Le Carte Parlanti

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lunedì 30 aprile 2018

Berlusconi è Proprietario della Lega

Silvio Berlusconi Evasore Fiscale


Scoperto perchè Salvini non si sgancia da Silvio , 
perchè  Berlusconi si è offerto di appianare i debiti della Lega, ed in cambio , 
diventa proprietario del Logo , Da Giussano con la spada.


Travaglio sulla Lega: “B. è proprietario del marchio, è un ingombro a destra



MARCO TRAVAGLIO: DI MAIO SCARICA SALVINI

Travaglio sulla Lega. Il direttore de Il Fatto Quotidiano: “Ho sentito Berlusconi dato per morto troppe volte, quindi andrei molto cauto. B. non ha più la forza per vincere. Ma ha tutta la potenza finanziaria e mediatica per non far vincere gli altri partiti di destra. Lui rimane perché è un uomo che ha un potere consolidato che non gli consente di arrivare davanti a Renzi, ma può eliminare chiunque concorre per la leadership”.

Travaglio sulla Lega: il conflitto d’interesse
“Lui per esempio è il padrone del marchio della Lega per via di un accordo con Umberto Bossi. Berlusconi è un ingombro importante per il centro destra. La destra nei prossimi mesi scoprirà a sue spese cosa è il conflitto d’interessi e forse finalmente lo risolveremo”.

Silvio Berlusconi Evasore Fiscale

L’utilizzo dei simboli ® e ™ o di altri riferimenti, 
quali REGISTERED TRADEMARK /MARCHIO REGISTRATO, ecc., 
ha la principale funzione di rendere noto ai terzi che una determinata denominazione, sigla, ecc. usata per identificare un prodotto o servizio non può essere considerata denominazione o sigla generica, 
ma che il suo titolare ne rivendica un uso a livello di segno distintivo.

I simboli ™ e ® sono nati in realtà negli Stati Uniti. In Italia si fa riferimento a 'Marchio depositato' e 'Marchio registrato'. Comunque tali simboli sono di fatto diffusi e riconosciuti nella loro funzione di indicare, nel primo caso, la volontà del titolare di considerare la denominazione accanto alla quale è apposto il simbolo ™ come un marchio e il relativo uso di fatto o l’esistenza di una domanda pendente; nel secondo caso, simbolo ®, la registrazione del marchio.



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domenica 29 aprile 2018

Metà della Produzione di Armi Italiane va all'Islam



Affari per 16 miliardi di euro. 
Tra gli acquirenti Kuwait, Qatar, Arabia Saudita e Turchia.

Vale 16 miliardi di euro il giro d’affari delle esportazioni italiane di armi nei Paesi islamici calcolato nell’ultimo triennio. Tra i materiali d’armamento anche oltre 200 mila agenti tossici, gas lacrimogeni e materiali radioattivi per un giro d’affari di 29 milioni di euro. E’ quanto emerge dal report “Italian Terrorism Infiltration Index 2018” dell’Istituto Demoskopika.

Un business pari alla metà dell’intero export italiano nel settore bellico quantificabile in 32.034 milioni di euro. In altri termini, ogni 100 euro incassati dagli operatori del made in Italy, circa 50 euro provengono dal mondo islamico. Tra i clienti “più redditizi” figurano Qatar e Arabia Saudita, con una spesa di oltre 5,3 miliardi di euro, impegnati, il primo a guidare una coalizione militare nel conflitto in Yemen e il secondo, ritenuto, da alcune fonti internazionali, possibile finanziatore di gruppi jihadisti e terroristici.

Lombardia e Lazio, inoltre, si confermano, per il terzo anno consecutivo, le realtà territoriali più “esposte” al terrorismo, a cui si aggiunge il Piemonte, che si posiziona al terzo posto, secondo il rapporto Italian Terrorism Infiltration Index 2018  che, oltre ad analizzare i dati più recenti del mercato delle esportazioni dei materiali d’armamento, ha tracciato una mappa delle regioni più a rischio di potenziale infiltrazione terroristica sulla base di quattro indicatori ritenuti “sensibili”: le intercettazioni autorizzate, gli attentati avvenuti in territorio italiano, i visitatori nei musei italiani e gli stranieri residenti in Italia provenienti dai primi cinque paesi considerati la top five del terrore secondo il rapporto di Demoskopika.

Export armi: i paesi islamici valgono ben 16 miliardi di euro
Dal 2015 al 2017, le aziende del settore armamenti italiane hanno introitato dai Paesi islamici  15.905 milioni di euro passando dai 1.768 milioni di euro esportati nel 2015, agli 8.954 milioni del 2016 e ai 5.183 milioni di euro del 2017. Un volume d’affari pari al 49,6% dell’intero export italiano nel settore bellico quantificabile in circa 32.000 milioni di euro.

Il completamento della rilevazione dell’andamento dell’export made in Italy nel settore bellico evidenzia incassi per 877 milioni di euro nel 2013 e per 873 milioni di euro nel 2014. Tra le 28 aree individuate dallo studio in base alla percentuale dei musulmani in rapporto alla popolazione totale di ciascuna singola realtà e alla religione prevalente, ben 9 figurano tra i primi 26 Paesi in cui è più forte l’impatto del terrorismo, sempre secondo l’analisi del Global Terrorism Index 2017.

Occhio agli acquirenti: svettano Kuwait, Qatar, Arabia Saudita e Turchia
Ogni 100 euro incassati dalle imprese italiane per la vendita e la fornitura di armamenti, circa 50 provengono dai Paesi della mezzaluna. Tra i principali acquirenti ci sono Kuwait, Qatar, Arabia Saudita, Turchia e Singapore che hanno acquistato aerei, elicotteri, carri armati, navi, missili, siluri, agenti tossici e tecnologie varie versando nelle casse italiane ben 13.988 milioni di euro nell’arco temporale osservato.

Nel dettaglio, riguardo, la fornitura di armi, la cifra corrisposta all’Italia per l’acquisto di aerei, elicotteri, carri armati, navi, missili, tecnologia e altri armamenti è stata di 7.711 milioni di euro da parte del Kuwait, di 4.597 milioni di euro dal Qatar, di 736 milioni di euro dall’Arabia Saudita, e di 528 milioni di euro dalla Turchia. E, ancora, in ordine decrescente, tra gli acquirenti islamici risultano Singapore (416 milioni di euro), Emirati Arabi Uniti (393 milioni di euro), Pakistan (391 milioni di euro), Oman (226 milioni di euro), Algeria (221 milioni di euro), Bangladesh (166 milioni di euro), Indonesia (113 milioni di euro), Iraq (74 milioni di euro), Malesia (70 milioni di euro), Bahrein (59 milioni di euro), Egitto (52 milioni di euro), Turkmenistan (47 milioni di euro), Giordania (31 milioni di euro), Marocco (30 milioni di euro), Ciad (13 milioni di euro), Albania (12 milioni di euro), Tunisia (10 milioni di euro), Nigeria (9 milioni di euro), Afghanistan (614 mila euro), Kazakistan (442 mila euro), Brunei (200 mila euro), Guinea (97 mila euro), Burkina Faso (84 mila euro) e, infine, la Mauritania (5 mila euro).

