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sabato 28 luglio 2018

Far West Italia : Immigrati e Rom colpiti e feriti con armi ad aria compressa

Far West Italia : Immigrati e Rom colpiti e feriti con armi ad aria compressa

11 Sparatorie da Inizio Anno

Sette episodi in un mese, nove vittime, 
immigrati e rom colpiti e feriti con armi ad aria compressa .·

Vicenza, spara dal terrazzo e ferisce immigrato
Colpito un operaio di origine capoverdiana che lavorava su un ponteggio. 
Lo sparatore ai carabinieri: "Volevo prendere un piccione". 

Caserta, 11 giugno - due richiedenti asilo maliani vengono raggiunti da alcuni colpi di una pistola ad aria compressa sparati da tre ragazzi all’interno di un’auto in corsa.
I tre ragazzi, secondo la testimonianza dei due maliani, 
gridavano “Salvini, Salvini!”.

Napoli, 22 giugno - Konatè Bouyagui, 22 anni, anche lui originario del Mali, noto per aver partecipato al programma televisivo “Masterchef”, cade a terra ferito mentre passeggiava in pieno centro, a Napoli, colpito da una serie di piombini provenienti da un fucile ad aria compressa, sparati sempre da un’automobile in corsa.
E racconta: “Sparavano e ridevano”.

Far West Italia : Immigrati e Rom colpiti e feriti con armi ad aria compressa

Forlì, 3 luglio - una donna nigeriana viene avvicinata da un ragazzo in motorino, che le spara ad un piede con una pistola ad aria compressa.

Forlì, 6 luglio - Hugues Messou, ivoriano, è in sella alla sua bicicletta, quando viene affiancato da un’automobile e viene colpito da un proiettile sparato da una pistola ad aria compressa.
L’uomo cade a terra, ferito all’addome.

Latina, 11 luglio - due richiedenti asilo stanno aspettando l’autobus alla fermata di Latina Scalo, quando all’improvviso dei ragazzi a bordo di un’Alfa 155 gli sparano addosso con una carabina caricata ad aria e gommini.
Gli africani, di 26 e 19 anni, feriti e in stato di shock, vengono portati in ospedale.

Roma, 17 luglio - una bambina rom di un anno inizia improvvisamente a piangere mentre è in braccio alla mamma, che sta percorrendo a piedi via Palmiro Togliatti.
La donna le tocca la schiena e si accorge che la bimba sta sanguinando.
Porta immediatamente la figlia in ospedale e apprende che è stata colpita da un piombino sparato da una pistola ad aria compressa, piombino che probabilmente era destinato a lei.
La bambina è stata operata, ma in questo momento è ancora in prognosi riservata e rischia di rimanere paralizzata a vita.

Tutti questi episodi sono accaduti nell’ultimo mese.



Affogate i negri
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Ma volete il crocefisso

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venerdì 27 luglio 2018

L'autrice della Bufala su Josefa e le Unghie Curate

Lo smalto, come spiegato dalla Ong e da una giornalista che era a bordo al momento del salvataggio, è stato una “coccola” a Josefa. Una distrazione per passare il tempo mentre, sdraiata sul ponte della nave della Ong, si riprendeva dal trauma


L'autrice della bufala su Josefa spiega le sue ragioni
In una intervista a La Stampa Francesca T. si definisce una "patriota" e dice:
 mi limito a insinuare il dubbio

Si definisce “ricercatrice indipendente” e il suo tweet sullo smalto di Josefa, la donna camerunense salvata dal mare a ottanta miglia dalle coste libiche, ha totalizzato centinaia di visualizzazioni, condivisioni e commenti. Ma Francesca Totolo, 41 anni, non è così indipendente, come ammette lei stessa per La S. In un’intervista al quotidiano ha spiegato di collaborare principalmente con Il Primato Nazionale, testata online legata a CasaPound e punto 
di riferimento del mondo dell’estrema destra italiana.
Così l’influencer, che nella sua biografia sul social network vanta anche una collaborazione con il sito di Luca Do. (altro opinionista caro alle posizioni sovraniste), riconosce di avere “stretti legami” con account Twitter anonimi specializzati nel fare da amplificatore all’informazione che più si accanisce contro i migranti. “Uno di loro so chi è - spiega T. -,
 ma non posso dirlo per mantenere riservata la mia fonte”.


Francesca T.
 #Josefa con le unghie perfette laccate di rosso dopo 48 ore in mare.Quindi:
1 I #trafficanti mettono lo smalto alle migranti
2 Sulla nave di @openarms_fund ci si diletta con lo smalto,quindi le condizioni psico-fisiche di Josefa collidono con 48 ore in mare aggrappata al relitto


La storia sollevata da Totolo e da altri account riguarda il salvataggio di Josefa, una donna camerunense salvata da una nave della Ong Proactiva Open Arms. La colpa della donna sarebbe quella di aver avuto delle unghie curate e con tanto di smalto. Dimostrazione che il salvataggio sarebbe stato una messinscena a uso delle televisioni e della “propaganda no border”. Ma sono bastate poche veloci verifiche per dimostrare che durante il salvataggio Josepha non solo non aveva lo smalto, ma era anche segnata dai giorni passati immersa in acqua. A dircelo ci sono video e foto, come ricostruito da Valigia Blu.
Lo smalto, come spiegato dalla Ong e da una giornalista che era a bordo al momento del salvataggio, è stato una “coccola” a Josefa. Una distrazione per passare il tempo mentre, sdraiata sul ponte della nave della Ong, si riprendeva dal trauma.


 Josefa ha le unghie laccate perché nei quattro giorni di navigazione per raggiungere la Spagna le volontarie di Open Arms le hanno messo lo smalto per distrarla e farla parlare. Non aveva smalto quando è stata soccorsa. Serve dirlo?  

Lo smalto, come spiegato dalla Ong e da una giornalista che era a bordo al momento del salvataggio, è stato una “coccola” a Josefa. Una distrazione per passare il tempo mentre, sdraiata sul ponte della nave della Ong, si riprendeva dal trauma


Domande che Francesca T. non si è posta, pur definendosi ricercatrice. “Io ho visto il servizio al Tg, da cui ho preso lo screenshot delle unghie di Josefa con lo smalto. Ma nel primo tweet non ho mai detto quello che poi mi hanno contestato, parlavo di due ipotesi: o lo smalto lo aveva già o le è stato messo a bordo”.
Sarà proprio la seconda ipotesi a essere verificata, anche se l’impatto della verità su questa vicenda è stato molto minore rispetto alla diffusione della prima, falsa, versione. Quella che vedrebbe Josefa complice di una recita organizzata “dai soliti buonisti”, come scrive qualcuno.


