Le Carte Parlanti

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Mundimago

giovedì 26 dicembre 2019

Camerati Abusivi di CasaPound

Camerati Abusivi di CasaPound


Parenti e Amici vivono Gratis nel centro di Roma
Il Grand Hotel dei Neofascisti: Iannone ha messo lì la moglie. 
Di Stefano il fratello. Emergenza abitativa risolta. Sì, ma per i propri cari.

DI ANDREA PALLADINO E ANDREA TORNAGO 

Grand Hotel CasaPound. Nel cuore della capitale, con vista sulle cupole della basilica di Santa Maria Maggiore, la stazione Termini dietro l’angolo. Loro, i fascisti del terzo millennio che puntano a portare “guerrieri” in Parlamento, la chiamano «ambasciata d’Italia nel quartiere multietnico della capitale». Ma il palazzo sede ufficiale di CasaPound è un edificio pubblico occupato senza titolo dal 27 dicembre 2003. In più di quattordici anni neanche un tentativo di sgombero. E non si tratta di un appartamentino popolare in uno dei quartieri periferici, là dove il partito di Simone Di Stefano punta a raccogliere consensi alle prossime elezioni. Si tratta invece di sessanta vani, almeno una ventina di appartamenti in una zona dove i prezzi di mercato sono tra i più alti di Roma. Sei piani, una quarantina di finestre con affaccio sulla centralissima via Napoleone III, una terrazza con vista mozzafiato. Una sala per gli incontri politici all’ultimo piano dove ospitare presentazione di libri, conferenze stampa e confronti in diretta streaming con le star del giornalismo.

Il Grand Hotel dei neofascisti non ha prezzi popolari. «Un appartamento normale per una famiglia con due camere da letto in via Napoleone III? Non meno di 1.100 euro al mese», spiega all’Espresso una agenzia immobiliare di piazza Vittorio. Un valore sul mercato degli affitti di circa 25 mila euro al mese - includendo anche gli spazi per le iniziative politiche - 300 mila all’anno, più di quattro milioni nei 14 anni di occupazione abusiva. Soldi che ha perso il Demanio, 
ovvero lo Stato, proprietario dell’immobile.

Il Comune di Roma nel 2007 aveva inserito il palazzo in una lista di occupazioni da parte di famiglie in emergenza abitativa. Nell’aprile del 2016 il commissario straordinario Francesco Tronca aveva compilato una shortlist di 16 immobili da sgomberare, rispetto ai quasi cento edifici occupati abusivamente nella capitale. La sede di CasaPound, però, era inclusa in una più ampia lista, non interessata in quel momento da operazioni di sgombero. La decisione su questi altri immobili era rinviata a «successivi provvedimenti». Da allora nulla è accaduto, qui.


Invece gli etiopi e gli eritrei che occupavano via Curtatone - poco distante - sono stati cacciati via manu militari la scorsa estate, lasciando in strada famiglie con bambini e anziani. Per la felicità di Simone Di Stefano, che lo scorso agosto dichiarò: «Giusto sgomberarli». Per gli abusivi di CasaPound i parametri però sono altri. Il Comune di Roma non ha fatto nulla: «Non è mai stato realizzato un censimento delle famiglie che abitano in via Napoleone III», spiegano gli uffici capitolini, che aggiungono: «Nessuno ce lo ha richiesto». Censire le famiglie, individuando le fragilità sociali, è l’atto che normalmente la Prefettura chiede prima di liberare un edificio occupato. Passaggio necessario, soprattutto dopo l’ultima circolare del Ministero dell’Interno che impone ai Comuni di trovare soluzioni abitative per le famiglie obbligate a lasciare uno stabile occupato. Ma nel caso di CasaPound nessuno sa chi vive nell’edificio nel quartiere dell’Esquilino. E nessuno sa se qui abbiano preso casa famiglie veramente in stato di bisogno. Quell’edificio è un’isola abusiva di fatto sconosciuta, mai censita. Invisibile, tanto da essere stata curiosamente esclusa, nel 2010, dalla mappatura degli edifici occupati abusivamente compilata dalla Commissione sicurezza di Roma Capitale, all’epoca della giunta guidata da Gianni Alemanno.

Abusivi, ma “per necessità”, sostengono da sempre i militanti della tartaruga frecciata. È così? All’Espresso risultano residenti nel palazzo occupato i vertici nazionali dell’organizzazione di estrema destra. A partire dal candidato premier Simone Di Stefano, che al momento della presentazione delle liste per le politiche del 2013 ha dichiarato come residenza anagrafica proprio via Napoleone III, civico 8. C’è poi la moglie del presidente Gianluca Iannone, Maria Bambina Crognale, che alla Camera di Commercio nel 2014 aveva dichiarato quello stesso domicilio nelle schede delle società dove ancora oggi ha ruolo di rilievo. È una delle socie della catena di ristoranti “Angelino dal 1899”, con locali nella capitale, a pochi passi dal Colosseo, vicino alla stazione centrale di Milano, a Malaga e a Lima, in Perù. Un piccolo impero della ristorazione. E, ancora, tanti altri volti noti dell’estremismo di destra romano, infilati nelle liste elettorali durante le ultime elezioni comunali del 2016. Tutti in “emergenza abitativa”?

