50 del Tue e della parallela uscita dall'euro per decreto, con necessaria conversione del debito pubblico in nuova moneta nazionale e applicando - nell’interesse nazionale e secondo quanto già previsto dal codice civile
 – il principio della Lex Monetae.

A tal proposito si precisa che l'eventuale ritorno ad una moneta nazionale non significa tornare alla 
vecchia lira come l'abbiamo conosciuta, bensì ad una nuova moneta (da convertire 1:1 con l'euro e il cui cambio sarebbe stabilito di volta in volta dal mercato) 
che può chiamarsi in qualsiasi modo: nuova lira, 
fiorino, scudo, ducato, grano, eccetera.

A questo punto, una delle argomentazioni che gli euristi contrappongono all’uscita dall’euro è quello che gli italiani si vedrebbero impennare la rata del mutuo. Una sciocchezza che non ha senso. 

E vi spiego il perché grazie al principio della Lex Monetae (combinato disposto degli artt. 1277, 1278 e 1281 co. I del codice civile).

Ma leggiamo l’art. 1277 co. I e II c.c. 
“I debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale. Se la somma dovuta era determinata in una moneta che non ha più corso 
legale al tempo del pagamento, 
questo deve farsi in moneta legale ragguagliata per valore alla prima”. 


Questo articolo si applicherebbe qualora deflagrasse l’intera Eurozona con la conseguenza che non vi sarebbe più la moneta unica e quindi questa non avrebbe più corso legale in nessuno degli Stati che vi avevano aderito. 

In tal caso i pagamenti andrebbero fatti in moneta legale (ad esempio la nuova Lira) ragguagliata per 
valore all’Euro, e il rapporto di cambio sarebbe uno a uno (il cosiddetto changeover, cioè il cambio “in uscita” e non, come sostengono alcuni sprovveduti, il cambio “in entrata”).

Ciò detto, qualora vi fosse una deflagrazione di tutta l’Eurozona (e quindi la fine dell’Euro), per noi non vi sarebbero eccessivi problemi perché troverebbe applicazione la norma di cui all’art.1277 c.c.! 

I problemi sorgerebbero invece – quantomeno in apparenza – qualora ad uscire fosse l’Italia con parallela sopravvivenza dell’Eurozona e quindi della moneta unica.

A tal proposito leggiamo l’art. 1278 c.c. “Se la somma dovuta è determinata in una moneta non avente corso legale nello Stato, il debitore ha facoltà di pagare in moneta legale, al corso del cambio nel giorno della scadenza e nel luogo stabilito per il pagamento”.

In tal caso il debitore potrebbe optare di pagare in Euro (e ciò sarebbe una iattura) oppure in moneta 
legale (la nuova Lira), con il rischio della svalutazione di questa nuova moneta (svalutazione che in 
questo preciso caso rappresenterebbe un’ulteriore iattura). 
Per dirla con parole povere, ecco un esempio pratico: chi ha acceso un mutuo a tasso variabile, in caso di uscita dell’Italia dall’Euro potrebbe scegliere di pagare in Euro (che però non avrebbe più corso legale in Italia e quindi sarebbe difficile da procurare), oppure potrebbe optare di pagare in nuova moneta nazionale che tuttavia sarebbe soggetta a svalutazione, con conseguenze molto pesanti 
sull’ammontare delle rate di mutuo. 

Ed è proprio qui che trova applicazione un altro dei principi cardine del nostro ordinamento giuridico, ossia lex specialis derogat generali (la norma speciale deroga quella generale), richiamato 
espressamente in merito a tale argomento dall’art. 1281 co. I c.c.: “Le norme che precedono si 
osservano in quanto non siano in contrasto con i principi derivanti da leggi speciali”. 

Il che vuol dire che il Governo, con il medesimo decreto di uscita, deve prevedere che i rapporti di 
debito e credito espressi in euro siano regolati in nuova moneta nazionale al cambio previsto alla data del changeover (1:1), e non a quella della scadenza del debito/credito (che ovviamente incorporerebbe la svalutazione della nuova lira). 

Uscire dall’euro è possibile. Basta Volerlo. 
E non mi si parli di referendum. 

Se qualche forza politica italiana proponesse seriamente un referendum consultivo sull’euro (che al 
momento non è giuridicamente praticabile), dovremmo sostenere una campagna elettorale sotto il 
ricatto violento dei mercati, che spingerebbe i cittadini a votare
 (sotto costrizione) per la permanenza nell’eurozona. 

Non credo proprio che gli italiani sarebbero disposti a sopportare un mese di campagna elettorale con lo spread alle stelle e con prelievi limitati agli sportelli bancari.