Ci sono dei personaggi per i quali la donna sopravvissuta Dio solo sa come in mezzo al Mediterraneo aggrappata a un relitto, salvata in extremis dai volontari di una ONG, tragica testimone della morte di una madre e di suo figlio – suoi compagni di sventura – sarebbe interprete di una messinscena sbugiardata nientemeno che dallo smalto di cui sarebbero state 
vezzosamente laccate le unghie delle sue mani.

Solo un mostro può arrivare a profanare in modo così abietto la dignità di un proprio simile.

In questo episodio c’è tutto il peggio che può uscire dal cuore di un uomo o di una donna (perché, strano a dirsi, ma in questa faccenda della merda razzista talvolta le infamie peggiori escono da bocche femminili).

C’è innanzitutto la menzogna: non ci sarebbe neppure bisogno di dirlo, ma Josefa è stata ripescata in mare in fin di vita e le sue unghie erano tutt’altro che laccate. Piuttosto, il suo corpo era ustionato dalla nafta e arso dalla salsedine e dal sole. Le unghie dipinte allo sbarco erano solo il gesto pietoso delle volontarie che hanno cercato un modo per distrarre la donna da un incubo che nessuno potrà mai cancellarle dagli occhi per il resto dei suoi giorni.

C’è poi il sessismo, per il quale una donna con le unghie laccate è comunque un po’ mignotta e fare la mignotta in mezzo al mare non sta bene.

Lo smalto, come spiegato dalla Ong e da una giornalista che era a bordo al momento del salvataggio, è stato una “coccola” a Josefa. Una distrazione per passare il tempo mentre, sdraiata sul ponte della nave della Ong, si riprendeva dal trauma

C’è ovviamente tutto il razzismo del mondo, perché solo la cecità di un maledetto razzista può far accostare questa vicenda a una montatura; e questo accade perché al maledetto razzista la pelle nera fa perdere la ragione come il drappo rosso al toro.

C’è la malevolenza di chi sostiene posizioni manifestamente assurde e propala informazioni false, con l’unica finalità di mettere in comunicazione le pozzanghere di meschinità sparse nella nostra società e di farne un unico lago putrido nel quale sguazzare.

C’è la disumanità che impedisce a questi vermi di fissare i propri occhi in quelli di Josefa. Bastava quello sguardo, bastavano quegli occhi sbarrati a convincere chiunque della tragedia che sta vivendo un intero continente, della disperata richiesta di aiuto che ci viene da interi popoli. Loro non guardano gli occhi, evitano accuratamente tutto ciò che di umano c’è in quei corpi, vivi o morti che siano. Rovistano, rigirano e taroccano affannosamente i pixel di quelle foto per grattare da esse miserabili prove farlocche da servire ai bastardi come loro, 
perché la miseria vuole altra miseria per giustificare sé stessa.

C’è l’assoluta mancanza di pietà, di compassione, di fratellanza. C’è il rifiuto di accettare che il nostro destino è comune, e che l’uomo è fatto per l’uomo.

Con molta rabbia devo dire che questa schifezza dello smalto di Josefa l' hanno condivisa anche in tanti .Cercate ora di provare un po' di vergogna e ammettete il vostro razzismo......grazie!
Solo un mostro può arrivare a profanare in modo così abietto la dignità di un proprio simile.

In questo episodio c’è tutto il peggio che può uscire dal cuore di un uomo o di una donna 
(perché, strano a dirsi, ma in questa faccenda della merda razzista talvolta le infamie peggiori escono da bocche femminili).

C’è innanzitutto la menzogna: non ci sarebbe neppure bisogno di dirlo, ma Josefa è stata ripescata in mare in fin di vita e le sue unghie erano tutt’altro che laccate. Piuttosto, il suo corpo era ustionato dalla nafta e arso dalla salsedine e dal sole. Le unghie dipinte allo sbarco erano solo il gesto pietoso delle volontarie che hanno cercato un modo per distrarre la donna da un incubo che nessuno potrà mai cancellarle dagli occhi per il resto dei suoi giorni.

C’è poi il sessismo, per il quale una donna con le unghie laccate è comunque un po’ mignotta e fare la mignotta in mezzo al mare non sta bene.

C’è ovviamente tutto il razzismo del mondo, perché solo la cecità di un maledetto razzista può far accostare questa vicenda a una montatura; e questo accade perché al maledetto razzista la pelle nera fa perdere la ragione come il drappo rosso al toro.

C’è la malevolenza di chi sostiene posizioni manifestamente assurde e propala informazioni false, con l’unica finalità di mettere in comunicazione le pozzanghere di meschinità sparse nella nostra società e di farne un unico lago putrido nel quale sguazzare.

C’è la disumanità che impedisce a questi vermi di fissare i propri occhi in quelli di Josefa. Bastava quello sguardo, bastavano quegli occhi sbarrati a convincere chiunque della tragedia che sta vivendo un intero continente, della disperata richiesta di aiuto che ci viene da interi popoli. Loro non guardano gli occhi, evitano accuratamente tutto ciò che di umano c’è in quei corpi, vivi o morti che siano. Rovistano, rigirano e taroccano affannosamente i pixel di quelle foto per grattare da esse miserabili prove farlocche da servire ai bastardi come loro, perché la miseria 
vuole altra miseria per giustificare sé stessa.

C’è l’assoluta mancanza di pietà, di compassione, di fratellanza. C’è il rifiuto di accettare che il nostro destino è comune, e che l’uomo è fatto per l’uomo.



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Dopo il Vangelo e il rosario è la volta della croce:
 è già stata depositata alla Camera la proposta di legge, 
prima firma la leghista B. S. 
per renderne obbligatoria l'esposizione nei luoghi pubblici.
Il crocifisso mettilo a casa tua. Il nostro è uno Stato laico, ti piaccia o no. 
Chi arriva in Italia deve avere la consapevolezza 
di poter vivere il proprio culto senza imposizioni...

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martedì 24 luglio 2018

Matteo Salvini vuole i Crocifissi

Il crocifisso mettilo a casa tua. Il nostro è uno Stato laico, ti piaccia o no. Chi arriva in Italia deve avere la consapevolezza di poter vivere il proprio culto senza imposizioni.

Dopo il Vangelo e il rosario è la volta della croce:
 è già stata depositata alla Camera la proposta di legge, 
prima firma la leghista Barbara Saltamartini, 
per renderne obbligatoria l'esposizione nei luoghi pubblici.