Il Grand Hotel CasaPound è poi la sede amministrativa di cooperative e associazioni, parte integrante di quel network creato dal movimento politico nel corso degli anni. CasaPound è probabilmente la lista elettorale con più metri quadrati a disposizione nella capitale per l’attività politica.

«CasaPound? È un’isola, non interagiscono con il quartiere», spiega un commerciante, che lavora all’Esquilino dal 1988. «Escono solo quando serve politicamente», aggiunge. Come a metà febbraio, quando in una trentina hanno organizzato una delle tante “passeggiate per la sicurezza”: una sfilata a uso e consumo di fotografi e operatori, con spintoni e insulti verso una ragazza che aveva provato a contestare il taglio xenofobo del sit-in. Una trentina di militanti, foto di rito nel centro dei giardinetti, un giro di piazza Vittorio e poi di nuovo chiusi nell’edificio di via Napoleone III. Poco prima, accanto ai rituali slogan anti migrazione, Davide Di Stefano - fratello del candidato premier che nel 2011 rivendicava con orgoglio: «Io abito qui». Gratis, in un edificio pubblico.
Il palazzo di via Napoleone III non è solo un ottimo alloggio a costo zero per militanti e vertici del movimento. È diventato il vero simbolo di CasaPound, un avamposto nel cuore della capitale. Quando, a fine gennaio, girò la voce di un possibile sgombero, Gianluca Iannone spiegò senza mezzi termini: «Sarebbe un atto di guerra. Ma se non altro vorrà dire che, in un’epoca ignobile come questa, anche noi avremo la possibilità di morire per un’idea».

La scelta di mettere l’avamposto nazionale nel cuore del quartiere più multietnico di Roma ha sempre avuto un significato altamente politico per il movimento ultradestra. Il problema però è un altro: in questi quattordici anni nessuno ha affrontato seriamente la questione. Gli abusivi di CasaPound hanno potuto vivere e agire politicamente nel cuore della capitale senza mai pagare neanche un euro per gli spazi e senza che nessuno bussasse alla loro porta per chiedere il conto. Dopo l’occupazione del 27 dicembre 2003 il Miur - il dicastero che ha in carico l’edificio - ha presentato una denuncia informando il Prefetto e l’avvocatura dello Stato, chiedendo lo sgombero. Pochi mesi dopo, però, nel maggio del 2004, viale Trastevere ha comunicato all’Agenzia del Demanio di voler riconsegnare il palazzo “per cessate esigenze istituzionali”: richiesta respinta proprio per via dell’occupazione abusiva di CasaPound. Da allora, spiegano all’Espresso gli uffici del Miur, «il ministero non ha intrapreso azioni per rientrare in possesso dell’immobile», salvo sollecitare nel 2008 «le autorità competenti in merito alla denuncia, richiedendo ancora una volta lo sgombero». Atti che - a quanto sembra - non hanno avuto conseguenze, tanto che oggi la Prefettura di Roma segnala che «non ci sono provvedimenti dell’autorità giudiziaria» sull’immobile.

Nel frattempo i militanti di destra sono diventati padroni incontrastati dello stabile. Gli ex uffici si sono trasformati in appartamenti, con l’installazione di telecamere di videosorveglianza all’ingresso. Sulla facciata del palazzo è comparsa l’enorme scritta in pietra - abusiva anche quella - in stile ventennio: “CasaPound”. Demanio e Ministero dell’Istruzione oggi si rimpallano le responsabilità: l’agenzia che gestisce gli immobili dello Stato sottolinea di aver chiesto al Miur di adoperarsi contro l’occupazione abusiva. Il Miur, dal canto suo, sostiene di non avere più in carico il bene e che il palazzo è «rientrato nella sfera di competenza dell’Agenzia del Demanio».

La situazione sembrava potersi sbloccare nel 2009, ma non nella direzione sperata. Un anno dopo l’elezione a sindaco di Gianni Alemanno, il Demanio accetta di inserire il bene in un protocollo d’intesa col Comune di Roma, con l’intenzione di cederlo al Campidoglio per 11 milioni e 800 mila euro. L’operazione viene inserita con discrezione in un pacchetto di permute di immobili, ex caserme e terreni demaniali. Ma non passa inosservata.