Per di più, dal punto di vista strettamente giuridico, la nostra Costituzione vieta espressamente 
referendum abrogativi sui Trattati internazionali, oltre a non prevedere alcuna forma di referendum 
consultivo. 

Quindi quando sento qualcuno parlare di referendum sull’euro mi viene da ridere! Tuttavia, per onestà intellettuale, è bene ammettere che, se la riforma costituzionale renziana superasse la prova 
referendaria di ottobre, questa introduce referendum popolari propositivi e di indirizzo senza preclusioni su alcuna materia, ma in ogni occorrerebbe una successiva legge costituzionale che ne disciplini sia l’introduzione che la normativa.

In pratica, nelle migliore delle ipotesi, occorrerebbero almeno altri 3-4 anni perché si giunga ad una 
eventuale consultazione sull’euro come quella proposta ad esempio dal Movimento 5 Stelle, con tutti i problemi sopra richiamati. 

Ciò detto, io mi sto impegnando in prima persona perché la riforma non passi il referendum 
confermativo di ottobre, non perché non voglia l’introduzione di referendum cosiddetti “consultivi”, ma perché si tratta di una riforma pessima che presenta una pericolosa e grave assenza di pesi e 
contrappesi.
Dall’euro, quindi, si può uscire solo per decreto, da emanarsi un sabato o una domenica, cioè a mercati chiusi. Punto. 
Chi afferma il contrario non sa che cosa dice. 
di Giuseppe Palma : giurista e scrittore, autore del blog ScenariEconomici.it e dei libri "Figli destituenti. I gravi aspetti di criticità della riforma costituzionale”, "Il tradimento della Costituzione. Dall’Unione Europea agli Stati Uniti d’Europa: la rinuncia alla sovranità nazionale" e "Il male assoluto. Dallo Stato di diritto alla modernità Restauratrice. L'incompatibilità tra Costituzione e Trattati dell'UE. Aspetti di criticità dell'Euro" ed "€uroCrimine. Cos'è la moneta unica e come funziona. Soluzioni giuridiche per uscire dall'euro"?.

LEGGI COME L'INGHILTERRA...
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Unione Europea Migliore senza Inghilterra


Londra era un ostacolo, ora può davvero nascere l’Europa
Dopo il referendum e il vertice di Berlino dei cinque fondatori, parla l’ex ambasciatore: «La Gran 
Bretagna ha sempre fatto di tutto per evitare più integrazione. L’Europa deve ripartire da fisco e 
immigrazione. Lo scenario più probabile? Un’Unione a due velocità»

«Dopo la sbornia, il risveglio è amaro. Ed è esattamente quel che sta succedendo in Gran Bretagna». 

Non si stupisce Sergio Romano, ex ambasciatore, delle ricerche compulsive su Google per capire cosa sia l‘Unione Europea, delle 800mila firme che chiedono di rifare il referendum, di Boris Johnson che dice che non c’è alcuna fretta di abbandonare l’Unione Europea, di Nigel Farage costretto ad 
ammettere che non ci sarà un extra budget di 350 milioni di euro per la sanità britannica come aveva 
promesso in campagna elettorale, della Cornovaglia che chiede di poter comunque accedere ai fondi 
europei cui aveva attinto a piene mani negli anni precedenti: «Questo è il più buffo dei referendum mai organizzati. Hanno posto al popolo un quesito senza rendersi conto delle conseguenze della decisione che stavano prendendo».


C’è chi dice che la responsabilità di Cameron sia quella di aver promosso il referendum, 
non di averlo perso…
È vero. Le responsabilità maggiori sono sue. 
Un referendum del genere è populismo, non è democrazia. 
I trattati internazionali sono argomenti troppo complessi per dire dei sì o dei no. La gente non sa che 
cosa sta andando a votare. E il bello è che a Cameron non pensava all’Europa. Ha creato il caos per 
risolvere un suo problema personale.
Cioè?
Il suo partito era spaccato in due, l’Ukip erodeva voti a destra: Cameron ha promosso il referendum per rimanere al governo e avere un ruolo politico nel futuro. Risultato? Il suo partito è ancora diviso in due, l’Ukip è risorto dopo la batosta alle ultime elezioni e lui, prima o dopo, dovrà dimettersi.
È solo lui il colpevole?
È il principale, ma non il solo.
Chi altri, allora?
Cameron, promuovendo il referendum, ha messo l’Unione Europea in grave imbarazzo, costringendola a offrire alla Gran Bretagna condizioni ancora migliori di quelle precedenti, in caso avesse vinto il Remain.
In che senso l’Europa è stata costretta?
Non l’avessero fatto, in caso di Brexit sarebbero passati come i responsabili dell’uscita dall’Unione 
Europea della Gran Bretagna. È stato un errore, a posteriori: dovevamo essere più duri, rischiando di 
prenderci la colpa. Nessuno se l’è sentita e abbiamo pure noi giocato il gioco di Cameron, 
perdendo insieme a lui.
E adesso?
Adesso la palla è nelle mani di chi ha a cuore le sorti dell’Unione. Francia e Germania, soprattutto, ma anche noi italiani. Non fosse altro per il fatto che siamo i paesi che più degli altri hanno scommesso su questo disegno.