Arriverà anche al crocifisso? Sul punto, i volponi di Palazzo che osservano il prosperare della Lega che brandisce simboli cristiani non hanno dubbi: ci arriverà. Di certo le premesse son già lì piazzate. Dopo il Vangelo sventolato al comizio di piazza (decisivo a raccattare i voti di marzo, secondo gli esperti), dopo il Rosario sgranato in pieno giuramento al Quirinale, Matteo Salvini è pronto a lanciare, qualora serva, anche l’ennesima battaglia sul crocifisso. Un bel modo per cominciare l’anno scolastico in serenità, ad esempio.

È in effetti già depositata alla Camera la proposta di legge,prima firma la leghista Barbara Saltamartini, per rendere obbligatoria l’esposizione della croce nei luoghi pubblici: scuole, università, accademie, carceri, uffici pubblici tutti, consolati, ambasciate. E nei porti, naturalmente: ancorché chiusi, per volontà del ministro dell’Interno, ai disperati raccolti in mare, dovrebbero tuttavia,
 per volontà del suo partito, esporre la croce «in luogo elevato e ben visibile».

Chiunque si sottrarrà all’obbligo - secondo la proposta - 
sarà passibile di una multa fino ?a mille euro.

La battaglia ?di certo non è nuova - anzi ?nel centrodestra sfiora l’ossessione. Se stavolta ?sarà portata avanti, segnerà l’ennesimo passo che allontana la Lega pagana che fu, e avvicina alla Lega sincretica che è. Coi simboli usati alla bisogna, stracciando non disprezzabili equilibri all’italiana come quello che si è trovato nei decenni sul punto, tra regi decreti mai abrogati e complesse sentenze intervenute, per cui ora i crocifissi non sono obbligatori, né vietati.

Il crocifisso mettilo a casa tua. 
Il nostro è uno Stato laico, ti piaccia o no. 
Chi arriva in Italia deve avere la consapevolezza 
di poter vivere il proprio culto senza imposizioni.

Affogate i negri
Bruciate i rom
Menate i gay
Ma volete il crocefisso


Non capisco cosa centra matteo con il crocefisso 
è divorziato ha 2 figli da 2 donne diverse
e vive con una terza donna
non mi sembra un buon esempio di cristiano o cattolico

Non capisco cosa centra sto matteo con il crocefisso  è divorziato ha 2 figli da 2 donne diverse e vive con una terza donna non mi sembra un buon esempio di cristiano o cattolico

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Le Vere Ragioni dell’Emigrazione Africana

LE VERE RAGIONI DELL’EMIGRAZIONE AFRICANA: IL FURTO DELLA TERRA

LE VERE RAGIONI DELL’EMIGRAZIONE AFRICANA:
 IL FURTO DELLA TERRA

L’Unione europea ha appena deciso di triplicare i fondi per la gestione dei migranti: la somma messa a bilancio passerà dagli attuali 13 miliardi di euro (anni 2014-2021) 
ai futuri 35 miliardi di euro (anni 2021-2027).
Prima di compiere l’analisi dei costi preventivati, dove i soldi vanno, per fare cosa, dobbiamo sapere cosa noi prendiamo dall’Africa, e cosa restituiamo all’Africa. Se noi aiutiamo loro oppure se loro, magari, danno una mano a noi.
Conviene ripetere e magari ripubblicare. 
Quindi partire dalle basi, dai luoghi in cui i migranti partono.
Roberto Rosso, l’uomo che dai jeans ha ricavato un mondo che ora vale milioni di euro, ha domandato: “Come mai spendiamo 34 euro al giorno per ospitare un migrante se con sei dollari al dì potremmo renderlo felice e sazio a casa sua?”.
Già, come mai? E perchè non li aiutiamo a casa loro?

LE VERE RAGIONI DELL’EMIGRAZIONE AFRICANA: IL FURTO DELLA TERRA

Casa loro? Andiamoci piano con le parole. Perchè la loro casa è in vendita e sta divenendo la nostra. Per dire: il Madagascar ha ceduto alla Corea del Sud la metà dei suoi terreni coltivabili, circa un milione e trecentomila ettari. La Cina ha preso in leasing tre milioni di ettari dall’Ucraina: gli serve il suo grano. In Tanzania acquistati da un emiro 400mila ettari per diritti esclusivi di caccia. L’emiro li ha fatti recintare e poi ha spedito i militari per impedire che le tribù Masai sconfinassero in cerca di pascoli per i loro animali. La loro vita.
E gli etiopi che arrivano a Lampedusa, quelli che Salvini considera disgraziati di serie B, non accreditabili come rifugiati, giungono dalla bassa valle dell’Omo, l’area oggetto di un piano di sfruttamento intensivo da parte di capitali stranieri che ha determinato l’evacuazione di circa duecentomila indigeni. E tra i capitali stranieri molta moneta, circa duecento milioni di euro, è di Roma. Il governo autoritario etiope, che rastrella e deporta, è l’interlocutore privilegiato della nostra diplomazia che sostiene e finanzia piani pluriennali di sviluppo. 
Anche qui la domanda: sviluppo per chi?
L’Italia intera conta 31 milioni di ettari. La Banca mondiale ha stimato, ma il dato è fermo al 2009, che nel mondo sono stati acquistati o affittati per un periodo che va dai venti ai 99 anni 46 milioni di ettari, due terzi dei quali nell’Africa subsahariana. In Africa i titoli di proprietà non esistono (la percentuale degli atti certi rogitati varia dal 2 al 10 per cento). Si vende a corpo e si vende con tutto dentro. Vende anche chi non è proprietario. Meglio: vende il governo a nome di tutti. Case, villaggi, pascoli, acqua se c’è. Il costo? Dai due ai dieci dollari ad ettaro, quanto due chili d’uva e uno di melanzane al mercato del Trionfale a Roma. Sono state esaminate 464 acquisizioni, ma sono state ritenute certe le estensioni dei terreni solo in 203 casi. Chi acquista è il “grabbatore”, chi vende è il “grabbato”. La definizione deriva dal fenomeno, che negli ultimi vent’anni ha assunto proporzioni note e purtroppo gigantesche e negli ultimi cinque una progressione pari al mille per cento secondo Oxfam, il network internazionale indipendente che combatte la povertà e l’ingiustizia. Il fenomeno si chiama land grabbing e significa appunto accaparramento della terra.
I Paesi ricchi chiedono cibo e biocombustibili ai paesi poveri. In cambio di una mancia comprano ogni cosa. Montagne e colline, pianure, laghi e città. Sono circa cinquanta i Paesi venditori, una dozzina i Paesi compratori, un migliaio i capitali privati (fondi di investimento, di pensione, di rischio) che fanno affari. E’ più facile trasportare una tonnellata di cereali dal Sudan che le mille tonnellate d’acqua necessarie per coltivarle. E allora la domanda: aiutiamoli a casa loro? Siamo proprio sicuri che abbiano ancora una casa? Le cronache sono zeppe di indicazioni su cosa stia divenendo questo neocolonialismo che foraggia guerre e governi dittatoriali pur di sviluppare il suo business. In Uganda 22mila persone hanno dovuto lasciare le loro abitazioni per far posto alle attività di una società che commercia legname, l’inglese New Forest Company. Aveva comprato tutto: terreni e villaggi. I residenti sono divenuti ospiti ed è giunto l’avviso di sfratto… Dove non arriva il capitale pulito si presenta quello sporco. La cosiddetta agromafia. Sempre laggiù, nascosti dai nostri occhi e dai nostri cuori, si sversano i rifiuti tossici che l’Occidente non può smaltire. La puzza a chi puzza…
Chi ha fame vende. Anzi regala. L’Etiopia ha il 46 per cento della popolazione a rischio fame. E’ la prima a negoziare cessioni ai prezzi ridicoli che conosciamo. Seguono la Tanzania (il 44 per cento degli abitanti sono a rischio) e il Mali (il 30 per cento è in condizioni di “insicurezza alimentare”). Comprano i ricchi. Il Qatar, l’Arabia Saudita, la Cina, il Giappone, la Corea del Sud, anche l’India. E nelle transazioni, la piccola parte visibile e registrata della opaca frontiera coloniale, sono considerate terre inutilizzate quelle coltivate a pascolo.
Il presidente del Kenya, volendo un porto sul suo mare, ha ceduto al Qatar, che si è offerto di costruirglielo, 40mila ettari di terreno con tutto dentro. Nel pacco confezionato c’erano circa 150 pastori e pescatori. Che si arrangiassero pure!
L’Africa ha bisogno di acqua, di grano, di pascoli anzitutto. Noi paesi ricchi invece abbiamo bisogno di biocombustibile. Olio di palma, oppure jatropha, la pianta che – lavorata – permette di sfamare la sete dei grandi mezzi meccanici. E l’Africa è una riserva meravigliosa. In Africa parecchie società italiane si sono date da fare: il gruppo Tozzi possiede 50mila ettari, altrettanti la Nuova Iniziativa Industriale. 26mila ettari sono della Senathonol, una joint-venture italosenegalese controllata al 51 per cento da un gruppo italiano. Le rose sulle nostre tavole, e quelle che distribuiscono i migranti a mazzetti, vengono dall’Etiopia e si riversano nel mondo intero. Belle e profumate, rosse o bianche. Recise a braccia. Lavoratori diligenti, disponibili a infilarsi nelle serre anche con quaranta gradi. E pure fortunati perchè hanno un lavoro.
Il loro salario? Sessanta centesimi al giorno.

