Le Carte Parlanti

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venerdì 27 ottobre 2017

Se Non hai votato Non ti Aiutiamo




Referendum autonomie, la ritorsione del sindaco: "Non hai votato? Non ti aiutiamo"

Succede a Casorate Sempione, in provincia di Varese. Casi simili anche in altri Comuni

Non sei andato a votare al referendum? Peggio per te: da ora in poi, se avrai bisogno di qualcosa in Comune, il sindaco si guarderà bene dal darti ascolto. O meglio: controllerà le ricevute del "voto" per l'autonomia della Lombardia, e se il tuo nome non compare - prova tangibile che hai disertato i seggi - puoi scordarti l'aiuto delle "istituzioni".

Sembra roba di un altro mondo. Invece succede in Lombardia: a Casorate Sempione, 5.700 abitanti in provincia di Varese. Ma anche in altri Comuni. Una sorta di ritorsione post voto, tipo "lista di proscrizione" , che divide i cittadini "buoni" da quelli "cattivi": i "buoni" sono quelli che sono andati a votare (possibilmente Sì), i "cattivi" sono quelli rimasti a casa. Evidentemente scontento per l'affluenza, il sindaco di Casorate, Dimitri Cassani, lista civica di centrodestra, lui ex Udc, martedì ha scritto un post più che eloquente, con il quale ha "avvisato" i cittadini. "Grazie alle ricevute - spiega a chiosa di un commento sull'esito referendario - si potrà mappare  chi ha effettivamente votato, così tanto per rispondere a chi, già da questa mattina, verrà a chiedere aiuto alle istituzioni!".

I casoratesi che non hanno votato, in buona sostanza, sappiano che il Comune sarà meno bendisposto nei loro confronti. Il sindaco Cassani ce l'ha anche con chi ha messo la "sordina" alla consultazione voluta dai governatori leghisti. "L'informazione. Più che di Stato, direi quasi di regime. L'ordine prioritario era SILENZIO, non parlarne, nessun dibattito, nessuna informazione, derubricato a un mero evento locale - scrive su Fb -. Basti pensare che l'unica diretta ieri sera (domenica scorsa, ndr) era su Sky". Poi una frecciata alla sinistra: "Ha cercato di condizionare l'esito, facendo credere che si chiedeva la secessione, modello Catalogna e che era un'iniziativa elettorale della Lega".

E di chi è stata? verrebbe da chiedere al primocittadino di Casorate. "Le dichiarazioni di Cassani sono il segno di una situazione grave e paradossale - attacca il piddino Tiziano Masson, consigliere di minoranza con la Lista civica democratica - si sta tornando alle liste di proscrizione. Chiedo: ma il referendum l'hanno fatto per contarsi loro e avere il talloncino del riscontro? Se la finalità era questa, il referendum perde di senso". La "ritorsione" di Cassani ha sollevato un polverone.  "Frasi inaccettabili, soprattutto se pronunciate da un uomo delle istituzioni", lo ha attaccato Samuele Astuti, segretario provinciale Pd varesino. "Un'uscita improvvida e imbarazzante", taglia corto il deputato dem Daniele Marantelli. Lui, Cassani, si difende parlando di  "una frase estrapolata". Lo stesso primo cittadino ricorda poi di non essere il solo amministratore a esprimere un simile punto di vista. Sì, insomma, a ricordare ai cittadini che il voto era "mappato"...

Una posizione simile, anche se più sfumata, è stata esplicitata in un post dal suo quasi-omonimo collega di Gallarate, Andrea Cassani: la frase  - accompagnata da critiche agli stranieri neocittadini italiani, che avrebbero disertato le urne - rientra nel campionario di uscite provocatorie alle quali il Cassani di Gallarate ha abituato i suoi cittadini. A ogni modo: la reprimenda con tanto di utimatum sfornata dai due sindaci varesotti fa il paio con le parole di un'altra donna delle istituzioni: la consigliera regionale bergamasca Lara Magoni. Che l'altro giorno ha postato queste parole: "Da oggi prima di chiedermi qualsiasi tipo di supporto mostratemi la RICEVUTA di voto che vi è stata rilasciata sul Referendum". Più chiaro di così.