Cosa vuol dire aver la palla tra le mani?
Vuol dire prendere iniziative che abbiano un contenuto. Non c’è momento migliore per farlo.
Perché?
Perché la Gran Bretagna era sì un paese importante dell’Unione Europea, ma anche quello che si è 
opposto più degli altri alle cessioni di sovranità. Con loro fuori, molte cose fino adesso considerate 
impossibili, diventeranno possibili.
Ad esempio?
Ad esempio, nel coordinamento fiscale. Quando si stava costruendo il mercato unico, Mario Monti, 
allora commissario, mi diceva spesso che gli inglesi erano i suoi migliori alleati. Ma quando cominciò a parlare di coordinamento fiscale, gli alleati diventarono avversari. Ora è fondamentale che vi sia una politica fiscale comune e un ministro che sovrintenda l’economia europea. In questo senso, l’assenza degli inglesi facilita i processi.
E poi?
Dobbiamo occuparci seriamente di immigrazione.
Perché dice così?
Perché è l’origine di tutti i malumori di cui stiamo soffrendo. E sta nutrendo il campo dei nazionalismi populisti. Li dobbiamo lavorare, senza avere l’illusione che vi siano soluzioni miracolistiche.Ecco: come?
Bisogna creare una frontiera comune. Il grosso errore di Schengen è stato quello di non affrontare 
questo problema. Se gli immigrati, quando entrano, possono girare dappertutto, ogni frontiera 
appartiene a tutti, non solo agli stati nazionali. Di conseguenza, ognuna di quelle frontiere deve avere le medesime guardie di frontiera, i medesimi principi di accoglienza. E invece, finora, ognuno ha fatto quel che voleva. Ricordo ancora, nel 2011, Roberto Maroni che favorisce il viaggio verso la Francia dei profughi tunisini provoca le indispettire reazioni francesi…

«La Gran Bretagna era sì un paese importante dell’Unione Europea, ma anche quello che si è opposto più degli altri alle cessioni di sovranità. Con loro fuori, molte cose fino adesso considerate impossibili, diventeranno possibili»

Frontiere comuni vuol dire anche esercito europeo?
C’è stato un momento in cui si pensava che l’unità d’europa dovesse partire da un esercito comune. Era un momento particolare: la fine della seconda guerra mondiale, l’inizio della guerra fredda con l’Unione Sovietica. Fu quello il principio su cui si fondò la Comunità europea di difesa. Ad affossarla fu la Francia, con il voto congiunto 
- seppur con motivazioni profondamente diverse
 - di comunisti e gollisti.

Ci possiamo riprovare?
Non credo. Ora le condizioni non sono migliori di allora.


Come mai?
Soprattutto, perché esiste una disparità qualitativa militare, tra i membri dell’Unione Europea. Abbiamo una potenza nucleare, la Francia, che non vuole mettere in comune il suo potere. Abbiamo paesi che spendono nelle loro forze armate e altri come l’Italia che spendono troppo poco. Difficile creare una nuova istituzione paritetica, tra enti che non lo sono. Si rischia di riprodurre un errore. E per di più di farlo quando ci sono altre urgenze.
Una su tutte: che l’esempio britannico contagi gli altri Paesi europei…
Non credo che accadrà, in tutta onestà.

Come mai?
Adesso va di moda pensare che altri Paesi minacceranno l’uscita e poi andranno all’incasso, 
strappando condizioni migliori di quelle attuali. Io non ne sono affatto convinto. Quello che vediamo oggi in Gran Bretagna è il risveglio dopo la sbornia nazionalista I paesi che davvero vogliono imitare la Gran Bretagna ci penseranno due volte, prima di farlo. Dal canto nostro, abbiamo molti più argomenti per contrastarli, oggi.