di Antonello Caporale


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lunedì 23 luglio 2018

Il Ministro Savona Indagato per Usura Bancaria

Ministro Paolo Savona Indagato per Usura Bancaria

Coinvolte altre 22 persone in una inchiesta a Campobasso relativa ai parchi eolici. Ci sono anche i banchieri Profumo e Gallia, tra gli altri. Il legale dal quale è partita la denuncia:
 "E' un atto dovuto sui vertici dell'istituto"

Indagato a Campobasso il ministro degli Affari Europei, Paolo Savona, nell'inchiesta del pm Rossana Venditti che coinvolge altre 22 persone per presunta usura bancaria. Savona all'epoca dei fatti contestati era al vertice di Unicredit, dove siedeva a seguito della fusione con Capitalia, in particolare alla presidenza della Banca di Roma.

Secondo quanto riporta l'Ansa citando fonti legali, a conferma dalle indiscrezioni rimbalzate a livello locale, il nome del ministro Savona risulta presente dell'atto della Procura della Repubblica di Campobasso relativo alla richiesta di proroga dei termini di durata delle indagini preliminari nell'inchiesta relativa ai parchi eolici di Molise, Puglia e Campania. L'iscrizione del ministro nel registro degli indagati, resa pubblica dalla richiesta di proroga delle indagini fatta dal magistrato, sarebbe "un atto dovuto". Alcune fonti vicine allo stesso ministro fanno presente che all'epoca dei fatti Savona non aveva per altro competenze sui tassi d'interesse, oggetto del contendere.

Nel faldone della Procura ci sono tutti i manager della Banca di Roma e del gruppo, dal 2005 fino al 2013. Oltre a Savona, si tratta di Alessandro Profumo, ora alla guida di Leonardo (ex Finmeccanica), Fabio Gallia, che è alla Cdp in attesa del suo sostituto, con altri noti banchieri italiani, dettaglia il Quotidiano del Molise sul suo portale. Tra gli altri nomi, si fanno quelli di Aristide Canosani (che era anche sindaco di Ravenna), Franco Bellei della CariModena, Alessandro Cataldo, Giovanni Chelo, Antonio Ciarallo, Giuseppe D'Onofrio, Cesare Farsetti, Paolo Fiorentino, Federico Ghizzoni, Luca Majocchi, Edoardo Massaglia, Roberto Nicastro, Dieter Rampl, Francesco Antonio Ricci, Rosario Spatafora, Nicolangelo Testa, Adolfo Toti, Giuseppe Vita.

Per ora - si dettaglia - c'è solo una richiesta di proroga indagini. Come persona offesa figura la società Engineering srl, presunta vittima di usura bancaria e facente capo ai fratelli Pietro ed Angelo Santoro, ex presidente dell'Acem Molise e vice presidente dell'Associazione nazionale imprese edili manifatturiere. La società con un fatturato milionario fino a qualche anno fa, con sede a Campobasso, nel passato ha realizzato diversi ed importanti parchi eolici in Molise, in Puglia e in Campania anche per conto della Erg della famiglia Garrone. Al 2017 risale la denuncia dell'avvocato Luigi Iosa dalla quale è scaturita l'inchiesta penale condotta dal pm Venditti. Il legale dettaglia oggi che "è un atto dovuto in quanto la Cassazione penale impone di indagare i vertici della banche per via del loro ruolo di controllo e garanzia".


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domenica 22 luglio 2018

Sergio Marchionne, 14 anni al timone di Fca

Sergio Marchionne 14 anni al timone di Fca


Sergio Marchionne
Dall’arrivo alla guida del gruppo a pochi giorni dalla morte di Umberto Agnelli,
 che l’aveva cooptato in consiglio di amministrazione, alla fusione con Chrysler.
 Dalla rottura con Confindustria alla quotazione della Ferrari. 