Il borsino degli armamenti: maggiori incassi da aerei, elicotteri e navi
Poco meno di 100 tra aerei ed elicotteri venduti, nell’ultimo triennio, all’intero mercato di esportazione mondiale di riferimento dell’Italia e non esclusivamente all’area islamica individuata, hanno generato introiti per 8.552 milioni di euro. A seguire, nello speciale borsino dei materiali d’armamento, compaiono le forniture di 16 navi da guerra con un giro d’affari pari a 4.178 milioni di euro oltre a 745 mila unità tra bombe, siluri, razzi, missili ed accessori per 2.054 milioni di euro. Segue la vendita di 418 mila armi automatiche e non, per 501 milioni di euro, poco meno di 3 mila veicoli terrestri per 431 milioni di euro, circa 207 mila agenti tossici, gas lacrimogeni e materiali radioattivi per 29 milioni di euro e 3,4 mila software per 54 milioni di euro.


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martedì 24 aprile 2018

25 aprile : Festa della Liberazione a Milano corteo, letture e teatro


25 aprile: a Milano corteo, letture e teatro per la Festa della Liberazione
Numerose iniziative patrocinate dal Comune per il 73esimo anniversario

Si parte alle 14.30 da corso Venezia (angolo via Palestro) per raggiungere, percorrendo le vie del centro, piazza del Duomo. Alle 15.30, sul palco allestito in piazza del Duomo, si alternano gli interventi del sindaco di Milano Giuseppe Sala, del segretario della Cgil Susanna Camusso, del presidente di Libera don Luigi Ciotti e della presidente nazionale di Anpi Carla Nespolo. Per l'occasione viene anche trasmessa una video-intervista alla senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta alla Shoah.

Per celebrare il 73° anniversario della Liberazione, inoltre, è prevista la deposizione di corone in memoria dei Caduti per la Libertà sulle lapidi e davanti ai monumenti che li ricordano. Di seguito i luoghi di Milano e gli orari in cui, mercoledì 25 aprile, vengono deposte le corone: alle 9, piazza Tricolore (monumento alla Guardia di Finanza); alle 9.15, Palazzo Isimbardi (lapide che ricorda i Caduti in guerra); alle 9.30, Palazzo Marino (lapide che riporta la motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Città di Milano); alle 10, largo Caduti Milanesi per la Patria (sacrario dei Caduti di tutte le guerre); alle 10.30, Campo Giurati (Lapide dedicata ai Caduti); alle 10.45, piazzale Loreto (monumento in ricordo dei Quindici Martiri) e alle 11, via Cascina Bellaria
(cimitero inglese di Trenno). 




Ma non finisce qui, sono tantissime le iniziative patrocinate od organizzate direttamente dal Comune in questa importante giornata. Si terranno Letture partigiane, incontri di lettura ad alta voce dedicati a libri simbolo che raccontano la Resistenza, dal 3 aprile fino al 24, presso la Casa della Memoria in via Confalonieri 14. Sempre alla Casa della Memoria la Scuola di formazione “Antonino Caponnetto” e Radio Popolare, in collaborazione con ANPI provinciale di Milano, mettono in scena sei incontri dal titolo “La Costituzione come risorsa viva“. 

Il 25 aprile la Casa della Memoria alle 18 presenta la performance teatrale “Territori resistenti”, a cura di TTT – Teatri del Territorio. Diversi spazi teatrali di differenti quartieri offrono uno spettacolo. Teatro Officina (Quartiere Gorla – Municipio 2), “E sia pace nel mondo”. Laboratorio condiviso con un gruppo di ragazze del quartiere in cui viene esplorato il tema della Pace, sancito dalla Costituzione. Teatro della Cooperativa (Quartiere Niguarda – Municipio 9), lettura scenica “Teatro e memoria”. Gli studenti degli Istituti Secondari di I grado del Nord Milano, guidati da Renato Sarti in una vera e propria indagine nella Memoria a partire da testimonianze della deportazione operaia. ATIR/Teatro Ringhiera (Quartiere Chiesa Rossa – Municipio 5), laboratorio (R)esistenze, per avvicinare i ragazzi al tema della Resistenza e riscoprirne il valore e il significato profondo, tenendo viva la memoria e maturando connessioni e collegamenti con il presente. Teatro Edi/Barrio’s (Quartiere Barona – Municipio 6), il laboratorio Scialla presenta un estratto da “L’acrobata”, mosaico moderno fatto di situazioni, azioni, stralci di testo, 
storie e corpi per innescare una relazione teatrale che restituisca verità.

Sempre il 25 aprile, la rete di sale di Fondazione Cineteca Italiana 
(Spazio Oberdan, MIC e Area Metropolis) partecipa alla commemorazione con la proiezione del documentario Pertini. Il combattente, di Graziano Diana e Giancarlo De Cataldo, e del cortometraggio inedito Via Oslavia 8. Partigiani, che racconta la Resistenza a partire dal punto di vista privilegiato della sala cinematografica storica di Paderno Dugnano
 e da un fatto di sangue lì avvenuto nel 1945, 
omaggio ad Angelo Cazzaniga, partigiano della 185° Brigata Garibaldi.







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sabato 21 aprile 2018

Trattativa Stato Mafia : Berlusconi e Dell’Utri



È così anche per il primo verdetto sulla trattativa Stato-mafia. 
La sentenza ti dice che questo 
mercanteggiare sotto bombe, ricatti e paura c'è stato. I corleonesi di Totò Riina hanno generato un clima di terrore per costringere quelli che governano a Roma a sospendere e mitigare il carcere duro. 

Il cuore della trattativa è questo: voi fate un grosso passo indietro sul 41-bis e Cosa nostra la smette con gli attentati. Messa così è la resa assoluta dello Stato italiano 
davanti all'anti Stato criminale e assassino. 

Roba da vergognarsi in eterno. 