L’opposizione di sinistra già vede il palazzo, una volta acquistato da Alemanno, concesso in comodato d’uso ai neofascisti. Così l’accordo salta tra le polemiche e tutto resta come prima. Intanto i solleciti inviati dal ministero in Prefettura e ai carabinieri sono sempre rimasti lettera morta. Ma l’aura di intoccabilità della sede di CasaPound non finisce qui. Le utenze di acqua e luce, ad esempio, sono attive nonostante il decreto Lupi del 2014 richieda l’esistenza
 di un titolo abitativo valido per l’allaccio delle utenze.

Nel 2004 vi fu un primo distacco, per disattivare le vecchie utenze Acea e Telecom intestate al ministero. Il 10 febbraio del 2016 la Polizia di Stato ha fornito il supporto per il taglio delle forniture, poi però misteriosamente riallacciate. Acea - società partecipata al 51 per cento dal Comune di Roma - non vuole commentare la questione trincerandosi dietro alla privacy: «Alla luce dei vincoli di riservatezza gravanti sull’Azienda non è consentito fornire informazioni circa la titolarità e lo stato di specifiche posizioni», è la burocratica risposta. Impossibile, dunque, sapere a chi siano intestate oggi le utenze. E chi le paga, se qualcuno le paga.

Nessun soggetto istituzionale ha mai predisposto una stima del danno erariale causato dall’occupazione del palazzo di via Napoleone III. E tra gli sgomberi che le autorità hanno in programma nella capitale, su quello di CasaPound resta sempre il timbro “non prioritario”. 






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domenica 22 dicembre 2019

Quindi Sparisce la Lega Nord e con essa il soggetto politico che avrebbe dovuto restituire i 49 milioni in 79 anni

Quindi sparisce la #LegaNord e con essa il soggetto politico   che avrebbe dovuto restituire i 49 milioni in 79 anni


Un Congresso fantasma per celebrare il funerale del Carroccio
La Lega non lo pubblicizza. All'ordine del giorno modifiche dello Statuto. Formula dietro cui si cela la fine di un’era e la creazione di una sorta di bad company cui sarà scaricato il famoso debito di 49 milioni. E nel 2020 si farà un altro, vero, Congresso

Un po’ congresso fantasma e un po’ congresso funerale. Alle ore 8 e 30 di sabato in un albergone della periferia di Milano, l’Hotel Da Vinci, si celebrerà il congresso federale straordinario della Lega Nord per l’indipendenza della Padania. Oltre 500 delegati. Con un ordine del giorno che recita così: modifiche dello statuto, comunicazioni del segretario federale. Nessuna pubblicità sull’evento del primo partito del Paese. Nessun annuncio su facebook o su twitter, come conviene alla tradizione del segretario più social della politica italiana. E basta dare un’occhiata al sito internet della Lega e accorgersi che del congresso non c’è traccia. Silenzio. I mugugni arrivano fino alla Capitale. Anche perché dietro quella parola “modifiche” si cela la fine di un’era, quella del Carroccio del senatùr Bossi. 

E allora non è un caso se solo qualche giorno fa al quotidiano La Repubblica Gianni Fava, che è stato l’ultimo ad aver sfidato in un congresso Matteo Salvini, si sia lasciato andare con queste parole: “Sarà un vero e proprio funerale anche se mascherato”. Insomma, a questo punto occorre capire cosa ci sia dietro queste modifiche statutarie. Le bocche a via Bellerio restano cucite. Colui che ha scritto l’adeguamento dello statuto, vale a dire il mago dei regolamenti Roberto Calderoli, la mette così: “Prima una cosa deve essere sottoposta a quelli che sono chiamati a votarla, poi si diffonderà alla stampa”. Intanto, oggi pomeriggio, l’Adnkronos ha diffuso alcune indiscrezioni relative alla bozza dello statuto che il congresso federale dovrà approvare sabato. Ecco, al netto delle precisazioni rassicuranti che continua a spargere lo stato maggiore leghista, il vecchio Carroccio si trasformerà in una sorta di bad company cui sarà scaricato il famoso debito di 49 milioni di euro rateizzato in 82 anni. 

Con una mossa Salvini asciuga la struttura e l’organigramma della Lega Nord, senza sostanziali cambiamenti politici. Ad esempio, sarà consentita la doppia iscrizione per cui chi è iscritto al vecchio partito potrà confluire anche nella Lega per Salvini premier, la nuova creatura del Capitano che non solo ha soppiantato il fu Carroccio ma ha nazionalizzato un partito che solo fino a qualche anno fa professava l’Indipendenza della Padania. Eppoi, altra novità, il segretario della Lega Nord potrà restare in carica non più solo tre anni, bensì cinque. Dettaglio di non poco conto, Umberto Bossi resterà “presidente a vita e garante dell’unità”, seppur con poteri limitati.