Le reazioni. E il caso anima il dibattito politico. Il Pd ha annunciato la presentazione di una interrogazione parlamentare. E Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana, commenta: "Un sindaco, un rappresentante delle Istituzioni non può comportarsi così. È contro la legge, è contro il buonsenso. Ci auguriamo che il prefetto di Varese nelle prossime ore faccia tutti i passi necessari per ripristinare la legalità. Uno così non può fare certo il sindaco".

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martedì 24 ottobre 2017

Bufale sul Fascismo : Quando c’era Lui’



A partire dal caso della “spiaggia fascista” di Chioggia, per poi passare alla proposta di legge di
Emanuele Fiano o alle dichiarazioni (fraintese) di Laura Boldrini sui monumenti del regime, questo luglio ci siamo confrontati praticamente ogni giorno sul fascismo e la sua eredità.

Per alcuni commentatori, l’Italia non ha mai fatto veramente i conti con il Ventennio e dunque è destinata a essere perennemente attraversata da pulsioni nostalgiche o antidemocratiche. Dall’altro lato episodi come quello di Playa Punta Canna sono definiti innocue “goliardate,” e insieme a derubricazioni di questo tipo continuano a resistere le argomentazioni più o meno revisioniste del tipo che nel Ventennio, comunque la si pensi, qualcosa di buono è stato fatto; o che comunque non era così malaccio come ci hanno sempre fatto credere.

Quest’ultimi sono dei refrain che si sentono da tempo immemore, ma che con l’avvento dei social
stanno vivendo una sorta di seconda epoca d’oro.

In particolare, proprio in concomitanza con le polemiche delle ultime settimane, sul Fascio Facebook (e non solo) hanno ricominciato a girare una serie di miti e leggende sulle grandi conquiste sociali ed
economiche del fascismo conquiste che sono contrapposte alla contemporaneità, e servono
sostanzialmente a dire: “Vedete? Mentre i politici di adesso non fanno un cazzo,
LVI le cose le faceva sul serio!”

Visto che tali bufale riaffiorano di continuo  e dimostrano un’incredibile persistenza proprio perché
distorcono verità storiche e le mescolano con la disinformazione ho pensato di mettere in fila quelle che hanno avuto più successo e risonanza.

IL DUCE HA CREATO LE PENSIONI

Quella di Mussolini che ha creato da zero il sistema pensionistico di cui godremmo tutt’ora è senza

dubbio la bufala più persistente e di successo, al punto tale che un anno fa Matteo Salvini ha

dichiarato: “Per i pensionati ha fatto sicuramente di più Mussolini che la Fornero.

La previdenza sociale l’ha portata Mussolini.”

In realtà, non è proprio così. Come si può agevolmente verificare sul sito dell’INPS, la previdenza

sociale nasce nel 1898 con la creazione della Cassa Nazionale di previdenza per l’invalidità e la

vecchiaia degli operai. Si trattava di un'”assicurazione volontaria integrata da un contributo di

incoraggiamento dello Stato e dal contributo anch’esso libero degli imprenditori.”

Nel 1919 l’iscrizione alla Cassa diventa obbligatoria e interessa 12 milioni di lavoratori. Vent’anni dopo, il regime promuove varie misure previdenziali, tra cui le assicurazioni contro la disoccupazione, gli assegni familiari e la pensione di reversibilità. La pensione sociale, tuttavia, è istituita solo nel 1969  ossia a 24 anni dalla morte di Mussolini.

IL DUCE CI HA REGALATO LA TREDICESIMA

Un’altra leggenda che circola molto (soprattutto sotto Natale) è la seguente: se abbiamo un mese di

stipendio in più è merito esclusivo della magnanimità di Mussolini. Anche in questo caso, tuttavia, la

storia è diversa.

Nel Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro del 1937 venne effettivamente introdotta una “gratifica natalizia.” La mensilità in più era tuttavia destinata ai soli impiegati del settore dell’industria; e non ad esempio agli operai dello stesso settore, che anzi si videro aumentare le ore di lavoro giornaliero fino a 10, e 12 con gli straordinari non rifiutabili.

Come scritto in questo post, insomma, si trattava di una misura “in piena linea con quelle che erano le normali politiche dell’epoca fascista, in una società  bloccata sul corporativismo basato non sul
diritto per tutti, ma sul privilegio di pochi gruppi e settori.”