Ok, la trattativa c'è stata, ma lo Stato chi è? Risposta: due comandanti e un capitano dei Ros. Tre 
carabinieri. Importanti certo, ma se davvero la ricostruzione dei giudici è corretta hanno fatto tutto da 
soli? Nessuno di quelli che governano o fanno le leggi sapeva nulla? Il papello di Riina si ferma lì, con quelle richieste così esagerate che spingono Provenzano a dire: quello è pazzo, vi dico dove potete trovarlo, lo arrestate e la trattativa la fate con me che sono leggermente più malleabile.

Le bombe sono del '92 e del '93. I governi sono quelli di Amato e Ciampi e al Quirinale c'è Scalfaro. Il ministro degli Interni è Nicola Mancino e quello della Giustizia è Giovanni Conso. C'è che in effetti proprio nel '93, magari per caso, vengono revocati dallo stesso Conso molti 41-bis ai mafiosi. Eppure proprio adesso senti tutti i grillini ripetere in coro: questa sentenza è la pietra tombale sul 
berlusconismo. Ok, ma perché? Il senso finale di questa storia alla fine è questo? Berlusconi è 
colpevole. È colpevole perché quando era al governo, nel '94, quando la stagione delle bombe era già 
finita, a causa forse della trattativa dei governi precedenti, viene minacciato da Marcello Dell'Utri. 

Qualcosa non torna. 
Sembra quasi che allo stesso pubblico ministero Di Matteo non interessi nulla di 
quello che è successo nel '92 e '93.

"Prima si era messa in correlazione Cosa nostra con il Silvio Berlusconi imprenditore, adesso questa 
sentenza per la prima volta la mette in correlazione col Berlusconi politico - dice ancora Di Matteo - le minacce subite attraverso dell'Utri non risulta che il governo Berlusconi le abbia mai denunciate e 
Dell'Utri ha veicolato tutto. I rapporti di Cosa nostra con Berlusconi vanno dunque oltre il '92"
Secondo l’accusa, dopo l'arresto di Riina, avvenuto il 15 gennaio 1993, i boss avrebbero avviato una 
seconda Trattativa, con altri referenti, Bernardo Provenzano e Marcello Dell'Utri. Mentre le bombe 
mafiose esplodevano fra Roma, Milano e Firenze, un altro ricatto di Cosa nostra per provare a ottenere benefici. "Dell'Utri ha fatto da motore, da cinghia di trasmissione del messaggio mafioso", hanno accusato i pubblici ministeri. "Il messaggio intimidatorio fu trasmesso da Dell'Utri e recapitato a Berlusconi". E ancora: "Nel 1994, Dell'Utri riuscì poi a convincere Berlusconi ad assumere iniziative legislative che se approvate avrebbero potuto favorire l'organizzazione". All’esito di questa seconda trattativa, sosteneva l’accusa, sarebbe stato attenuato il regime del carcere duro.

Infatti si affretta a commentare la sentenza. Per dire cosa? Per parlare di un personaggio fuori 
processo: questa è la prova del legame politico tra Berlusconi e la mafia. La prova è la condanna a 
Marcello Dell'Utri, il mediatore che ha preso il posto del sindaco mafioso Ciancimino nella trattativa. Chi lo dice? Un pentito affidabile. Il figlio di Ciancimino .

DA :  http://palermo.repubblica.it/
        http://www.ilgiornale.it/

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e il governo dell’ex cavaliere Silvio Berlusconi che ...






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Condannato Dell’Utri per la Trattativa Stato Mafia e Silvio



La storia entra dalla porta principale dell’aula bunker di Pagliarelli: 
alle 16, dopo 4 giorni e mezzo
 (e quasi 5 anni di udienze) 
di camera di consiglio, la corte d’assise del processo Trattativa esce con una 
sentenza che in pochi si aspettavano. 
A parte Nicola Mancino, l’unico che non rispondeva degli accordi 
inconfessabili nel periodo delle stragi del ‘92-’93 e 
che viene assolto dall’accusa di falsa testimonianza, 
tutti gli imputati vengono condannati. 

Una batosta: 12 anni ai generali dei carabinieri del Ros Mario Mori 
e Antonio Subranni, per avere stretto le intese con i boss, 28 anni a Leoluca Bagarella 
(la Procura ne aveva chiesti 16), 
12 all’altro mafioso Nino Cinà, altrettanti a Marcello Dell’Utri, che garantì - lo dice il 
dispositivo, con sufficiente chiarezza, lo rilancia il pm Nino Di Matteo - il necessario tramite tra i 
capimafia che ricattavano lo Stato e il governo Berlusconi. E poi 8 anni al colonnello Giuseppe De 
Donno e a Massimo Ciancimino, superteste in apparenza smentito su tutta la linea ma - in attesa delle motivazioni - in gran parte creduto dai giudici. Per il pentito Giovanni Brusca scatta la prescrizione. 
Difese sotto choc, preannunciato l’appello. La posizione processuale di Mancino era relativamente 
marginale, ma aveva pesato tantissimo nella vicenda. Perché c’erano le sue telefonate intercettate con il consigliere giuridico del Quirinale, Loris D’Ambrosio, morto d’infarto a 62 anni, nell’estate del 2012, col dolore e l’irritazione del Colle. E c’erano le conversazioni (registrate dalla Dia) ancora dell’ex ministro dell’Interno con lo stesso Napolitano, distrutte senza essere depositate 
(e dunque pubblicate), ma solo dopo il ricorso del Capo dello Stato 
e su ordine della Corte costituzionale. 



Decisione dura quella del collegio presieduto da Alfredo Montalto, il magistrato che, da Gip, aveva 
arrestato per concorso esterno il decimo imputato di questa vicenda, Calogero Mannino, tenendolo in 
carcere (nel 1995) sebbene avesse perso 40 chili e affermando che era una sua scelta, nutrirsi solo di 
verdure. Mannino, processato a parte, in abbreviato, per la trattativa, era stato assolto dal Gup Marina Petruzzella, nel 2015. Sentenza che va in controtendenza rispetto ad assoluzioni nei grandi processi di Palermo – Andreotti, salvato in gran parte dalla prescrizione, lo stesso Mannino dall’accusa di mafia, il generale Mori, processato due volte e sempre uscito pulito – e perché dice a chiare lettere che la 
strategia mafiosa di attacco allo Stato, iniziata dopo la conferma in Cassazione delle condanne del 
maxiprocesso, con l’omicidio di Salvo Lima e con le stragi del ’92, fu vincente. I boss trovarono infatti sponde negli uomini dello Stato, che assecondarono le richieste di attenuazione del carcere duro, di una legislazione restrittiva contro i pentiti e i sequestri di beni. I mafiosi così continuarono: morti Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, i grandi nemici di Cosa nostra, catturato, dal Capitano Ultimo e dal Ros di Mori e Subranni, Totò Riina – in circostanze misteriose, seguite da un’inspiegabile perquisizione del covo fatta solo dopo 18 giorni – gli eccidi proseguirono, stavolta in Continente, tra maggio e luglio ’93, a Roma, Firenze e Milano. E a novembre di quello stesso anno il guardasigilli dell’epoca, Giovanni Conso, non aveva rinnovato o prorogato 330 decreti di sottoposizione al 41 bis. La sentenza rimette poi in gioco il ruolo di Forza Italia, partito fondato, con Silvio Berlusconi, proprio da Dell’Utri, che sta già scontando 7 anni per concorso in associazione mafiosa. Dell’Utri “trattò” dal ’93 in poi, al posto del Ros: a gennaio del ’94 fallì l’attentato dello stadio Olimpico contro i carabinieri, a marzo 
dello stesso anno il Partito  FORZA  ITALIA vinse le elezioni. 
E tutto si acquietò. 