Quindi che succederà, allora?
Non lo sappiamo. Certo, non me la sentirei di escludere l’ipotesi che l’Europa finisca per procedere a 
due velocità, costruendo la propria unione politica attorno al nucleo stretto dei Paesi fondatori, forse ad esclusione della sola Olanda.
Tagliando fuori l’est, insomma…
L’allargamento a est è figlio di un’idea di John Major, Primo ministro britannico dopo le dimissioni di Margaret Thatcher. Più si allargava l’Europa, meno sarebbe stato possibile integrarla a livello federale. La Gran Bretagna, di fatto, è entrata in Europa per impedirci di fare l’Europa. Adesso che loro non ci sono più, ci sono anche le condizioni per ripensare l’allargamento. Alcuni paesi dell’est come l’Ungheria, peraltro, giustificano il ripensamento, chiedendoci cose che vanno contro i principi fondativi dell’Unione.

«L’allargamento a est è figlio di un’idea di John Major. Più si allargava l’Europa, meno sarebbe stato 
possibile integrarla a livello federale. La Gran Bretagna, di fatto, 
è entrata in Europa per impedirci di fare l’Europa»
La cosa incredibile è che di questa “prima Europa potrebbero far parte anche la Scozia. E pure, 
incredibile a dirsi, l’Irlanda unita, se è vero che la Brexit metterà in moto pure un referendum per la 
separazione dell’Ulster dal Regno Unito…
La situazione irlandese è tanto spinosa quanto paradossale. Dopo essersi ammazzati a vicenda per 
decenni, potrebbero sposarsi per l’unica delle ragioni che non era stata prevista. Mentre riguardo alla 
Scozia, confesso che sono diviso tra due sentimenti opposti.
Cioè?
Mi piacerebbe che se ne andassero dal Regno Unito. Sarebbe una lezione della Storia, un altro modo 
per fare capireall’Inghilterra che ha sbagliato tutto. L’Unione Europea però non è nata per spaccare gli Stati. Il giorno in cui se ne va la Scozia, come fa un leader catalano ad accontentarsi di meno?

Un altro effetto paradossale della Brexit è che finirà per mettere in crisi gli stati nazionali?
L’Unione Europea doveva essere la soluzione razionale per la promozione degli autonomismi all’interno di una casa comune. 
Oggi c’è il rischio che prevalga quella irrazionale. L’ennesimo effetto del 
“capolavoro” di David Cameron.

LEGGI ANCHE SE L'ITALIA USCISSE DALL'EURO

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sabato 25 giugno 2016

LEONARDO DA VINCI: SOGNO di CAMMINARE sull’ ACQUA



L’UTOPIA DI LEONARDO DA VINCI

Tante proiezioni tecniche del grande Leonardo, come ben sappiamo, trovarono applicazione nel futuro, come se egli avesse scritto, per immagini, un libro di fantascienza. Ma forse non ha trovato grande applicazione questo lavoro, che avrebbe dovuto consentire all’uomo di camminare sulle acque. Dotato di un costume da bagno, rigonfio come quello dei paggi, il camminatore di Leonardo usa un paio di bastoncini alla cui estremità sono legati due palloncini realizzabili con la vescica o l’intestino degli animali. Ai piedi sci gonfi dello stesso materiale. Camminare sulle acque non è semplice, perchè si crea uno sbilanciamento tra la parte superiore e quella inferiore del corpo. Christo risolve il problema con passerelle galleggianti gigantesche, larghe quanto un’autostrada.


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LEONARDO DA VINCI: SOGNO di CAMMINARE sull’ ACQUA



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venerdì 24 giugno 2016

Gran Bretagna Esce dall'Europa


 In realtà c'è sempre stata a mezzo servizio e negli ultimi anni da quando ha rifiutato di firmare i trattati per l'austerità o ha contrattato ampie autonomie proprio per evitare il brexit, era nella Ue giusto pro forma. Dunque il terremoto che viene narrato intorno alle borse  è frutto di una emotività riferita alle stesse drammatizzazioni  pre elettorali prodotte dai poteri finanziari, europei e americani: sono le bugie che tentano per un piccolo spazio di tempo di tradursi da ectoplasmi narrativi in realtà. Alcuni giorni prima del voto  - vissuto in un'atmosfera da tregenda appositamente creato e tale da dar luogo al primo assassinio di un parlamentare in carica dopo due secoli - W.M. tra i più famosi editorialisti del Financial Time, oltre che di fede ordoliberista, dunque insospettabile, aveva scritto:“Durante le conversazioni con i funzionari europei continuo a sentire ripetere un argomento rivelatore: se la Gran Bretagna votasse per uscire dall’Ue e ciò venisse visto come un successo, altri paesi membri potrebbero seguirne l’esempio. Perciò questo pericolo deve essere stroncato sul nascere. Questo modo di ragionare rivela l’implicita ammissione che la Brexit potrebbe funzionare dal punto di vista economico. Più precisamente, chi ragiona così teme che un eventuale successo post-Brexit tolga agli europeisti ciò che essi ritengono essere il proprio argomento più forte: 
la paura dell’ignoto.”