La vera tredicesima è stata istituita prima con l’accordo interconfederale per l’industria del 27 ottobre 1946, e poi estesa a tutti i lavoratori con il decreto 1070/1960 del presidente della Repubblica.

SOLO CON IL FASCISMO L’ITALIA HA RAGGIUNTO IL PAREGGIO DI BILANCIO

Nell’immagine qui sopra, si ricorda enfaticamente che il “Governo Fascista” raggiunse il pareggio di

bilancio nel 1924, praticamente grazie alla lotta contro gli sprechi e alla riduzione delle tasse. Morale

della favola: con tutte le tasse che ci sono adesso, invece, i conti dello Stato non tornano mai. Ergo: la Casta è inetta, ci soffoca con la pressione fiscale, e dunque si stava meglio prima.

Ora, il pareggio di bilancio fu effettivamente raggiunto (nel 1925, e non nel 1924). Ma come tutte le

disinformazioni che si rispettino, si evita accuratamente di dire cose successe prima e dopo il

raggiungimento di quel traguardo.

L’artefice fu il ministro delle finanze e dell’economia, Alberto De Stefani. Dal 1922 in poi, l’economista spinse per la liberalizzazione dell’economia, cercò di contenere l’inflazione, ridusse la spesa pubblica e la disoccupazione. La sua politica di “neoliberismo autoritario” era però vista di cattivo occhio sia dalla parte più radicale del fascismo, che soprattutto da latifondisti, industriali e grandi capitalisti.

Non a caso, nel luglio del 1925 venne destituito dopo aver presentato ripetutamente le dimissioni; e da lì in poi iniziò ad assumere posizioni sempre più critiche (non in senso democratico o antifascista,
ovviamente) nei confronti del regime e della sua nuova politica economica che  tra la Grande
Depressione, l’autarchia e tutto il resto portò il paese allo sfascio. Per citare un articolo che si è
occupato di smontare il messaggio implicito di questo mito, “un modello che è crollato su se stesso non è il miglior modello.”

IL DUCE HA RICOSTRUITO I PAESI TERREMOTATI IN UN BATTER D’OCCHIO

Anche la storia della prodigiosa ricostruzione del Duce dopo il terremoto del Vulture (in Lucania) del 23 luglio 1930 è piuttosto ricorrente.

La fonte primaria, ripresa dai siti di estrema destra e replicata in vari meme, è un articolo del Secolo

d’Italia pubblicato dopo il terremoto che l’anno scorso ha colpito il centro Italia. In esso si sostiene che in appena tre mesi si costruirono 3.746 case e se ne ripararono 5.190, e si infila pure il commento
agiografico “altri tempi, ma soprattutto altre tempre…”

Il dato è però parziale e decontestualizzato. Come si può verificare dal sito dell’INGV, nell’ottobre del 1930 furono ultimate “casette asismiche in muratura corrispondenti a 1705 alloggi” e “riparate dal genio Civile 2340 case.” Solo nel settembre del 1931 a operazioni ultimate  si raggiunge la cifra indicata nell’articolo, che corrisponde a 3.746 alloggi in 961 casette. Insomma: i numeri sono comunque rilevanti per l’epoca, ma non è semplicemente vero che in appena tre mesi fu ricostruito tutto da zero.

IL FASCISMO HA RESO L’ITALIA UN FARO PER LE SCOPERTE SCIENTIFICHE

In questa immagine, rivolta a tutti quelli che “NON L’AMMETTERANNO MAI,” si sostiene con la forza di una bella scritta in maiuscolo che il fascismo avesse reso l’Italia tra le varie cose
”una nazione faro per scoperte scientifiche.”

Nei primi anni del regime però, come ricostruisce dettagliatamente questo articolo sulla Treccani, il

governo “aveva sostanzialmente ignorato tutte le questioni connesso con l’organizzazione della struttura di ricerca scientifica,” che rimaneva quella dell’Italia liberale ed era carica di problemi. Nel 1923 venne avviato il CNR (Consiglio nazionale delle ricerche), la prima struttura deputata a svolgere ricerca “su temi di interesse generale.” La sua attività fu subito caratterizzata dalla penuria dei finanziamenti, segno della “scarsa fiducia nel nuovo ente che ancora nutriva Mussolini.”