Il giorno più difficile di Fiat-Chrysler. Che in questi 14 anni, da quando Sergio Marchionne ne ha preso il timone, ha cambiato completamente pelle. L’era Marchionne — terminata oggi con i drammatici Cda, convocati d'urgenza a seguito dell'aggravarsi delle condizioni di salute del manager, che hanno consegnato le chiavi di Fca a Manley e quelle di Ferrari a Camilleri — coincide con una profonda ristrutturazione del gruppo. Venne indicato come Ceo dell’allora Fiat nel 2004, a pochi giorni dalla morte di Umberto Agnelli, il primo a credere in lui tanto da cooptarlo in Consiglio di amministrazione. Un Lingotto che era sull’orlo del fallimento con un debito convertendo, concesso dalle banche creditrici, che poi si rivelò decisivo. Un prestito che, senza un immediato cambio di rotta per un’azienda che perdeva più di due milioni di euro al giorno, avrebbe consegnato Fiat alle banche. Non accadde.

Ma prima di parlare della sua straordinaria storia conviene fare un passo indietro e raccontare gli inizi, che descrivono meglio l’uomo e quindi il personaggio. Marchionne nasce in provincia, a Chieti in Abruzzo nel 1952. Il padre, maresciallo dei Carabinieri, si era trasferito in Canada dopo la pensione per cominciare una nuova vita. La madre dalmata (Maria Zuccon). Prende tre lauree (Filosofia, Economia, Giurisprudenza) più un master in Business Administration. Diventa «dottore commercialista» dall’85 e procuratore legale e avvocato (nella regione dell’Ontario) dall’87. Descrisse così nel 2011 i suoi inizi, riportati da una brillante biografia del giornalista Giorgio Dell’Arti: «Quando ho iniziato l’università, in Canada, ho scelto filosofia. L’ho fatto semplicemente perché sentivo che, in quel momento, era una cosa importante per me. Poi ho continuato studiando tutt’altro e ho fatto prima il commercialista, poi l’avvocato. E ho seguito tante altre strade, passando per la finanza, prima di arrivare a occuparmi di imballaggi, poi di alluminio, di chimica, di biotecnologia, di servizi e oggi di automobili. Non so se la filosofia mi abbia reso un avvocato migliore o mi renda un amministratore delegato migliore. Ma mi ha aperto gli occhi, ha aperto la mia mente ad altro».

Nel 2002 passa alla guida della ginevrina Sgs, colosso dei sistemi di certificazione che vede fra gli azionisti di controllo la famiglia Agnelli ed è in Svizzera che Marchionne si costruisce una rete di relazioni che contano. Due anni dopo arriva la nomina a Ceo. Marchionne, in giacca e cravatta come non avvenne poi praticamente mai, si presenta alla stampa insieme al nuovo vertice del gruppo Fiat: il presidente Luca Cordero di Montezemolo e il vicepresidente John Elkann, all’epoca ventottenne. Le prime parole che pronunciò quel giorno furono queste: «Fiat ce la farà; il concetto di squadra è la base su cui creerò la nuova organizzazione; prometto che lavorerò duro, senza polemiche e interessi politici». Si mise a lavorare sodo sin da subito, anche nei week end in una Mirafiori spesso deserta. «Mi ricordo i primi 60 giorni dopo che ero arrivato qui, nel 2004: giravo tutti gli stabilimenti e poi, quando tornavo a Torino, il sabato e la domenica andavo a Mirafiori, senza nessuno, per vedere le docce, gli spogliatoi, la mensa, i cessi. Ho cambiato tutto: come faccio a chiedere un prodotto di qualità agli operai e farli vivere in uno stabilimento così degradato?», disse nel 2011 all’allora direttore di Repubblica Ezio Mauro.

È giudizio unanime dei critici che Marchionne ripartì da tre punti cardine: la rinuncia degli Agnelli all’esercizio della put option a General Motors che fece incassare al Lingotto 1,55 miliardi; il convertendo , appunto, siglato con i maggiori istituti di credito italiani; il controverso swap Ifil Exor che consentì alla dinastia torinese di mantenere il controllo della Fiat. Negli anni seguenti, complice l’ottimo andamento delle vendite sul mercato europeo e il boom delle immatricolazioni in Brasile (dove il Lingotto aveva una leadership sul mercato), la Fiat nella seconda parte del decennio 2000-2010 fece segnare una notevole ripresa in termini di redditività e di risultati di bilancio.

Grazie a questi dati arrivò la svolta epocale: l’acquisizione dell’americana Chrysler fallita nella crisi del 2008 in cui gli Stati Uniti (e il mondo intero) finirono per trovarsi sottosopra. Nel dicembre di quell’anno il manager dichiarò che il settore si stava sempre più consolidando e che per resistere alla competizione sarebbe stato necessario crescere di stazza. «Solo quei gruppi che riusciranno a fabbricare 6 milioni di automobili l’anno saranno in grado di resistere nel futuro», profetizzò. Era il segnale del colpo che il manager stava preparando: il 20 gennaio 2009 la Fiat annunciò un accordo con l’amministrazione Obama appena insediata, per entrare nel capitale di Chrysler. Inizialmente con il 20% delle quote dopo le resistenze dei sindacati Usa e una complicata trattativa con il governo. Nasce il sesto gruppo automobilistico del mondo.

Nel primo trimestre del 2011 Chrysler torna all’utile e a maggio 2011, a seguito del rifinanziamento del debito e del rimborso da parte di dei prestiti concessi dai governi americano e canadese, Fiat incrementa la propria partecipazione in Chrysler al 46%. A luglio 2011, con l’acquisto delle partecipazioni in Chrysler del Canada e del dipartimento del Tesoro statunitense, sale al 53,5%, al 58,5% nel 2012. Il 1° gennaio 2014 Fiat Group completa l’acquisizione di Chrysler acquisendo il rimanente 41,5% dal Fondo Veba (di proprietà del sindacato metalmeccanico Uaw) salendo al 100%, accordandosi per un esborso di 3,65 miliardi di dollari: 1,75 versati cash e i rimanenti in un maxi dividendo di cui Fiat girerà a Veba la quota relativa al proprio 58,5%.

L’altra partita estera fu l’acquisizione della Opel, azienda automobilistica tedesca del gruppo General Motors. Dopo lunghe e difficili trattative sembrava che la “partita Opel” fosse stata vinta dal colosso Magna International. Ma neppure Magna riuscirà nell’intento di acquisire Opel in quanto a sorpresa General Motors, con l’avallo della Cancelliera tedesca Angela Merkel, decide di mantenere al suo interno la Opel e di rilanciare il marchio e la produzione seppur sacrificando qualche stabilimento.