DA : http://www.lastampa.it/



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Trattativa Stato e Mafia: Berlusconi. Dell’Utri, Forza Italia e i Graviano

Silvio Berlusconi Evasore Fiscale


La sentenza della corte d'Assise di Palermo
 riscrive la nascita della Seconda Repubblica. 
Di Matteo:
 “L'ex senatore Marcello Dell’Utri è il collegamento tra Cosa nostra 
e il governo dell’ex cavaliere Silvio Berlusconi”.

Silvio Berlusconi è l’epilogo della Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra. Guida il partito fondato dall’uomo condannato perché era la “cinghia di trasmissione” delle minacce dei boss. Presiede l’esecutivo destinatario di quelle intimidazioni: se le istituzioni non avessero allentato la pressione sulla piovra, bombe e stragi sarebbero continuate. Si fermeranno poco prima della sua entrata a Palazzo Chigi.

Il motivo lo scriveranno i giudici della corte d’Assise di Palermo nelle motivazioni della sentenza sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra. Un verdetto che ricostruisce la fine della Prima Repubblica, riscrive la nascita della Seconda ed
 influisce direttamente sulle manovre in corso per far nascere la Terza. 

La sentenza che influisce (anche) sulla Terza Repubblica – Le otto condanne inflitte dal giudice Alfredo Montalto, infatti, vengono rilanciate dal Movimento 5 stelle per chiudere definitivamente qualsiasi ipotesi di interlocuzione con Forza Italia e il suo leader. Ed è per questo motivo che il partito azzurro dice di voler querelare Nino Di Matteo, il sostituto procuratore titolare dell’inchiesta sulla Trattativa fin dalla sua apertura. Il motivo? Le parole del magistrato per commentare la condanna di Marcello Dell’Utri a 12 anni di carcere. “La sentenza dice che l’ex senatore ha fatto da cinghia di trasmissione tra le richieste di Cosa nostra e l’allora governo Berlusconi che si era da poco insediato. La corte ritiene provato questo. Ritiene provato che il rapporto non si ferma al Berlusconi imprenditore ma arriva al Berlusconi politico”, ha detto il pm.

“Rapporto anche con Berlusconi politico” – Il riferimento è per la prima condanna di Dell’Utri, quella a sette anni di carcere per concorso esterno a Cosa nostra ma solo per i fatti commessi fino al 1992. Fino a quando, cioè, Berlusconi non era ancora un esponente di un partito politico. Lo sarebbe diventato formalmente solo alla fine del 1993. E infatti la condanna dell’ex senatore al processo Trattativa è per i fatti commessi nel 1994. Quando Berlusconi è già presidente del consiglio. “Marcello Dell’Utri è colpevole del reato ascrittogli limitatamente alle condotte contestate come commesse nei confronti del governo presieduto da Silvio Berlusconi”, recita il dispositivo letto dal giudice Montalto. E il reato ascritto a Dell’Utri è la violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato. L’ex senatore, in pratica, è colpevole di essersi fatto portatore del ricatto di Cosa nostra: o si attenuava la lotta alla mafia, o la piovra avrebbe continuato a colpire il Paese a colpi di tritolo.

Silvio Berlusconi Evasore Fiscale

Berlusconi: “Io parte lesa”. Del suo braccio destro – “Se il sunto accusatorio di cui è così soddisfatto il dottor Di Matteo fosse valido, Silvio Berlusconi sarebbe la persona offesa in qualità di presidente del Consiglio in quel periodo”, dice il leader di Forza Italia. Che prova a paragonarsi agli altri due governi destinatari delle minacce della mafia nel 1992 e 1993, veicolate dai carabinieri del Ros: quelli di Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi. E in effetti la sentenza della corte d’Assise – così come la ricostruzione dell’accusa – individua il governo Berlusconi come il terzo esecutivo al quale erano indirizzate le intimidazioni dei boss. Da considerare, però, c’è anche altro. C’è, soprattutto, il rapporto personale tra Berlusconi e Dell’Utri. Se Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno condussero fino al cuore dello Stato le richieste di Cosa nostra, diverso è il caso dell’ex cavaliere. Perché a presentare al suo governo le richieste della piovra non era un uomo a lui estraneo: al contrario era il suo braccio destro, l’uomo scelto per curare la fondazione di Forza Italia, il principale partito politico del governo intimidito.

Il prequel: gli attentanti alla Standa – D’altra parte nell’atto d’accusa dei pm Di Matteo, Vittorio Teresi, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene, Berlusconi viene citato più volte: ben prima di scendere formalmente in campo. Già nel 1991, quando Totò Riina è terrorizzato: di lì a poco la corte di Cassazione si sarebbe espressa sul Maxi processo istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. I vecchi politici, come Salvo Lima, avevano garantito che anche questa volta non ci sarebbero stati problemi. Riina, però, non si fida. Comincia a riunire periodicamente i suoi in un casolare in provincia di Enna per dettare la linea: in caso di pronuncia sfavorevole bisognava “pulirsi i piedi“. Bisognava, cioè, massacrare tutti quei politici che non avevano rispettato i patti. Nel frattempo comincia a cercare nuovi interlocutori. “E questo avviene con il metodo mafioso: l’avvertimento, le minacce, l’intimidazione, il contatto. Le intimidazioni sono gli incendi alle sedi Standa, a Catania, dopo i quali si realizza il contatto Cosa nostra-Dell’Utri, quest’ultimo decisivo e indispensabile garante delle richieste di Cosa nostra”, hanno detto i pm nella loro requisitoria. Un tentativo di contatto a cui fa cenno anche Riina, che intercettato in carcere il 22 agosto del 2013 dice: “Lo cercavamo, lo misi sotto: dategli fuoco alla Standa, così lo metto sotto”. Chi cercavano i corleonesi? E chi voleva mettere sotto Riina? Solo Dell’Utri? O soprattutto il suo datore di lavoro?