Col passare degli anni, nonostante i proclami e la propaganda, il CNR non divenne mai incisivo e non produsse nulla di significativo, soprattutto perché la sua unica indicazione di ricerca era quella per l’autarchia  un’indicazione troppo generica. Lo scoppio della seconda guerra mondiale, poi, “allontanò in modo generalizzato i più giovani tra ricercatori, assistenti, tecnici di laboratorio e, in breve tempo, il lavoro scientifico rallentò fino alla quasi totale paralisi.”

Nel 1938, a riprova di quanto al fascismo non fregasse nulla della scienza, l’ambiente scientifico italiano era stato travolto dal più infame e antiscientifico degli atti politici del regime: la promulgazione delle leggi razziali. Il che mi porta all’ultima
leggenda che ho scelto per compilare questa lista.

IL DUCE NON ERA RAZZISTA, E NEMMENO IL FASCISMO ERA UN REGIME RAZZISTA

Con ogni probabilità questa è la mistificazione più odiosa, che fa leva sul radicato stereotipo del “bravo italiano” e del “cattivo tedesco.”

Se è vero che in un primo momento i rapporti tra gli ebrei e il fascismo furono “normali,” e lo stesso

Mussolini—nel libro Colloqui con Mussolini  disse che “l’antisemitismo non esiste in Italia,” le cose cambiarono progressivamente
con la torsione totalitaria del regime e sfociarono infine nelle persecuzioni.

La maggior parte della storiografia è ormai concorde sul fatto che l’antisemitismo e le leggi razziali non furono introdotte per imposizione della Germania  il Manifesto della razza, ad esempio, pare che sia stato scritto dallo stesso Mussolini.

Piuttosto, come sostiene lo storico Enzo Collotti, la “spinta a una politica della razza nel fascismo

italiano” da un lato era “iniziativa e prodotto autonomo” del regime  specialmente dopo il 1933 e

l’affermazione del nazismo  e dall’altro era una scelta “connaturata allo stesso retaggio nazionalista,

che esaltava la superiorità della stirpe come fatto biologico e non solo culturale.”

Lo stesso discorso si può fare con la “civilizzazione” delle colonie, che si pone in perfetta continuità con quanto detto sopra. Secondo Collotti, la guerra d’aggressione contro l’Etiopia nel 1935 è stata

“l’occasione per mettere a fuoco una politica razzista dell’Italia fascista”; e dopo la conquista del

paese  mai completata fino in fondo

”fu instaurato un vero e proprio regime di separazione razziale, un vero e proprio  apartheid.”


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martedì 17 ottobre 2017

Malta la blogger Galizia


Per quale vero motivo è saltata in aria a Malta la blogger Galizia?
Un’autobomba, nel primo pomeriggio di lunedì, ha fatto saltare in aria a Malta uccidendola sul colpo, la blogger Daphne Caruana Galizia. La reporter che fra l’altro aveva collaborato ai MaltaFiles (evasione fiscale europea con base e copertura a Malta) era stata, secondo quanto da lei stessa denunciato giorni fa, minacciata di morte.

Aveva depositato una denuncia dopo aver ricevuto minacce di morte. Galizia aveva lavorato ai MaltaFiles, l'inchiesta internazionale che indicava Malta come "lo Stato nel Mediterraneo che fa da base pirata per l'evasione fiscale nell'Unione europea" , dove risultava uno sterminato
elenco di italiani col conto offshore.

Ne scovava. E ne scriveva. Fra politici e affaristi, battendo un’isola del tesoro popolata da 70 mila società offshore, dalle sedi dei più grandi gruppi mondiali del gioco d’azzardo, dove vivono boss della ’ndrangheta, fra tasse vantaggiose, finte residenze, facili riciclaggi, segreti bancari ben custoditi.

Dalla sua attività investigativa negli ultimi anni emergono tuttavia diversi filoni fra i quali quello “scottante” del c.d. Panama Papers che nel 2016 coinvolse praticamente tutto il mondo “che conta”.