In Italia Marchionne cambia radicalmente le relazioni industriali.
  La vera rottura era avvenuta qualche anno prima nell’aprile del 2010, quando Fiat disdice il contratto nazionale, poi esce da Confindustria provocando un colpo durissimo all’associazione di viale dell’Astronomia, e chiede una serie di concessioni ai sindacati come condizione per investire a Pomigliano nella produzione della nuova Panda.
In cambio di promesse mai Mantenute.
La maggior parte delle sigle sindacali accetta l’accordo, mentre la Fiom è contraria e così resterà fino alla fine aprendo un contenzioso che ancora oggi si trascina nei tribunali. In due successivi referendum, prima a Pomigliano e poi a Mirafiori, 
gli operai dicono sì all’intesa a larga maggioranza.

Nel 2014 prende il timone anche della Ferrari guidata da oltre 20 anni da Montezemolo. Si tratta di una svolta inattesa, non senza un durissimo braccio di ferro tra i due che si conclude con l’estromissione del top manager che aveva rilanciato il marchio portando alla vittoria il Cavallino nel campionato di Formula Uno nel 2000. È il preludio alla quotazione della Ferrari negli Stati Uniti. Ma in Borsa ci va una quota minoritaria, il 10%, della Casa di Maranello, perché l’80% resta ai soci Exor, la holding degli Agnelli di cui è vicepresidente non esecutivo, e il restante 10% a Piero Ferrari, figlio di Enzo. Tra le sue frasi più celebri: «La leadership non è anarchia. In una grande azienda chi comanda è solo. La collective guilt, la responsabilità condivisa, non esiste. Io mi sento molte volte solo». Oppure: «La lingua italiana è troppo complessa e lenta: per un concetto che in inglese si spiega in due parole, in italiano ne occorrono almeno sei». 


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FIRMA per Eliminare l'Aspettativa di Vita

FIRMA per  Eliminare l'adeguamento all'aspettativa di vita


FIRMA per Eliminare l'adeguamento all'aspettativa di vita

ABOLIAMO ASPETTATIVA DI VITA PER DIRITTO ALLA PENSIONE
Il meccanismo di ADEGUAMENTO DELLA SPERANZA DI VITA è stato introdotto con il pretesto di mettere a punto delle misure stabili di contenimento della spesa previdenziale.
E' un meccanismo permanente di adeguamento dei requisiti pensionistici che determina  
UN AUMENTO INFINITO DELL'ETA' UTILE PER ACCEDERE ALLA PENSIONE.
La conseguenza è che si sa con certezza quando si incomincia a lavorare ma non si può determinare oggi a che età si andrà in pensione.
L’età anagrafica che ci vorrà, sarà legata alla speranza di vita, che è stata aggiornata nel 2013 (di 3 mesi), nel 2016 (di ulteriori 4 mesi per un totale di 7 mesi), e sarà aggiornata, a meno che non si fermi l’aumento dell’aspettativa di vita, nel 2019 e poi da allora in poi ogni due anni 
(e non più ogni tre anni).
PER LA PRIMA VOLTA DALLA FINE DELLA GUERRA QUESTA E' DIMINUITA CON UN AUMENTO DRAMMATICO DELLA MORTALITA'!
FIRMA LA PETIZIONE PERCHE':
LE PERSONE DEVONO SAPERE CON CERTEZZA QUANDO INIZIANO A LAVORARE QUALE SARA' L'ETA' DELLA PENSIONE
I CONTRIBUTI VERSATI NELLE CASSE PREVIDENZIALI NON DEVONO PIU' ESSERE USATI COME BANCOMAT DAL GOVERNO.

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Disoccupati in Facebook

 ISCRIVETEVI AL GRUPPO 
Disoccupati che si prefigge di portare avanti le istanze dei senza Lavoro IN RETE.
Sarebbe importante Costituire Finalmente un MOVIMENTO NAZIONALE
per Richiedere il Reddito di Esistenza a favore di tutti i Cittadini Italiani. 





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domenica 8 luglio 2018

Il Fondatore di Forza Italia lascia il Carcere di Rebibbia

Marcello dell’Utri ex senatore e Fondatore di Forza Italia, detenuto per una condanna definitiva a 7 anni per concorso in associazione mafiosa, potrà lasciare il carcere di Rebibbia.


Marcello dell’Utri ex senatore e Fondatore di Forza Italia, 
detenuto per una condanna definitiva 
a 7 anni per concorso in associazione mafiosa, potrà lasciare il carcere di Rebibbia.

Dell’Utri fuori dal carcere Condizioni peggiorate può morire all’improvviso

Le condizioni di salute di Marcello dell’Utri non sono compatibili col carcere. Rischia la morte improvvisa per il peggioramento delle patologie di cui soffre. Dopo anni di tentativi, l’ex senatore di Forza Italia, detenuto per una condanna definitiva a 7 anni per concorso in associazione mafiosa, potrà lasciare il carcere romano di Rebibbia. I magistrati del tribunale di sorveglianza che fino a qualche mese fa avevano respinto le istanze, hanno disposto il differimento della condanna e concesso a Dell’Utri gli arresti domiciliari, imponendogli una serie di restrizioni, ad esempio, nelle comunicazioni con l’esterno. Il provvedimento apre le porte del carcere all’ex senatore condannato collusioni mafiose e anche al processo per la trattativa Stato-mafia. «La patologia cardiaca di cui dell’Utri soffre ha subito un recente e significativa o aggravamento rispetto alle pregresse condizioni e non sono secondarie le negative ricadute di altri fattori complicanti quali l’età, 77 anni, il trattamento radioterapico, la malattia oncologica e le condizioni psichiche. I medici hanno segnalato il rischio di morte improvvisa per eventi cardiologici acuti e hanno concluso per la non compatibilità col carcere», scrivono i giudici. La valutazione segue accertamenti cui è stato sottoposto e va in controtendenza con i verdetti precedenti - l’ultimo a dicembre - secondo i quali le condizioni di Dell’Utri erano compatibili con il carcere.


 Dello stesso avviso in aprile la Corte duropea del diritti dell’uomo che, chiamata a valutare la legittimità del processo a Dell’Utri, dopo la vicenda Contrada, aveva deciso di non chiedere al governo italiano la sospensione della pena. «L’attuale stato di salute», affermano i giudici, « non appare compatibile con la carcerazione per la ricorrenza di gravi ed improvvisi rischi per la vita e la salute, non fronteggiabili con gli strumenti sanitari del circuito penitenziario in considerazione delle preoccupanti condizioni cardiache, del complesso quadro multipalogico, delle precedenti e debilitanti cure radioterapeutiche, dell’età, dello stato ansioso e della necessità di un intervento cardiologico delicato». «È anche consequenziale alle attuali, compromesse, condizioni cliniche ed alle prevalenti preoccupazioni per l’evoluzione delle patologie, che l’attenzione del soggetto verso il trattamento penitenziario sia fortemente scemata, 
sicché il protrarsi dell’esecuzione della pena in regime di detenzione ordinaria non è più rispondente alla finalità rieducativa ed al senso di umanità», concludono.