Marzo 1992: l’operazione Botticelli – Mentre a Catania i roghi alla Standa sono stati appena spenti, a Roma succede l’imponderabile: gli ergastoli del Maxi diventano definitivi. Il capo dei capi va fuori di testa e ordina la reazione. Il primo a cadere è proprio Lima: la sua chioma bianca riversa nel sangue di Mondello il 12 marzo del 1992 è l’atto numero zero della guerra allo Stato. Ma è anche un messaggio diretto ad Andreotti nel giorno in cui iniziava la campagna elettorale per le politiche di aprile. Saranno le ultime elezioni della Prima Repubblica, spazzata via da lì a poco da Tangentopoli, che però quando muore Lima è un’inchiesta ancora alle battute iniziali: in quel mese di marzo del 1992 ancora nessuno può prevedere la fine di un’epoca. Eppure è proprio in quelle settimane che Dell’Utri cerca il politologo Ezio Cartotto per dargli un lavoro: dovrà cominciare a studiare l’operazione Botticelli, cioè la creazione di un nuovo soggetto politico, dalla quale sarebbe poi nata Forza Italia. A raccontarlo nel 2012 alla procura di Palermo è lo stesso Cartotto, che fino a quel momento aveva fissato i primi contatti con Dell’Utri in un’epoca molto successiva. “Berlusconi ha detto che fu ispirato a gennaio  del 1994 a scendere in campo per salvare l’Italia, tutte palle“, ha detto il politologo testimoniando in aula al processo il 18 febbraio del 2016.  “Negli anni ’90 la situazione italiana era tragica e Dell’Utri mi parlò di creare dei comitati di partecipazione, cosa che precedette i club di Forza Italia, noi parlavamo di club di partecipazione che dovevano raggruppare persone dei vari partiti di centro, ex Dc, ex liberali, in modo da riunirli sotto un’unica forza”. Quando è dunque che Dell’Utri cerca per la prima volta Cartotto? “Tra l’omicidio Lima e la strage di Falcone“. Il pentapartito governa ancora il Paese, ma l’allora presidente di Publitalia ’80 ha già le idee chiarissime su come andrà a a finire.

Capaci e i denti di Riina  – “Il rapporto si è invertito: ora è la mafia che vuole comandare. E se la politica non obbedisce, la mafia si apre la strada da sola”, scrive su La Stampa Falcone, subito dopo l’omicidio Lima, quando Riina ha già inviato a Roma un commando di morte per lui: dovevano ucciderlo per strada, all’uscita di un ristorante. Da Palermo, però, arriva il contrordine: i picciotti devono tornare a casa. “La genesi di tutto è quando si decise di non uccidere più Falcone a Roma con quelle modalità e si torna in Sicilia: lì cambia tutto e poi non c’è solo mafia”, ha detto il pentito Gaspare Spatuzza. Cosa ci sia oltre la mafia la sentenza della corte d’Assise non lo spiega e probabilmente non lo spiegheranno neanche le motivazioni. Condannando Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, però, i giudici dicono che effettivamente i carabinieri aprirono una trattativa con Cosa nostra: nel giugno del 1992 agganciano Massimo Ciancimino e si pongono come interlocutori del padre Vito e quindi dei corleonesi.  “Circa 20 giorni dopo l’attentato a Giovanni Falcone, Riina mi disse: si sono fatti sotto, mi hanno chiesto cosa vogliamo per finirla e io gli ho consegnato un papello di cose”, ha raccontato il pentito Giovanni Brusca. Per l’accusa il dialogo aperto dai carabinieri ingenera in Riina la convinzione che la strada delle bombe è quella giusta. E infatti il 19 luglio del 1992 salta in aria anche Paolo Borsellino. Dalla strage di Capaci sono passati solo 56 giorni: perché tutta questa fretta? “Forse Riina doveva mantenere impegni, come se qualcuno fuori da Cosa nostra glielo avesse chiesto”, ha raccontato Salvatore Cancemi, il pentito che per primo ha parlato di legami tra il capo dei capi e Berlusconi.“Riina – ha spiegato – diceva che si stava giocando i denti per il bene di Cosa nostra e che aveva Berlusconi e Dell’Utri nelle mani: con loro possiamo dormire sonni tranquilli”.

Silvio Berlusconi Evasore Fiscale

Le intercettazioni di Graviano – Sembrano riferirsi a quel periodo anche le intercettazioni in carcere del boss Giuseppe Graviano. “Nel ’92 lui già voleva scendere. Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa“. Un’ intercettazione depositata al processo e che gli inquirenti interpretano come un’allusione proprio alla strage di via d’Amelio, con l’allora imprenditore Berlusconi che sarebbe già stato intenzionato a scendere in campo. Ipotesi avanzata più volte in passato ma mai dimostrata, che viene rilanciata dopo la sentenza dell’aula bunker del carcere Pagliarelli. Anche perché Graviano in carcere dice anche altro. “Nel ’93 ci sono state altre stragi ma no che era la mafia. Loro dicono che era la mafia”, racconta riferendosi ai botti di Firenze, Milano e Roma, quando per la prima volta Cosa nostra – che nel frattempo è passata sotto la guida di Leoluca Bagarella – colpisce fuori dalla Sicilia. Eccidi che, dopo la sentenza della corte d’Assise, sono da considerarsi a tutti gli effetti messaggi diretti a Palazzo Chigi.