Panama Papers è il nome di un fascicolo riservato digitalizzato composto da 11,5 milioni di documenti confidenziali creato dalla Mossack Fonseca, uno studio legale panamense, che fornisce informazioni dettagliate su oltre 214.000 società offshore, includendo le identità degli azionisti e dei manager. I documenti mostrano come individui ricchi, compresi funzionari pubblici, nascondano i loro soldi dal controllo statale. Nei documenti sono menzionati i leader di cinque paesi — Arabia Saudita, Argentina, Emirati Arabi Uniti, Islanda e Ucraina — ma anche funzionari di governo, parenti e collaboratori stretti di vari capi di governo di più di 40 altri paesi; tra questi, Brasile, Cina, Francia, India, Malesia, Messico, Malta, Pakistan, Regno Unito, Russia, Siria, Spagna e Sud Africa.
La raccolta di oltre 2,6 terabyte, contenente documenti compromettenti risalenti fino agli anni settanta, è stata consegnata al Süddeutsche Zeitung nell'agosto 2015 e conseguentemente al Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi (ICIJ nella sua sigla inglese), con sede negli Stati Uniti, affidandosi a chat ed e-mail criptate. I fascicoli sono stati distribuiti ed analizzati da circa 400 giornalisti di 107 organizzazioni informative di oltre 80 paesi. Il primo report basato sul congiunto di documenti è stato pubblicato, assieme a 149 dei documenti stessi, il 3 aprile 2016. Nel suo sito la ICIJ ha inoltre segnalato che agli inizi di maggio pubblicherà la lista completa delle compagnie e delle persone coinvolte.
Per farsi un’idea di quanti e quali personaggi sono potenzialmente rimasti coinvolti dopo la megafuga di notizie riservatissime avvenuta dal famoso studio legale internazionale Mossack Fonseca con sede per l’appunto a Panama.

Mossack Fonseca è uno studio legale e fornitore di servizi finanziari fondato nel 1977 da Jürgen Mossack e Ramón Fonseca. Le attività dello studio comprendono l'incorporazione di compagnie in paradisi fiscali, amministrazione di aziende offshore e servizi di gestione finanziaria. Un articolo dell'Economist del 2012 ritiene che sia un'azienda leader nel suo paese. La compagnia ha più di 500 impiegati ed oltre 40 uffici in tutto il mondo. Dalla sua fondazione ha effettuato operazioni per conto di 300.000 aziende, la maggior parte delle quali sono registrate nel Regno Unito o gestite da cittadini britannici in paradisi fiscali.
Lo studio lavora con le più grandi istituzioni finanziarie mondiali, come Deutsche Bank, HSBC, Société Générale, Credit Suisse, UBS, Commerzbank e Nordea. Prima della pubblicazione dei Panama Papers, Mossack Fonseca era descritta dall'Economist come una società leader nella gestione di offshore particolarmente riservata.

Il fascicolo è composto da 11,5 milioni di documenti redatti tra gli anni settanta ed il 2015 dalla Mossack Fonseca, che il The Guardian ha descritto come una delle più grandi aziende di gestione di società offshore del mondo.  I 2,6 terabytes di dati includono informazioni su 214.488 imprese offshore.  Gerard Ryle, direttore del Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi, crede che questo possa essere "probabilmente il più grande colpo mai assestato al mondo dei paradisi fiscali per via dell'entità dei documenti".
La dimensione totale dei dati fuoriusciti da Mossak Fonseca sminuisce l'entità di tutte le precedenti fughe di notizie, coprendo un periodo compreso tra gli anni settanta ed il 2016. Il congiunto è composto di una cartella per ogni società di comodo, che contiene e-mail, contatti, trascrizioni e documenti digitalizzati. Nel fascicolo sono contenute 4.804.618 e-mail, 3.047.306 file in formato database, 2.154.264 pdf, 1.117.026 immagini, 320.166 file di testo e 2.242 file in altri formati. 


