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venerdì 4 maggio 2018

Libertà di Stampa: Italia al 77° Posto


Nella classifica stilata da Reporter senza frontiere perdiamo 4 posizioni. Fra le cause i giornalisti intimiditi o minacciati di morte. Meglio di noi anche Burkina Faso e Botswana.

Brutte notizie per l’Italia sul fronte della libertà di stampa. Nell’annuale classifica di Reporters sans Frontieres il nostro Paese perde quattro posizioni, scendendo dal 73° posto del 2015 al 77° (su un totale di 180 Paesi) del 2016. L’Italia è il fanalino di coda dell’Ue (che è comunque l’area in cui c’è maggiore tutela dei giornalisti), seguita soltanto da Cipro, Grecia e Bulgaria. 

GIORNALISTI NEL MIRINO  

Fra i motivi che - secondo l’organizzazione con base in Francia - pesano sul peggioramento, il fatto che «fra i 30 e i 50 giornalisti» sarebbero sotto protezione della polizia per minacce di morte o intimidazioni. Nel rapporto vengono citati anche «procedimenti giudiziari» per i giornalisti che hanno scritto sullo scandalo Vatileaks. I giornalisti in maggiore difficoltà in Italia, dunque, sono quelli che fanno inchieste su corruzione e crimine organizzato 





DIETRO BENIN E BURKINA FASO  

Per farsi un’idea dell’allarmante situazione italiana basta dare un’occhiata alla classifica: ci precedono Paesi come Tonga, Burkina Faso e Botswana.  

L’AFRICA SORPASSA L’AMERICA  

La libertà di stampa è peggiorata quasi ovunque nel 2015. Ma per la prima volta, da quando Rsf ha cominciato nel 2002 a elaborare la sua classifica, l’Africa mostra una situazione migliore che l’America, piagata dalla «violenza crescente contro i giornalisti in Latinoamerica», mentre l’Asia continua a essere il continente peggio valutato. L’Europa rimane l’area in cui i media sono più liberi, anche se Rsf nota un indebolimento del suo modello.  



FINLANDIA IN TESTA  

Dei 180 Paesi valutati, la Finlandia continua ad essere quello in cui le condizioni di lavoro per i giornalisti sono migliori (è in cima alla classifica accade dal 2010; seguita da l’Olanda, che guadagna due posti, e la Norvegia, che ha perso la seconda posizione. Russia, Turchia ed Egitto sono rispettivamente al 148°, 151° e al 159° posto. Fanalini di coda Turkmenistan (178°), la Corea del Nord (179°) e l’Eritrea (180°). I balzi più grandi in classifica sono stati quelli di Tunisia (dal 126° al 96°) e Ucraina (dal 129° al 107°).  

La libertà d’espressione non se la passa benissimo, nel nostro Paese, anche se ogni istituto che la misura racconta una storia diversa. Il motivo sta nella diversa natura degli istituti di ricerca e nella sensibilità degli esperti che misurano quanto sia libera la stampa in Italia.

Se, secondo la classifica di Freedom House siamo al 62esimo posto nel mondo in termini di libertà di stampa e secondo quella di Reporter Sans Frontieres siamo al 51esimo, quanto male è messa la nostra libertà di espressione? La domanda, all’indomani delle decisioni del ministro dell’Interno Marco Minniti in termini di fake news (con un servizio della Polizia postale che si occupi di segnalarle)
 è di stringente attualità.

La risposta non è del tutto positiva, anche se, d’altra parte, bisogna ammettere che l’Italia non è quella valle di lacrime che, a volte, viene raccontata. Il perché sta nel modo in cui la libertà di espressione viene misurata e, per vedere come viene fatto, occorre mettere a confronto gli indici che la misurano. Per farlo, oltre a Freedom House e Reporters Sans Frontieres, ho usato anche l’indice che misura questa dimensione del dataset di V-Dem.

Per quanto i grafici non siano radicalmente diversi, V-Dem premia molto aree del mondo come la Palestina, il Gabon e il Kyrgyzstan, mentre Repoters Sans Frontieres è più severo con la Cina di quanto non lo sia invece Freedom House. I motivi di queste differenze stanno nella metodologia che viene usata dai vari istituti per calcolare questi indici 
e nelle differenti organizzazioni che li calcolano.

Freedom House e Reporters Sans Frontieres sono due organizzazioni non governative. La prima è finanziata in gran parte dal governo americano. La seconda, invece, è indipendente ed è accreditata, tra le altre organizzazioni internazionali, presso l’Unesco e il Consiglio d’Europa. Invece V-Dem è un istituto di ricerca universitario che ha sede presso le università di Göteborg, in Svezia, e presso l’università di Notre Dame negli Stati Uniti. Tra i finanziatori, le monarchie nordiche, la Commissione europea e il governo canadese.

Tutti e tre gli istituti lavorano all’incirca allo stesso modo: conducono expert-survey. Ovvero, chiedono a esperti di misurare, in base alla loro professionalità, una certa dimensione di un Paese. Dimensioni come la libertà di stampa sono difficili da misurare secondo criteri oggettivi: non si tratta di calcolare il Pil di un Paese.

Proprio per questo motivo, bisogna fare domande molto dettagliate. Freedom House, per esempio, manda ai suoi esperti (in gergo coder) un questionario di 23 domande che analizzano, nella sua complessità il tema della libertà di espressione. Un procedimento simile lo adotta anche Reporters Sans Frontieres, ma con 87 domande.

V-Dem segue un procedimento un po’ più complesso. L’istituto nasce per dare al mondo accademico un’alternativa a Freedom House cercando di differenziarsi dall’istituto americano proprio sotto l’aspetto metodologico. Quando un esperto compila il questionario di V-Dem sulla democrazia nella sua area di competenza sa che i data-scientist dell’istituto correggeranno le sue risposte.

Possono farlo perché, usando delle domande di controllo, sanno di quanto il coder si possa sbagliare e quindi, usando un algoritmo, (per i nerd della statistica, un Irt bayesiano) ottengono una risposta più accurata. Questo, in parte, spiega perché, mentre Freedom House e Reporters Sans Frontieres danno risposte simili, l’indice di V-Dem si comporta in modo diverso. Queste differenze si riflettono anche nelle classifiche. Per quanto le ultime e le prime posizioni siano quasi coincidenti (Francia a parte), nella pancia del ranking accadono cose interessanti. La Bulgaria, per esempio, è 38esima secondo 
V-Dem e 109esima secondo Repoters Sans Frontieres. Controversa è anche la posizione del Madagascar, 113esimo secondo V-Dem e 57simo secondo Repoters Sans Frontieres.

Ma non si tratta solo di un problema di metodologia. Infatti, i coder che danno i voti ai vari Paesi sono diversi per ogni istituto. Questo, soprattutto, spiega le discrepanze tra i vari indici. 
Quindi, in definitiva, come siamo messi? 

Andando a fare la media dei vari indicatori, scopriamo di essere davvero un po’ troppo in basso, nella classifica, ma non così in basso. Infatti, l’Italia si colloca al 37esimo posto, poco al di sotto della Namibia. Va detto che, al netto di tutte le difficoltà, da noi è come se si realizzasse l’80% dell’ideale della libertà di espressione. Il problema è che gli altri Paesi europei mantengono valori significativamente più alti.

A guidare questa classifica, infatti, ci sono ancora i Paesi scandinavi con Norvegia e Svezia decisamente sugli scudi. Nessuna sorpresa in coda al ranking: a chiuderlo, infatti, ci sono i soliti sospetti con la Corea del Nord saldamente all’ultimo posto.





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Previsioni per il 2018






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