“Le stragi fermate grazie a Graviano” – “Lo sai cosa scrivono nelle stragi? Nelle sentenze delle stragi, che poi sono state assoluzione la Cassazione e compagnia bella: le stragi si sono fermate grazie all’arresto del sottoscritto“, è un’altra intercettazione di Graviano depositata al processo. E in effetti il boss di Brancaccio viene arrestato il 27 gennaio del 1994: da allora non un solo colpo sarà sparato nella Penisola, nuovo regno della pax mafiosa. È per questo motivo che gli investigatori hanno collegato quelle conversazioni al fallito attentato dello stadio Olimpico, che doveva essere compiuto nelle prime settimane del 1994. È  il “colpetto” che secondo il pentito Spatuzza si doveva dare per ordine dello stesso Graviano. Il collaboratore ha raccontato di aver incontrato il suo capomafia a Roma il 21 gennaio 1994. “Incontrai Giuseppe Graviano all’interno del bar Doney in via Veneto, a Roma. Graviano era molto felice, come se avesse vinto al Superenalotto, una Lotteria. Poi mi fece il nome di Berlusconi. Io gli chiesi se fosse quello di Canale 5 e lui rispose in maniera affermativa. Aggiunse che in mezzo c’era anche il nostro compaesano Dell’Utri e che grazie a loro c’eravamo messi il Paese nelle mani. E per Paese intendo l’Italia. Quindi mi spiega che grazie a queste persone di fiducia che avevano portato a buon fine questa situazione, che non erano come quei quattro crasti (cornuti ndr) dei socialisti”.  A quel punto arriva la richiesta: “Graviano mi dice che l’attentato ai carabinieri si deve fare lo stesso perché gli dobbiamo dare il colpo di grazia”. Il riferimento è proprio all’attentato allo stadio Olimpico contro il pullman dei carabinieri che mantengono l’ordine pubblico durante le partite di calcio. Sarebbe stata l’ennesima strage di quel biennio: per fortuna salta, perché a detta di Spatuzza ci fu un problema al telecomando collegato all’autobomba.

Arriva Berlusconi e la mafia non spara più – Nello stesso periodo in cui Graviano incontra Spatuzza a Roma, proprio Dell’Utri si trova nella capitale a pochi metri dal bar Doney: il 22 gennaio 1994, infatti, era in programma una convention di Forza Italia all’hotel Majestic, sempre in via Veneto. Secondo gli accertamenti della Dia l’arrivo dell’ex senatore in albergo – a circa 50 metri dal bar Doney – è registrato il 18 gennaio. È possibile che Graviano abbia incontrato Dell’Utri negli stessi giorni in cui dava quegli ordini a Spatuzza? Di sicuro c’è solo che il 26 gennaio Berlusconi aveva ufficializzato il suo ingresso in politica. Meno di 24 ore dopo i boss di Brancaccio vengono arrestati. Da quel momento finiscono le stragi. All’improvviso Cosa nostra smette di mettere le bombe, di fare la guerra allo Stato, di destabilizzare il Paese. I boss e i picciotti – lo dicono molti collaboratori di giustizia – si mettono a fare campagna elettorale per Forza Italia, che poco dopo stravince le elezioni. Berlusconi va al governo e diventa il destinatario della minaccia di Cosa nostra. L’intermediario di quella minaccia è Marcello Dell’Utri, il suo storico braccio destro, il Fondatore del suo partito.
 E allo stesso tempo l’uomo cerniera tra Boss e Politica
la “cinghia di trasmissione” delle volontà della Piovra.
 La Seconda Repubblica è nata così.

DA : https://www.ilfattoquotidiano.it/


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venerdì 20 aprile 2018

Berlusconi è il Male Assoluto


Sondaggio : 
Emg Acqua per Cartabianca ha chiesto a circa duemila italiani 
se fossero d'accordo con la definizione 
che l'esponente del Movimento 5 Stelle sull'ex Cavaliere.

Berlusconi è il male assoluto come dice Di Battista



Una definizione di Alessandro Di Battista su cui è stato chiesto il parere degli italiani. È quanto fatto da Emg Acqua in un sondaggio per Cartabianca, la trasmissione Rai di Bianca Berlinguer. Oggetto? Silvio Berlusconi, definito dall’esponente del Movimento 5 Stelle come “il male assoluto“. I risultati sono sorprendenti. La domanda posta a circa duemila intervistati era la seguente: “Di Battista del Movimento 5 Stelle ha definito Berlusconi ‘il male assoluto’. Lei quanto è d’accordo con questa affermazione?”. Bene: per il 50,6 per cento delle persone intervistate la risposta è stata “Molto”, mentre solo il 2 per cento ha detto “Per nulla“. In mezzo ci sono il 28,1 per cento che ha detto “abbastanza” e il 10,6 per cento che ha risposto 
“Poco“. L’8,7 per cento, infine, si è trincerato dietro un “non so”.

Più politica la seconda domanda, strettamente legata all’attuale mancanza di un esecutivo. “Se non si dovesse trovare un accordo tra le forze politiche, lei sarebbe favorevole ad un governo di altro profilo istituzionale con il sostegno di tutti i partiti?”. Alla domanda di Emg Acqua, il 25,1 per cento dei circa duemila italiani intervistati si è detto favorevole, mentre il 43,3 per cento si è dichiarato contrario. I “non so” sono stati il 32,6 per cento.



Non è questione di disprezzo personale. 
Certo, c’è anche quello per un uomo ricco sfondato che per passare il tempo non trovava di meglio che organizzare festini con ragazzine dell’età delle sue nipoti negli scantinati della sua dimora e che ha fatto della Menzogna e dell’Inganno una Filosofia di Vita Pubblica e Privata. Non è neanche questione di Ribrezzo Politico. Certo, c’è anche quello per un personaggio che ha umiliato per anni la nostra Repubblica costringendola ad occuparsi dei suoi processi personali e delle sue aziende sfruttando un conflitto di interessi da terzo mondo. Non è neanche questione di rivalità partitica. Certo, c’è anche quello ma dopo un quarto di secolo il programma politico di Forza Italia lo conosciamo a memoria, è sempre lo stesso, difendere gli interessi di Mediaset e tener fuori il suo padrone dalla galera, una farsa che reggeva quando era al trenta percento e quando Renzi stava al gioco e i tempi sono cambiati. 
Non è neanche una questione penale. 
Certo c’è anche quello ma si sa che in Italia finiscono in Galera solo i poveri cristi. 
Lo Stato deve fermare il delinquente
Berlusconi ha sempre usato il suo potere politico ed i suoi soldi per impedire alla giustizia di fare il suo corso e alla fine se l’è cavata con decine di Prescrizioni, Multe e con una Condanna ai Servizi Sociali. E allora perché lo Stato deve fermare questo delinquente naturale, come lo definiscono i giudici? Lo deve fermare per ragioni di decenza, igiene e tenuta democratica. Lo deve fermare perché Berlusconi è un traditore dello Stato. A dirlo sono i Giudici. L’unica condanna di Berlusconi è per una gigantesca Evasione Fiscale. Per aver cioè truffato lo Stato con l’aggravante di averlo fatto anche mentre ricopriva la carica di premier. E grazie a questa condanna definitiva è decaduto da senatore e diventato non eleggibile. Lo Stato ha cioè ritenuto e ritiene ancora 
Berlusconi indegno di far parte del Parlamento