Persone coinvolte
Le prime pubblicazioni hanno evidenziato il coinvolgimento finanziario e politico di svariate figure politiche di rilievo e loro parenti. Per esempio il presidente argentino Mauricio Macri è segnato tra i direttori una società finanziaria con sede alle Bahamas che non aveva dichiarato durante il suo mandato di sindaco di Buenos Aires; anche se non è chiaro se la rivelazione di tale direzione fosse richiesta. The Guardian riporta che nella fuga di notizie rivela un esteso conflitto di interessi nelle connessioni tra i membri del Comitato Etico della FIFA
ed il passato presidente della FIFA Eugenio Figueredo.
Numerosi capi di stato sono stati nominati all'interno dei Panama Papers, oltre al già citato Mauricio Macri, Khalifa bin Zayed Al Nahyan degli Emirati Arabi, Petro Poroshenko dell'Ucraina, Re Salman dell'Arabia Saudita ed il Primo Ministro islandese Sigmundur Davíð Gunnlaugsson. Tra gli ex capi di stato invece: Bidzina Ivanishvili, Primo Ministro georgiano; Ayad Allawi, dell'Iraq, Ali Abu al-Ragheb, della Giordania; Hamad bin Jassim bin Jaber Al Thani, del Qatar, Pavlo Lazarenko, dell'Ucraina, Ahmed al-Mirghani, del Sudan e l'Emiro del Qatar Hamad bin Khalifa Al Thani.
Sono inoltre citati funzionari di governo, ma anche parenti stretti e collaboratori di vari capi di governo di più di 40 paesi. Tra questi Algeria, Angola, Arabia Saudita, Argentina, Azerbaijan, Botswana, Brasile, Cambogia, Cile, Cina, Costa d'Avorio, Ecuador, Egitto, Francia, Ghana, Grecia, Guinea, Honduras, India, Islanda, Israele, Italia, Kazakistan, Kenya, Malesia, Marocco, Messico, Malta, Nigeria, Pakistan, Panamà, Perù, Polonia, Regno Unito, Repubblica Democratica del Congo, Russia, Ruanda, Senegal, Siria, Spagna, Sud Africa, Taiwan, Ungheria, Venezuela e Zambia.Anche se è stato inizialmente notato che non fossero coinvolti cittadini statunitensi nelle rivelazioni, questo è un dato limitato al coinvolgimento diretto.

I documenti pubblicati identificano 61 familiari o collaboratori di primi ministri, presidenti o re, tra questi il cognato del presidente cinese Xi Jinping, il padre del Primo Ministro britannico David Cameron,[ il figlio del Primo Ministro malese Najib Razak, i figli del Primo Ministro pakistano Nawaz Sharif, e il "contractor preferito" del Presidente messicano Enrique Peña Nieto.
Il nome di Vladimir Putin non appare in nessuno dei documenti secondo quanto riferisce The Guardian, ma il giornale ha pubblicato un lungo articolo in prima pagina riguardo ai tre amici del presidente russo che compaiono nella lista, affermando che il successo negli affari di questi amici "non avrebbe potuto essere assicurato senza il suo sostegno". Ad esempio viene menzionato Sergei Roldugin, come il "miglior amico" di Putin. Rodulgin è un violoncellista e ha dichiarato di non essere un uomo d'affari, ma che ha un "apparente controllo di una serie di azioni dal valore di almeno $100m, probabilmente di più."
Il presidente ucraino Petro Poroshenko aveva promesso agli elettori che avrebbe venduto la sua fabbrica di dolciumi, la Roshen, quando si è candidato per la carica nel 2014. Nei documenti portati alla luce dall'inchiesta risulta invece che aveva fondato una holding in un paradiso fiscale per spostare la sua attività nelle Isole Vergini britanniche, eludendo così milioni di dollari in tasse ucraine.

I fascicoli mostrano anche come il Primo Ministro Islandese Sigmundur Davíð Gunnlaugsson ha avuto un interesse non dichiarato nel fallimento delle banche del suo paese, nascosto tramite l'utilizzo di società offshore. I documenti pubblicati riportano che lui e sua moglie comprarono la Wintris Inc. - una società offshore - nel 2007. Secondo la ICIJ l'avrebbero comprata "da Mossack Fonseca attraverso la filiale lussembrughese della Landsbanki, una delle tre grandi banche islandesi". Gunnlaugsson non dichiarò la sua connessione con la compagnia quando entrò nel parlamento nel 2009, vendendo il suo 50% della Wintris a sua moglie, otto mesi dopo, per un dollaro. Il Primo Ministro Islandese ha ricevuto richieste di dimissioni, ma il 4 aprile ha dichiarato in diretta che non avrebbe rassegnato le sue dimissioni, riferendosi alle rivelazioni dei Panama Papers come "niente di nuovo". Ha affermato che non ha infranto nessuna regola, e sua moglie non ha beneficiato finanziariamente dalle sue decisioni.
In Spagna, ci sono molti uomini d'affari e personaggi citati. Ad esempio, mettendo in evidenza Pilar de Borbón, sorella del re Juan Carlos I, che abdicò nel 2014, il ministro dell'Industria José Manuel Soria, o pronipoti del dittatore Franco.[senza fonte]
Sono presenti nei Panama Papers anche diversi imprenditori connessi con l'associazione mondiale calcistica, la FIFA, tra cui l'ex presidente della CONMEBOL Eugenio Figueredo, l'ex Presidente della UEFA Michel Platini, l'ex Segretario Generale della FIFA Jérôme Valcke, come anche il giocatore argentino Lionel Messi e il vicepresidente di Futbol Club Barcelona, Carles Villarubí.