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sabato 7 luglio 2018

Matteo Salvini: ecco i documenti che lo incastrano

Soldi Truffati dalla Lega: ecco i documenti che incastrano Matteo Salvini

Soldi Truffati dalla Lega
Una lettera di diffida. Un file del Senato. 
E i rendiconti interni al partito. Pubblichiamo le carte che smentiscono 
la versione del ministro sullo scandalo che fa tremare il Partito

DI GIOVANNI TIZIAN E STEFANO VERGINE

Soldi della Lega, ecco i documenti che incastrano Matteo Salvini
«È un processo politico, che riguarda fatti di 10 anni fa su soldi che io non ho mai visto». Matteo Salvini si è difeso così dall'accusa di aver beneficiato dei quasi 50 milioni di euro frutto della truffa firmata Bossi e Belsito. La tesi del ministro è quindi semplice: tutta colpa del vecchio leader, io non c'entro niente. I documenti ottenuti da L’Espresso dimostrano invece che esiste un filo diretto tra la truffa firmata dal fondatore e i suoi successori.
Soldi Truffati dalla Lega: ecco i documenti che incastrano Matteo Salvini

Tra la fine del 2011 e il 2014, infatti, prima Maroni e poi Salvini hanno incassato e usato i rimborsi elettorali frutto del reato commesso dal loro predecessore. E lo hanno fatto quando ormai era chiaro a tutti che quei denari rischiavano di essere sequestrati. Il nostro giornale lo aveva già scritto in una lunga inchiesta nell'ottobre 2017. Qui sotto riprendiamo alcuni stralci di quell'articolo e pubblichiamo i documenti che dimostrano quanto da noi ricostruito già dieci mesi fa.

Soldi Truffati dalla Lega: ecco i documenti che incastrano Matteo Salvini

Per scoprire i retroscena di questo intrigo padano bisogna tornare al 5 aprile del 2012. E tenere a mente le date. Quel giorno, a poche ore dalla perquisizione della Guardia di Finanza nella sede di via Bellerio, a Milano, Bossi si dimette da segretario del partito. È la prima scossa del terremoto che sconvolgerà gli equilibri interni alla Lega.

Soldi Truffati dalla Lega: ecco i documenti che incastrano Matteo Salvini

A metà maggio diversi giornali scrivono che a essere indagato non è solo il tesoriere Francesco Belsito, ma anche il Senatùr. Il reato ipotizzato è quello di truffa ai danni dello Stato in relazione ai rimborsi elettorali. Il primo di luglio Maroni viene eletto nuovo segretario del partito. E quattro mesi dopo, il 31 ottobre, passa per la prima volta alla cassa. Come certifica un documento inviato dalla ragioneria del Senato alla Procura di Genova, quel giorno l’ex governatore della Lombardia riceve 1,8 milioni di euro. È il rimborso che spetta alla Lega per le elezioni politiche del 2008, quelle vinte da Berlusconi contro Veltroni. Il primo di una lunga serie.

Soldi Truffati dalla Lega: ecco i documenti che incastrano Matteo Salvini


Da questo momento in poi a Maroni verranno intestati parecchi bonifici provenienti dal Parlamento. A fine 2013, cioè al termine del mandato di segretario, Bobo avrà così ricevuto 12,9 milioni di euro in nome della Lega. Tutti rimborsi relativi a elezioni comprese tra il 2008 e il 2010, quando a capo del partito c’era Bossi e a gestire la cassa era Belsito. 
Insomma, proprio i denari frutto della truffa ai danni dello Stato.

Che cosa cambia quando Salvini subentra a Maroni? Niente, se non le cifre. A metà dicembre del 2013 Matteo viene eletto segretario del partito. L’inchiesta sui rimborsi elettorali intanto va avanti, e a giugno del 2014 arrivano le richieste di rinvio a giudizio: i magistrati chiedono il processo per Bossi. Un mese e mezzo dopo, il 31 luglio, Salvini incassa 820mila euro di rimborsi per le elezioni regionali del 2010. Lo dimostrano i mastrini, i registri contabili del partito che L'Espresso è riuscito a ottenere. Perché allora il segretario della Lega continua a sostenere che lui quei soldi non li ha mai visti? 
E come poteva non sapere che erano frutto di truffa?



Due mesi dopo aver incassato gli oltre 800 mila euro, Salvini e la Lega si costituiscono infatti parte civile contro i compagni di partito. Si sentono vittime di un imbroglio, di una truffa che ha sfregiato il vessillo padano. E vogliono essere risarciti. La nuova dirigenza è dunque consapevole della provenienza illecita del denaro accumulato sotto la gestione di Bossi. Ma il 27 ottobre, solo venti giorni dopo l’annuncio di costituirsi parte civile, Salvini fa qualcosa che appare in netta contraddizione con quella scelta: ritira altri soldi. Questa volta la somma è piccola, poco meno di 500 euro: l’ultima tranche di rimborso per le elezioni regionali del 2010. 



Due giorni dopo l’ultimo prelievo, Salvini riceve persino una lettera (inviata anche al tesoriere Giulio Centemero) dall'allora avvocato di Bossi, Matteo Brigandì. «Ti diffido dallo spendere quanto da te dichiarato corpo del reato», si legge nella missiva con la quale la vecchia guardia lancia un messaggio chiaro al nuovo gruppo dirigente: voi ci accusate di aver rubato quattrini, allora sappiate che i soldi che avete in cassa sono il profitto della truffa, e usarli vuol dire diventare complici del reato.



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PENSIONI MILITARI, ECCO COSA CAMBIA DAL 2019

PENSIONI MILITARI, ECCO COSA CAMBIA DAL 2019

Anche il comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico dovrà dal prossimo anno lavorare 5 mesi in più. Le indicazioni fornite ieri dall’Inps confermano l’adeguamento dei requisiti di pensionamento del personale appartenente ad Esercito, Marina, Aeronautica, Carabinieri, Polizia di Stato, Polizia penitenziaria, Guardia di Finanza e Vigili del Fuoco nella misura stabilita dal decreto del Ministero del Lavoro e delle’Economia dello scorso 5 Dicembre 2017. 