Che Berlusconi sia quindi “disonorevole” lo dice la legge, non i suoi nemici politici. Ma c’è di più. Berlusconi è riuscito a star fuori dalla galera barando, ma le sentenze dei suoi processi certificano un’infinità di fatti infamanti che dovrebbero impedire a chiunque anche solo di avvicinarsi allo Stato. Dalle sentenze, risulta come Berlusconi abbia corrotto giudici, testimoni, forze dell’ordine, politici e quant’altro per sottrarsi alla Giustizia. Ha cioè ancora una volta ingannato lo Stato corrompendo perfino servitori dello Stato. Ma c’è di più. Dalle sentenze è stato certificato come Berlusconi abbia addirittura stretto un patto con la mafia e l’abbia pagata per anni in cambio di protezione. È cioè sceso a patti col nemico numero uno dello Stato, con l’organizzazione criminale che lo Stato lo vuole distruggere.  Ma c’è di più. Nella complicità dei vecchi partiti come il Pd che con un personaggio del genere hanno governato, nell’impossibilita della Giustizia di punirlo per i suoi crimini, nell’inerzia delle istituzioni che gli hanno permesso addirittura di fare campagna elettorale col suo nome nel simbolo pur essendo Ineleggibile (e qualcuno un giorno dovrà spiegare come è stato possibile), ci hanno pensato i cittadini il 4 marzo a reagire scatenando un vero e proprio tsunami che ha travolto un sistema marcio e complice e succube di Berlusconi. 


Forza Italia – nonostante l’enorme potere economico e mediatico alle spalle – è stata battuta dalla Lega e clamorosamente umiliata dal Movimento 5 Stelle che i soldi li restituisce e aveva contro la stampa intera. Un urlo impetuoso in nome del cambiamento che almeno Mattarella non può ignorare. Le pagliacciate di Berlusconi al Quirinale, il suo ruolo nelle consultazioni e lo spazio che gli viene concesso dalle macerie del vecchio sistema, sono una umiliazione inaccettabile per tutti i cittadini che hanno espresso nelle urne una inequivocabile voglia di voltare pagina. 
Almeno ora, su mandato popolare, lo Stato deve reagire e 
fermare quel Delinquente in nome della dignità della nostra democrazia.
Scritto da : Tommaso Merlo



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mercoledì 18 aprile 2018

Elisabetta Casellati affermò che Mubarak menzionò la Nipote Ruby Rubacuori


Ruby Nipote di Mubarak



Nel 2011, intervistata da Lilli Gruber su La7 a Otto e mezzo sul caso Ruby Rubacuori, Elisabetta Casellati affermò che il presidente egiziano Mubarak, durante un incontro ufficiale, menzionò la nipote Ruby all'allora premier italiano Silvio Berlusconi. 
È quanto si legge in un comunicato di Otto e mezzo.



La Casellati  disse alla Gruber:
 "Quando Berlusconi ha incontrato Mubarak prima di questo episodio (quello della famosa telefonata alla questura di Milano 
per chiedere il rilascio di Ruby Rubacuori
pare che sia venuto fuori da alcune testimonianze che proprio nell'incontro Mubarak 
aveva parlato di questa sua nipote, ed era un incontro ufficiale".



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Salvini : Promuove il Made in Italy Poi cena al Mc D's


POCA COERENZA DA PARTE DEL POLITICO
Salvini  
Dalla tutela del made in italy all'hambuger di Mc D's.

Il capo politico della Lega ha anche trovato il tempo di lanciare un messaggio politico al leader del M5S Luigi Di Maio : "Gli consiglio uno Sforzato, perché si deve sforzare a fare qualcosa di più", facendo riferimento al passito colore rosso rubino del #vino prodotto nella zona della Valtellina.

Il Vinitaly di Verona
Il Vinitaly nasce come salone internazionale dei distillati e del Vino nel 1967 a Verona. Ad oggi è una nicchia di mercato che sta cambiando la geografia dei vigneti, sempre più produttori si danno al vino biologico infatti per andare incontro alle richieste del consumatore finale sempre più attento al benessere e all'ambiente. A testimoniarlo una crescita del 45% delle vendite di vino biologico nell'ultimo anno e del 40% degli spumanti. Il settore del biologico è in prevalenza una scoperta dei paesi del Nord Europa e l'Italia si sta adeguando a questa nuova forma 
di mercato con modesti risultati.

Al Vinitaly è presente ogni forma di espressione dell'enologia, dai vini biologici a quelli artigianali per arrivare a quelli biodinamici: significativo sopra ogni altra cosa l'accostamento del vino ad un prodotto alimentare sicuramente bio per ottenere un pasto completo made in italy nell'insegna del biologico. C'è poi chi ha pensato a garantire la sicurezza del consumatore che deve mettersi alla guida, con il primo brevetto mondiale dello spumante e prosecco analcolico. L'export di vini bio nel 2017 cresce 10 volte di più di quelli non certificati, amati dagli appassionati ma anche dai produttori che sanno che il biologico offre un vantaggio importante su molti mercati, andando sempre di più sull'organico e di conseguenza sulla prevenzione dell'ambiente.



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Bisognerebbe fare un'opera al setaccio per togliere 
la pensione a chi ha un patrimonio importante
 e quella pensione non se l'è guadagnata. 
Ma è difficile andare a correggere errori del passato,,,

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Fine della Dinastia Castro a Cuba


Davvero il potere passerà nelle mani di un uomo 
che all'epoca della Rivoluzione non era nemmeno nato?

Cuba dirà addio alla dinastia Castro con ventiquattro ore di anticipo. La seduta del Parlamento cubano, l’occasione per l’elezione del successore di Raul, è stata spostata da giovedì a mercoledì. L’isola comunista, 59 anni dopo la Rivoluzione Cubana, finirà con ogni probabilità nelle mani di Miguel Diaz-Canel Bermudez. L’uomo, 58 anni, oggi è vicepresidente. Ma non era nemmeno nato quando Fidel prese il potere. Il passo indietro di Raul Castro, annunciato nel 2013, “segnerà la fine di un’epoca”, scrive il Washington Post. Eppure, negli Stati Uniti, sono in pochi a credere che la dinastia Castro sia destinata a finire semplicemente con il cambio alla guida del Paese.