Società
Mossack Fonseca ha gestito oltre 300.000 società nel corso di oltre 40 anni di attività,raggiungendo le 80.000 società attive nel 2009. Nei Panama Papers appaiono oltre 210.000 società in 21 giurisdizioni ritenute paradisi fiscali, più della metà delle quali sono state incorporate nelle Isole Vergini britanniche o a Panama, alle Bahamas, alle Seychelles, Niue o Samoa. Durante la sua attività, Mossack Fonseca ha lavorato con clienti da più di 100 paesi; la maggior parte delle aziende con sede a Isole Vergini britanniche, Hong Kong, in Svizzera, nel Regno Unito, in Lussemburgo, a Cipro o nella stessa Panama. Mossack Fonseca ha collaborato anche con più di 14.000 banche, studi legali, società di incorporazione ed altri per fondare aziende, fondazioni e trust per questi clienti. Oltre 500 banche hanno registrato quasi 15.600 società di comodo con Mossack Fonseca. Dexia (Lussemburgo), J. Safra Sarasin (Lussemburgo), Credit Suisse (Isole del Canale) e UBS (Svizzera) hanno tutte richiesto almeno 500 società offshore per i loro clienti, mentre Nordea (Lussemburgo) ne ha richieste circa 400

È vero che la Galizia era a “rischio” da quando Politico.ue l’aveva inserita tra le 28 personalità che “stanno agitando l’Europa” e che non aveva esitato a coinvolgere la moglie dell’attuale premier laburista maltese Muscat accusandola di avere proprietà sotto la copertura off-shore, ma si ritiene a ragione che alla base dell’attentato di oggi, dove la reporter ha perso la vita, ci sia qualcosa di molto più grosso come ad esempio le sue indagini giornalistiche proprio sui filoni dei Panama Papers.

Dalla foto della cartina si può facilmente constatare che quasi tutti i paesi del mondo sono rimasti coinvolti in una delle fughe finanziarie riservate fra le più grandi della storia, se non la più grande in assoluto, tranne… la Germania!

Infatti in molti hanno avanzato il più che fondato sospetto che proprio dietro l’esplosione dello scandalo ci sia stato lo zampino tedesco per poter poi fare azione di “pressione” nei confronti di mezzo mondo visto il coinvolgimento di politici in carica e dinastie di industriali (leggere attentamente su Wikipedia i nomi dei politici e dei paesi coinvolti!).

Fantaspypolitica? Vedremo presto se la morte della Galizia si sarà rivelato essere un vero e proprio avvertimento in pieno stile mafioso (si colpisce un pesce piccolo per “educare” quelli che stanno più in alto) o se si è trattato di un regolamento di conti a livello locale.

Non scordiamo che guarda caso la  raccolta di oltre 2,6 terabyte di file contenenti documenti del Panama Papers compromettenti risalenti fino agli anni settanta, è stata consegnata proprio al Süddeutsche Zeitung nell’agosto 2015…

Come si dice: a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca sempre!