Com’è noto i lavoratori nelle forze armate e delle forze di polizia ad ordinamento militare e civile mantengono requisiti previdenziali diversi da quelle generali vigenti nell’AGO e nelle gestioni sostitutive ed esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria in virtu’ delle specificità del settore riconosciute ai sensi del Dlgs 165/1997 che non sono state interessate dal regolamento di armonizzazione adottato nel 2013 (Dpr 157/2013). Ma anche questi valori devono essere comunque adeguati, in sintonia con quanto accade nei confronti degli altri lavoratori iscritti alla previdenza pubblica obbligatoria, alla speranza di vita.

Pertanto nel prossimo biennio 2019-2020 slitterà in avanti l’età anagrafica richiesta per la pensione di vecchiaia sia quella anagrafica e/o contributiva prevista per l’accesso alla pensione di anzianita’.

In particolare il trattamento di vecchiaia dal 1° gennaio 2019 può essere conseguito al raggiungimento dell’età anagrafica massima per la permanenza in servizio prescritta dai singoli ordinamenti variabile in funzione della qualifica e del grado (oscilla tra i 60 e i 65 anni) aumentata di un anno congiuntamente al requisito contributivo previsto per la generalità dei lavoratori, 20 anni di contributi. Il requisito anagrafico non viene adeguato agli incrementi della speranza di vita però nell’ipotesi in cui al compimento di detto limite di età risultino già soddisfatti i requisiti prescritti per il diritto a pensione (di anzianità), in sostanza i 35 anni di contributi. 
Circostanza abbastanza frequente.

Anche i requisiti per la pensione di anzianita’ subiranno lo slittamento. Dal 2019 si potrà accedere al trattamento anticipato al perfezionamento o di una anzianità contributiva di 41 anni di contributi indipendentemente dall’età anagrafica; oppure al raggiungimento di una anzianità contributiva non inferiore a 35 anni e con un’età di almeno 58 anni; oppure al raggiungimento della massima anzianità contributiva corrispondente all’aliquota dell’80%, a condizione essa sia stata raggiunta entro il 31 dicembre 2011 (attesa l’introduzione del contributivo pro-rata dal 1° gennaio 2012), ed in presenza di un‘età anagrafica di almeno 54 anni. Quest’ultima casistica è in realtà ormai inverosimile attesa la naturale fuoriuscita dal servizio del personale di elevata anzianità, di servizio ed anagrafica.

Nei confronti del personale in parola, inoltre, continuerà a trovare applicazione il differimento di 12 mesi tra perfezionamento dei requisiti anagrafici e/o contributivi e riscossione del primo assegno pensionistico a causa della finestra mobile. Si ricorda però che per coloro che accedono alla pensione di anzianita’ indipendentemente dall’età anagrafica il differimento sarà di 15 mesi. 

Il personale che, invece, ha raggiunto i requisiti per il diritto a pensione entro il 2018 ancorchè la decorrenza si collochi successivamente al 31 dicembre 2018 non sarà coinvolto nell’adeguamento alla speranza di vita. Ai fini del raggiungimento degli anni contributivi si rammenta che il personale può godere di specifiche supervalutazioni dei servizi prestati entro il limite massimo di cinque anni.



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venerdì 6 luglio 2018

F35 e aumento delle spese militari, il M5S si allinea alla destra

Stando alle stime ufficiali della Difesa si tratterebbe di ulteriori 16 miliardi annui,   che sommati ai reali 23 attuali farebbero oltre 39 miliardi all’anno.   I dati si tradurebbero a più di 100 milioni al giorno.  Ma non siamo mica in Guerra, e se invece Destinassimo,   la metà ai Disoccupati ed al Mondo del Lavoro ?


Passati dai banchi dell’opposizione a quelli di governo
 i movimentisti dei 5 stelle sembrano aver cambiato idea
 su molte questioni in tema di Difesa. 
Con buona pace delle promesse da campagna elettorale.

Con il M5S si rischia di essere un po’ confusi. Giravolte, cambi d’idee e ripensamenti. Da quando sono andati al governo poi, la ‘schizofrenia’ sembra essere peggiorata. Prendiamo il caso degli F-35 gli aerei militari che il Movimento 5 Stelle ha da sempre osteggiato.

“Il programma F35 (i cacciabombardieri) è un programma fallimentare. Chi ci ha fatto entrare in questo programma dovrebbe essere preso a calci in culo”, diceva Alessandro Di Battista. Ma anche Manlio Di Stefano auspicava di chiudere “subito i contratti per gli F-35 ”; così come Tatiana Basilio che tuonava: “Riteniamo il programma degli F35 inutile e costoso”. Per non parlare del voto sulla piattaforma Rousseau che aveva promosso un piano per la riduzione delle spese militari, di riduzione delle missioni e per lo stop immeditao all’acquisto degli F35.

Passati dai banchi dell’opposizione a quelli di governo i movimentisti dei 5 stelle sembrano aver cambiato idea. A confermarlo le parole della ministra della Difesa Elisabetta Trenta che ha assicurato che non taglierà gli ordini degli F35, al massimo potrebbe allungare il piano d’acquisto. “È un programma che abbiamo ereditato e lo valuteremo», ha speigato Trenta, “considerando i vantaggi industriali e tecnologici per l’interesse nazionale”.

Ma non erano il male assoluto? O anche stavolta la differenza tra propaganda e realtà ha riportato tutti con i piedi per terra con buona pace degli elettori? A chiederselo anche il dem Francesco Russo: “Per 4 anni il M5S ci ha letteralmente insultato sul programma relativo agli F-35: “Corrotti, venduti alle lobby delle armi” tanto per citare, a memoria, due degli epiteti più ricorrenti. L’altro ieri il Ministro della Difesa Trenta (scelto dal M5S) ha confermato, in un’intervista l’acquisto degli F-35. Quindi delle due l’una: o i grillini sono corrotti e venduti alla lobby delle armi oppure per quattro anni hanno raccontato un sacco di bugie ai cittadini. A voi la scelta”.

Anche sulle spese militari il ‘cambiamento’ annunciato non c’è.
Anzi le spese militari, secondo il piano di Trenta dovrebbero aumentare. Lo ha detto lei stessa confermando che l’obiettivo è quello previsto dalla Nato di arrivare al 2% del prodotto interno lordo entro il 2024. Stando alle stime ufficiali della Difesa si tratterebbe di ulteriori 16 miliardi annui, che sommati ai reali 23 attuali farebbero oltre 39 miliardi all’anno. I dati, citati dagli studi del Sipri e dell’Osservatorio Millex, si tradurebbero a più di 100 milioni al giorno da spendere per la Difesa: dove troverà la Ministra le coperture?

Ma non siamo mica in Guerra, 
e se invece Destinassimo, 
la metà ai Disoccupati ed al Mondo del Lavoro ?


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