“Nessun ribaltone a Cuba”
“Non è un segno di transizione – spiega The Hill -, quanto piuttosto parte di un copione ben scritto da Raul Castro e da chi lo circonda”. Per il giornale statunitense “sarà la continuazione della stessa condizione in cui governa l’unico partito comunista dell’isola”. Non solo, “il governo cubano sarà spinto a parlare della successione come di una transizione storica, come parte del funzionamento di una democrazia sana, ma non sarà così”.
Dello stesso avviso è Bloomberg, secondo cui “non c’è da attendersi un cambio radicale” né tanto meno un cambio nei rapporti con gli Stati Uniti. “Non aspettatevi una tregua nella faida che dura da sessant’anni”, chiosa il quotidiano economico secondo cui da quando Donald Trump siede alla Casa Bianca la tensione ha vissuto una escalation. Una situazione che ha fatto dei due Paesi qualcosa come “frenemies”, un mix tra friends e enemies - amici e nemici -. Cioè politicamente avversari, con stilettate continue, ma in grado di cooperare in situazioni di emergenza, come dopo l’uragano di Haiti o dopo un incendio che aveva messo in pericolo la base statunitense di Guantanamo, e anche nello stroncare congiuntamente attività illegali come
 “traffici di droga e di esseri umani”, ricorda Bloomberg.
“Castro rimarrà segretario del Partito”
Niente cambi radicali ma piuttosto una transizione senza scossoni, dunque. Cuba affronterà il cambiamento senza stravolgere l’assetto che dura oramai dai tempi della Guerra Fredda. “Raul Castro rimarrà segretario del partito – spiega The Hill -, che di fatto detta tutte le decisioni politiche chiave. Castro è anche a capo delle Forze Armate Rivoluzionarie (Far) – gli eserciti terrestri, navali, aerei e di difesa aerea – e probabilmente continuerà a esercitare una influenza senza pari” anche in virtù di un presunto controllo della Gaesa (Grupo de Administracion Empresarial S.A.), un conglomerato di attività che gestisce fino al 70% dell’economia dell’isola. Una situazione che Il Foglio aveva descritto così: “Se andate a Cuba da turisti, rassegnatevi: in un modo o nell'altro finanziate l'esercito”.


I sogni di gloria economici
I viaggi, appunto, sono una della cartine tornasole dell’economia cubana. Una delle principali novità introdotte negli ultimi anni, in virtù anche dell’apertura impressa dall’ex presidente statunitense Barack Obama ai rapporti con l’isola comunista, era stata la possibilità per i turisti americani di visitare Cuba anche senza accompagnatori. Prima della riforma dell’ex inquilino della Casa Bianca nel 2014, “la maggior parte degli americani senza legami familiari con Cuba potevano andarci soltanto grazie a costosi tour guidati. La situazione, che per alcuni anni era migliorata, è nuovamente precipitata nel novembre scorso quando Trump ha introdotto nuove limitazioni. Niente soldi alle attività legati ai soldati cubani, detto in parole povere. Come per esempio agli 80 hotel sull’isola in cui è vietatissimo soggiornare per presunti affari con le Far.

Ma secondo il Washington Post non sono soltanto i vicini di casa statunitensi a rallentare l’economia cubana. Lo stesso governo comunista, allarmato per il repentino aumento degli impiegati nel settore privato, “ha imposto una frenata alla concessione di nuove licenze per le attività commerciali”. Dal 2008, l’anno dell’addio di Fidel, al 2017, il numero di imprenditori o di lavoratori che non rientrano nella sfera dello Stato è quasi quadruplicato, “da 150 mila a 580 mila”. Ciò nonostante, come segnalato nel rapporto stilato dalla Brookings Institution, per diversi beni, dallo zucchero al caffè, dal tabacco al pesce, “i livelli di produzione prima della rivoluzione del 1959 erano abbondantemente superiori a quelli odierni”. Segno di una economia che non ha ancora trovato uno sviluppo o, per dirla con il Wp, di una “disincantata stagnazione”.


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martedì 17 aprile 2018

Macron: L' Italia era un Paese Fascista, si merita tutti gli Immigrati


"L'Italia era un Paese fascista. 
È cosa nota che durante il ventennio gli africani venissero trattati alla stregua di animali, pertanto è giusto che i neri di oggi si prendano ciò che spetta loro legittimamente." Queste sono state le controverse dichiarazioni espresse stamane dal Presidente francese Emmanuel Macron, in risposta alle pesanti accuse mosse dai media italiani relativamente alla durezza con la quale il governo d'oltralpe respinge i profughi africani intenti ad attraversare il confine. Il premier francese, nello specifico, è stato accusato a più riprese di aver addossato agli italiani tutta la responsabilità per la cattiva gestione dei flussi migratori provenienti dai Paesi africani e dal Medio Oriente. Pare infatti che Macron abbia riferito ad alcune testate giornalistiche francesi: "La Francia, come tutti noi sappiamo, è stata una delle principali potenze coloniali dei secoli scorsi. Grazie alla nostra gente, popolazioni come gli algerini ed i congolesi hanno raggiunto un discreto livello di civilizzazione, senza contare le migliaia di famiglie provenienti da quelle nazioni di cui la Francia si è fatta carico. Abbiamo accolto milioni di immigrati, ma è ora di darci un taglio
 e passare la patata bollente ai nostri cugini Fascisti e Xenofobi. 

Macron ha deciso che i tempi per l’esame della condizione di rifugiato passano da 11 mesi a 6 mesi, senza appello. Se non si ha diritto all’asilo, si è espulsi immediatamente e in attesa del rimpatrio non si circola liberamente come avviene qui da noi, ma si finisce nei centri di detenzione la cui permanenza passa da 45 a 90 giorni. E chi entra illegalmente in Francia viene spedito in carcere per un intero anno 
e paga in più 3.750 euro di multa.

Anche oltre confine la sinistra, le associazioni pro-migranti, quelle che come in Italia fanno affari con gli sbarchi, protestano ma Macron, tira dritto per la sua strada.

La Germania, solo per citare un esempio, ha pagato e paga tuttora per gli errori commessi durante la seconda guerra mondiale. Lo stesso non si può dire per gli  italiani che vengono erroneamente definiti come il popolo più solare ed accogliente del pianeta. Non riesco proprio a comprendere questa differenza di trattamento: perché i tedeschi devono sobbarcarsi ancora oggi una responsabilità del genere, mentre i nostri vicini diversamente bianchi possono permettersi di protestare solo perché salvaguardiamo gli interessi del popolo francese? Come Presidente del Paese più bello del mondo, continuerò a preservare la mia gente, scacciando ogni extracomunitario che si appresterà a mettere piede in Francia. Tutti i migranti espulsi dal nostro Paese verranno come di consueto trasferiti in Italia e lì dovranno restare. È ora di responsabilizzare un minimo coloro 
che per i profughi non hanno mai fatto nulla". 



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