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mercoledì 4 ottobre 2017

Italia Evasione Fiscale



In Italia l?evasione fiscale vale 270 miliardi di euro, maglia nera in Europa
Calabria e Sicilia le regioni in cui il fenomeno è più diffuso

Una cifra compresa fra i 250 e i 270 miliardi di euro, un valore pari al 18% del PIL del nostro Paese. Sono i numeri dell’evasione fiscale in Italia, che si conferma uno dei cancri della nostra economia. Sulla base dell’ultimo rapporto 2016 dell’Eurispes, l’Italia avrebbe un PIL sommerso pari a 540 miliardi – a cui per dirla tutta ne andrebbero aggiunti almeno ulteriori 200 che non sono stati inclusi in quanto derivanti dall’economia criminale, per un totale di 740 miliardi – sui quali, considerando un livello di tassazione del 50%, l’evasione fiscale vale 270 miliardi. Numeri che fanno il paio con l’ultimo Rapporto sull’evasione fiscale, pubblicato dal ministero dell’Economia e basato su dati Istat, secondo cui il dato oscilla tra i 255 e i 275 miliardi di euro.

Evasione a macchia di leopardo

Numeri impressionanti che tuttavia sono la somma delle diverse realtà locali del nostro Paese, più che mai caratterizzato da fenomeni a macchia di leopardo in tema di evasione fiscale. E allora ecco che le anomalie più evidenti emergono al Sud, con Calabria e Sicilia in primis, ma anche all’estremo Nord Italia, nella piccola Valle d’Aosta, dove i contribuenti spendono in media 130 euro per ogni 100 euro dichiarato al fisco. Un dato che non può che spiegarsi con quella zona grigia riconducibile a una sospetta evasione. Altri casi di studio sono quelli di Molise e Campania, dove il divario percentuale tra consumi e redditi dichiarati supera il 32%, contro il top raggiunto in Calabria con il 50%.

Campania e Puglia le più virtuose

Il rovescio della medaglia di una situazione apparentemente grave – e che in ogni caso continua ad esserlo – è che negli ultimi anni la distanza tra spese e redditi si è ‘addolcita’ in quasi tutte le regioni italiane, con una media nazionale del 22% contro il quasi 25% di un decennio fa. In questo quadro, alcune regioni sono state più virtuose di altre, con Campania e Puglia in prima fila, a fronte di altre in cui il fenomeno è invece lievemente cresciuto, come in Lombardia e Piemonte.

Il quadro di riferimento europeo, Italia maglia nera

Dato per scontato, da quanto visto finora e anticipando le conclusioni, che l’Italia ha sul tema un non invidiabile primato, quanto vale l’evasione fiscale a livello europeo? Secondo le stime – d’obbligo quando si parla di evasione, per di più mettendo insieme realtà economicamente e geograficamente distanti – ogni anno in Europa si perdono complessivamente tra evasione ed elusione fiscale oltre 1.000 miliardi di euro, circa 860 di evasione e 150 di elusione. Di questi 1.000 miliardi di euro, secondo il Tax Research di Londra, 180 appartengono all’Italia, Paese in cui l’imponibile nascosto ammonta addirittura a 350 miliardi di euro e il rapporto tra il nero e il PIL è pari a circa il 27%, la percentuale più alta di tutta l’Unione Europea.

Eppur qualcosa si muove…

Nonostante la maglia nera in termini di evasione, una flebile luce sembra essersi finalmente accesa in fondo al tunnel. Nel 2015 il contrasto all’evasione fiscale ha fruttato incassi record, con un recupero di 15 miliardi di euro, secondo quanto annunciato dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi. “E’ la somma più alta mai riportata nelle casse dello Stato”, ha sottolineato la Orlandi. Una goccia nel mare, verrebbe da dire. Gli ultimi dati pubblicati in materia appartengono a Confindustria, che stima un’evasione fiscale e contributiva a 122 miliardi di euro nel solo 2015,
pari al 7,5% del PIL.

I numeri della Guardia di Finanza

Nella lotta all’evasione fiscale, un ruolo di primo piano spetta alle Fiamme Gialle. Nel 2015 la Guardia di Finanza ha sottratto agli evasori fiscali la cifra record di 61 miliardi di euro di imponibile: un risultato mai raggiunto in passato dagli uomini delle Fiamme gialle. E sempre l’anno scorso, tra evasori totali, paratotali, lavoratori in nero e irregolari sono state scoperte oltre 32.000 posizioni irregolari. “Sebbene il risultato ottenuto nel 2015 non abbia precedenti – si legge in una nota – e’ utile ricordare che negli ultimi 15 anni l’attivita’ della Guardia di Finanza contro gli evasori ha consentito di portate a “galla” oltre 506 miliardi di euro e di “scovare” oltre 509.000 evasori”.


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