“La politica europea dell’austerità tedesca sta rovinando l’Ue”. È il giudizio di Romano Prodi sui ‘responsabili’ della Brexit. Per l’ex presidente del Consiglio, “alla base di tutto c'è stata una scelta sbagliata” del premier britannico David Cameron, che ha impostato il referendum “solo per interessi personali”. I cittadini del Regno Unito hanno respinto l’idea di “un’Europa ferma, che rinvia le decisioni e non si occupa di capire le tensioni e i problemi delle popolazioni dei singoli stati”.

" La riflessione importante da fare è che le classi abbienti hanno votato per il Remain e le classi povere invece per il Leave. Nel mondo, non solo in Inghilterra, le proteste si stanno condensando nei ceti che soffrono per la globalizzazione e l'Europa è vista come una parte di questo processo".

"Stiamo attuando una politica economica non inclusiva e questo dà linfa ai partiti populisti, che infatti stanno facendo proseliti in Italia, Francia, Spagna e nella stessa Germania. Nel caso inglese, tale malcontento si è espresso nella rabbia verso l'Europa. Certo, alla base di tutto c'è stata una scelta sbagliata di Cameron, anche se avesse prevalso il Remain. Indire un referendum ha indebolito la posizione della Gran Bretagna a Bruxelles, ha confuso gli elettori, ha mostrato chiaramente come fosse soltanto una mossa strategica per restare al comando del governo britannico. E l'insieme di questi elementi ha fatto sì che quello di ieri fosse un voto anti Europa ma anche anti Cameron. Il referendum è stato impostato da Cameron solo per interessi personali. E in questo senso, si potrebbe dire: ben gli sta".
Prodi aggiunge di essere personalmente "rimasto sdegnato dalle trattative svoltesi fra l'Europa e la Gran Bretagna per scongiurare la Brexit. Il governo britannico veniva autorizzato a stare fuori da ogni progresso che l'Unione avrebbe compiuto, configurando pertanto una Europa a due velocità, cambiando la stessa natura dell'Unione. D'altronde – prosegue l’ex presidente del Consiglio - i referendum spesso hanno valenze politiche ben diverse da quelle che si evincerebbero dai quesiti posti agli elettori. In Francia, quando venne bocciata la costituzione europea, in realtà incise molto l'atteggiamento anti Chirac, che all'epoca era al governo del Paese. Ma quella britannica se vogliamo è anche una bocciatura dell'idea stessa di Europa così com'è, perché la gente se vede un'Europa ferma, che rinvia le decisioni, che non si occupa di capire le tensioni e i problemi delle popolazioni dei singoli stati, inevitabilmente, si allontana. Da anni ormai diciamo che questa politica europea dell'austerità tedesca non ci piace e sta rovinando l'Unione".
Prodi conclude: "la bocciatura britannica dimostra come questo malessere sia radicato non nei centri delle città, ma nelle periferie, dove appunto si soffre questa paralisi europea. La decisione britannica – spiega l’ex premier - potrebbe avere anche forti conseguenze interne, visto che in Scozia e Irlanda del Nord la vittoria del sì all'Europa ha assunto dimensioni cosi elevate da far pensare che possa fungere da trampolino per rivendicazioni autonomiste. Rivendicazioni che potrebbero coinvolgere anche altre realtà europee, come la Catalogna in Spagna".


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giovedì 23 giugno 2016

E' ora di Cambiare Politiche


Rottamate quello che vi pare, ma Prodi continua a essere
 l'unico con la lucidità di analizzare la situazione.

"C'è un'ondata mondiale, partita in Francia, ora in America. Lo chiamano populismo perché pur 
nell'indecifrabilità delle soluzioni interpreta un problema centrale della gente nel mondo contemporaneo: l'insicurezza economica, la paura sociale e identitaria."

"La disonestà pubblica peggiora le cose, ma la radice è la diseguaglianza. Ci siamo illusi che la gente si rassegnasse a un welfare smontato a piccole dosi, un ticket in più, un asilo in meno, una coda più 
lunga... Ma alla fine la mancanza di tutela nel bisogno scatena un fortissimo senso di ingiustizia e paura che porta verso forze capaci di predicare un generico cambiamento radicale"
"Quando tu vedi che solo il centro storico delle città è rimasto ai partiti della sinistra... Vogliamo 
chiederci perché Trump è odiato a Wall Street e osannato dai metalmeccanici del Michigan? È un 
leader più europeo di quel che pensiamo, non è semplicemente reazionario ma tocca, certo in modo 
sbagliato, le paure reali del ceto medio."
"Non si tratta di cambiare i politici ma di cambiare politiche. Cambiare i politici è condizione necessaria ma non sufficiente."


Prodi, messaggio al governo: “Due anni bastano per logorarsi, necessario cambiare politiche”

"I populisti crescono perché c'è troppa ingiustizia. L'ascensore sociale è bloccato e dentro si soffoca"
"Cambiare politiche, non solo politici. Se non cambiano le politiche, il politico cambiato si logora anche in due anni". Quasi uno scioglilingua, ma condito con un sorriso ammiccante. Dal suo ufficio di Bologna Romano Prodi, padre fondatore del Pd in ritiro politico, osserva le elezioni di domenica, le maggiori città del paese governate da partiti che non esistevano fino a pochi anni fa, 
e manda un messaggio a Palazzo Chigi.

Esplode il mappamondo politico. Cosa sta succedendo?
"Non basta guardare il voto di questa o di quella città. C'è un'ondata mondiale, partita in Francia, ora in America. Lo chiamano populismo perché pur nell'indecifrabilità delle soluzioni interpreta un problema centrale della gente nel mondo contemporaneo: 
l'insicurezza economica, la paura sociale e identitaria".

I populismi sono figli solamente di una crisi di paura?
"La paura di non farcela è tremenda ma non immaginaria. La chiami iniqua distribuzione del reddito, ma per capirci è ingiustizia crescente. Quando chiedo ai direttori di banca: quanti dipendenti avrete fra dieci anni?, mi rispondono: meno della metà. L'iniquità post-Thatcher e post-Reagan si è sommata alla dissoluzione della classe media, terribile tendenza di tutte le economie sviluppate 
e di mercato, e sotto tutti i regimi".



Cos'è classe media?
"Nel senso più ampio possibile, chiunque avesse una sicurezza anche modesta sulla propria vecchiaia 
e sul futuro dei figli. Ma il pensionato che diceva orgoglioso "io non ce l'ho fatta, ma mio figlio è 
laureato", ora non lo dice più. L'ascensore sociale si è bloccato a metà piano e dentro si soffoca".

I Cinquestelle gridano "onestà- onestà", sembra soprattutto una rivolta morale...
"La disonestà pubblica peggiora le cose, ma la radice è la diseguaglianza. Ci siamo illusi che la gente si rassegnasse a un welfare smontato a piccole dosi, un ticket in più, un asilo in meno, una coda più 
lunga... Ma alla fine la mancanza di tutela nel bisogno scatena un fortissimo senso di ingiustizia e paura che porta verso forze capaci di predicare un generico cambiamento radicale".

La rabbia poteva avere altri sbocchi politici, non crede?
"Quando il socialismo era all'opposizione appariva come la grande alternativa.
 Ma cos'è successo poi? 
Una fortissima omologazione delle politiche, da Clinton alle grandi coalizioni tedesche all'Italia... Non mi faccia dire del "partito della nazione", 
ma è chiaro che qualcosa del genere è accaduto anche qui".


Una politica uniformata fa nascere i populismi?
"No, lo fa una politica uniformata quando occupa tutto il campo, ma non sa dare soluzioni. Allora la 
rabbia della gente crea un altro campo. Se il voto diventa liquido, è per questo. Quando tu vedi che solo il centro storico delle città è rimasto ai partiti della sinistra... Vogliamo chiederci perché Trump è odiato a Wall Street e osannato dai metalmeccanici del Michigan? È un leader più europeo di quel che pensiamo, non è semplicemente reazionario ma tocca, certo in modo sbagliato,
 le paure reali del ceto medo".

Ma anche quando la politica tradizionale dà soluzioni, perde. Piero Fassino amareggiato 
dice che non basta più governare bene.
"Fassino ha governato bene, nessuno ne dubita, ma chiunque governi oggi viene identificato col potere costituito, ed è un bersaglio. Il gioco è molto più grande di un municipio, il problema è che alle grandi forze politiche nazionali manca un'interpretazione della storia e del presente".


Un problema di questa classe politica di governo?
"Non si tratta di cambiare i politici ma di cambiare politiche. 
Cambiare i politici è condizione necessaria ma non sufficiente".

Be', i politici di governo li abbiamo cambiati da poco.
"Se non cambi le politiche, il politico cambiato invecchia anche in un paio d'anni... C'è sempre un'usura, e corre veloce. La mancanza di risposte efficaci logora. E al momento si sente la mancanza di risposte che affrontino il problema delle paure e delle cause reali delle paure".

È un Pd de-ideologizzato che non ha queste risposte?
"Rifiutare le strettoie delle ideologie è diverso dal non avere radici e risposte fortemente orientate. Non abbiamo un Keynes, un progetto per uscire in modo collettivo dalla crisi. Quando governi, devi dare operativamente il messaggio che sai affrontare i problemi, e questo non lo puoi fare senza il 
coinvolgimento di una forte base popolare nel cambiamento delle politiche. Devi dimostrare di capire e di andare incontro ai problemi. Il rinnovamento per il rinnovamento non è una risposta sufficiente".

C'entra anche la personalizzazione della politica? Paradossalmente, quando Grillo si eclissa i 
Cinquestelle vincono, mentre il Pd, dove Renzi "pone la fiducia", soffre...
"Di fronte alla crisi la prima risposta è sempre quella della forte personalizzazione, sia da parte dei 
governi che dei populismi. Ma dura poco, perché la realtà la mette alla prova dei fatti. La gente vota i 
politici perché spera che cambino le cose, la personalizzazione è un riflesso. Infatti in queste elezioni 
hanno vinto dei volti sconosciuti. La personalizzazione non regge se non cambia le cose, o non dà 
almeno la speranza concreta di poterle cambiare".


I trionfatori di queste elezioni vincono perché danno questa speranza?
"Hanno risposte emotive e confuse, semplici motti specifici su angosce specifiche, via gli immigrati, 
punire le banche, ma neanche una riga che spieghi come potrebbero fare. Ma il loro vantaggio è un 
altro: sanno adattarsi alle paure. Questi movimenti nascono in genere molto di parte, orientati, 
partigiani. Hanno un certo successo poi si fermano, perché le loro soluzioni mostrano un limite 
ideologico. E allora si allargano da destra a sinistra e da sinistra a destra. Marine Le Pen è stata la 
prima a capire i limiti di un populismo di parte, e ha "ucciso il padre". In quel momento è diventata una potenziale presidente della Repubblica francese. In Italia sta succedendo la stessa cosa".

È il limite che ha cercato di superare Salvini?
"Ma prima di lui è arrivato il Movimento Cinquestelle. Hanno capito per primi che bisogna cavalcare la protesta, non una protesta. Guardi il loro atteggiamento sull'immigrazione: prese di posizione così 
inafferrabili da poter essere interpretate sia in senso di destra che di sinistra. E dalle analisi che leggo, ha funzionato: prendono voti anche fra gli anziani delle periferie metropolitane, i ceti deboli tra i quali la paura dell'immigrato è più forte".

Professore, lei si tiene lontano dalla politica italiana, ma qui c'è una morale, no?
"Progetto e radicamento popolare. Il cambiamento possibile, fatto entrare nel cuore della gente.
 Il solo ad averlo capito è papa Francesco".

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mercoledì 22 giugno 2016

La City e Wall Street Usate come Lavanderia del Narcotraffico


L'intervento di Roberto Saviano al Parlamento britannico. 

Se si chiede quale sia il Paese più corrotto al mondo, la risposta più immediata è dettata dal grado di 
corruzione percepita. Magari si penserà al Messico, ai Paesi latinoamericani, a quelli africani, al Medio Oriente, all'Italia. E invece il più corrotto è l'Inghilterra, ma non di una corruzione che riguarda gli amministratori pubblici, i poliziotti, i sindaci, ma di una corruzione che è consustanziale al sistema economico. Il sistema economico inglese si alimenta di corruzione. E in tutto questo il governo e i cittadini britannici non si sono davvero resi conto
 dell'emergenza che sta attraversando il Paese.


Nel 2015 la National Crime Agency pubblicò un report i cui dati sono estremamente importanti. Il report spiegava che "ogni anno centinaia di miliardi di dollari di provenienza criminale quasi sicuramente continuano ad essere riciclati attraverso le banche del Regno Unito e le loro filiali". E aggiungeva che "l'entità del riciclaggio dei proventi criminali è quindi una minaccia per l'economia e la reputazione del Regno Unito". Di lì a poco anche il primo ministro David Cameron avrebbe espresso il suo impegno dichiarando: "Il Regno Unito non deve assolutamente diventare un paradiso fiscale per soldi sporchi di tutto il mondo". Eppure non è andata così.

In un documento molto interessante pubblicato da Transparency Uk a marzo del 2015 sul mercato 
immobiliare londinese come rifugio di capitali segreti e soldi sporchi, si parlava di soldi provenienti dalla corruzione, ma non veniva mai citata la parola mafia, né mai si è parlato di organizzazioni criminali. Il motivo è semplice: tranne che per rarissimi casi, in Inghilterra la mafia non si vede e non si sente. Non ci sono cadaveri sulle strade né sparatorie. In Messico o in Italia tra cadaveri, sangue e sequestri di droga non è possibile pensare che la mafia non esista. A Londra esiste ma è silenziosa, agisce nell'ombra. E soprattutto non ha l'odore acre del sangue, ma quello rassicurante dei soldi.

Senza il riciclaggio, il denaro delle mafie sarebbe un ricavato inerte. È necessario, invece, che rientri in circolo: il problema delle organizzazioni criminali non è fare soldi, ma riciclarli. E nel Regno Unito, secondo le stime di associazioni non-governative, vengono riciclati 57 miliardi di sterline (ovvero 74 miliardi di euro). Proventi illeciti che, dopo essere stati opportunamente ripuliti, vengono rimessi in circolo. In silenzio, i capitali criminali si muovono e minano la nostra economia 
e le nostre democrazie. In silenzio.

La City di Londra, insieme a Wall Street, è la più grande lavanderia al mondo di denaro sporco del 
narcotraffico. Londra è un sistema finanziario internazionale da cui passano transazioni da tutto il 
mondo per il valore di bilioni di sterline ogni anno e offre i servizi finanziari più ricercati. Ma non è tutto, perché oltre a questo, la capitale inglese si trova al centro
 del più importante sistema offshore del mondo.

Molti capitali internazionali che passano attraverso le dipendenze della Corona Britannica (come 
Jersey) e i territori d'Oltremare (come le Isole Cayman) - paradisi fiscali per eccellenza - vengono poi incanalate verso le banche della City e quando arrivano a Londra sono già stati ripuliti anche se 
originariamente erano sporchi. Come rivelò nel 2013 uno studio basato su inchieste di Transcrime (il 
Centro di ricerca sulla criminalità transnazionale dell'Università Cattolica di Milano) tutte le principali mafie italiane sono presenti nel Regno Unito con i loro affari. 
Uno studio di Transparency International 
del 2015 ha contato 36.342 immobili in un'area di 6 km quadrati a Londra di proprietà di società di 
copertura. Mentre il 75% degli immobili attualmente sotto indagine nel Regno Unito per reati legati alla corruzione sono registrati in paradisi fiscali. A Londra il 90% degli immobili di proprietà di società straniere sono di società registrate in paradisi fiscali.


È così che interi quartieri di Londra si stanno svuotando,
 diventando luoghi di investimento. 
Entrano i soldi, escono le persone.


Finalmente la stampa inglese si è accorta di questa vera e propria occupazione finanziaria della propria città: qualche giorno fa ha fatto rumore l'inchiesta del Guardian sul grattacielo residenziale più alto di Londra: St George Wharf Tower, un grissino di cemento di 50 piani dove i 214 appartamenti di lusso sono perlopiù intestati a magnati stranieri quando non posseduti da società offshore. Una torre con tutti gli optional che rimane vuota per la gran parte dell'anno, mentre la maggior parte dei londinesi non riesce nemmeno più a trovare un affitto accettabile: le case non servono per essere abitate, ma per fungere da casseforti di cemento,
 che custodiscono denaro, spesso riciclato.

Tra un mese la Gran Bretagna sarà chiamata a votare al referendum sulla cosiddetta Brexit, per 
esprimere la propria opinione sull'uscita o meno dall'Europa.

È fondamentale tenere presente che ci sono ambiti - come la sicurezza e la giustizia - in cui non si può agire isolati. Quando si parla di criminalità organizzata, di terrorismo, di narcotraffico, non esistono confini. Saremmo degli illusi a pensarlo.

Come si può pensare di affrontare qualcosa che è per 
definizione internazionale con strumenti nazionali?

Il Regno Unito non può più fare finta di nulla. Ora ha i dati, i risultati delle inchieste, gli avvertimenti degli esperti e delle autorità. Ora è il momento di muoversi, di fare qualcosa contro il denaro criminale, prima che il denaro criminale si compri tutta la Gran Bretagna.

Il testo è l'intervento tenuto da Roberto Saviano al Parlamento britannico su invito del parlamentare 
laburista David Lammy, ex ministro dell'Università

LEGGI ANCHE
BREXIT
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