Sia come sia, il congresso fantasma, il congresso del funerale si ricorderà anche per l’articolo 10 del Regolamento. Testuale: “Le eventuali proposte emendative al testo approvato dal consiglio federale dovranno essere sottoscritte da non meno di 150 delegati, iscritti ad almeno 4 nazioni diverse, entro e non oltre le ore 13 di giovedì 19 dicembre”. Impresa praticamente impossibile. Cui si aggiunge un paradosso: “In caso di approvazione non si procederà al voto degli eventuali emendamenti al testo presentati”. Come dire, il testo è blindato e non sarà possibile apportare modifiche. Prendere o lasciare. Detto questo, Salvini non sarà più il segretario della Lega Nord. E al suo posto, infatti, sarà scelto un commissario di stretta osservanza. 

Ed è come se da sabato avesse inizio la “fase due” del Capitano leghista. Archiviata così la storia del Carroccio, l’ex ministro dell’Interno potrà concentrarsi sulla sua creatura. Per il 2020 la war room di Salvini prevede un altro congresso, questa volta vero, della “Lega per Salvini premier”, ovvero l’aggregatore nazionale sul quale punta tutte le fiches per scalare il Belpaese. Nella bad company invece resteranno i debiti e un pezzo di vecchia Lega che Salvini desidera pian piano far dimenticare.

By Giuseppe Alberto Falci

Quindi sparisce la #LegaNord e con essa il soggetto politico
 che avrebbe dovuto restituire i 49 milioni in 79 anni.

Resta la #Lega per Salvini premier, senza iscritti e senza patrimonio
 e soprattutto senza #debiti.

Bella Furbata
Altro che ordine e disciplina!



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venerdì 20 dicembre 2019

Salvini si Dissolverà nell'Aria come una Scorreggia Puzzolente

Salvini si Dissolverà nell'Aria come una Scorreggia Puzzolente


PARLARE DI SALVINI SUI SOCIAL 
non fa altro che portare ACQUA AL SUO MULINO...
 (così come faccette arrabbiate ai suoi post, critiche sprezzanti, e battute esilaranti....)

Nell'ultimo periodo i suoi post non raccoglievano più di 10.000 like e poche decine di commenti. Il selfie citato ( la ragazza sull'aereo che gli fa il gesto del Dito ) gli ha permesso di rigirare un argomento che ha creato clamore (quindi condivisioni, like, commenti...) a suo favore: questo post ha moltiplicato (solo nel brevissimo periodo) 7 volte il suo traffico abituale.

ERGO: sbeffeggiare le sue stramberie non fa altro che donargli più visibilità, è per questo che si gioca quotidianamente la sua scarsa dignità sui social.

NON BISOGNA CRITICARE SALVINI?
Certo che bisogna farlo ma nel merito di argomenti importanti e su contenuti rilevanti.

CERCANDO DI:
- NON condividere i suoi post
- NON usare i suoi ashtag (evitare le sue parole-chiave)
- NON condividere polemiche su temi irrilevanti che distolgono l'attenzione da cose più importanti
- NON condividere le sue immagini
- NON condividere il suo odioso faccione

Così "LA BESTIA" MORIRÀ dove è nato, SUI SOCIAL 

Salvini si Dissolverà nell'Aria come una Scorreggia Puzzolente
PERCHE' NON HA CONTENUTI VALIDI
NON STUDIA I PROBLEMI
E PARLA A VANVERA DI
TUTTO CIO' CHE NON CONOSCE

LEGGI ANCHE
COME FUNZIONA IL SOFTWER CHE LAVORA 
PER SALVINI SOPRANNOMINATO LA BESTIA

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martedì 17 dicembre 2019

Raffaele Fitto Condannato a 4 anni di Carcere

Raffaele Fitto Condannato a 4 anni di Carcere

3 Anni Condonati

Il capolista dei berlusconiani alla Camera in Puglia è stato riconosciuto colpevole in primo grado di corruzione, illecito finanziamento ai partiti e abuso d’ufficio. Assolto da peculato e da un altro abuso d’ufficio. A incastrare il parlamentare la presunta tangente da 500mila euro che il politico del Pdl avrebbe ricevuto dall’editore e imprenditore romano Giampaolo Angelucci

Quattro anni di reclusione ridotti a uno per effetto dell’indulto. E’ questa la condanna inflitta nei confronti dell’ex ministro Raffaele Fitto, parlamentare del Pdl e capolista dei berlusconiani alla Camera in Puglia, dal tribunale di Bari al termine del processo su presunti illeciti in appalti. Fitto è stato riconosciuto colpevole di corruzione, illecito finanziamento ai partiti e abuso d’ufficio. Assolto da peculato e da un altro abuso d’ufficio. Il tribunale ha condannato Fitto, all’epoca dei fatti presidente della Regione Puglia, per la presunta tangente da 500mila euro che il politico del Pdl avrebbe ricevuto dal re delle cliniche ed editore di Libero, Giampaolo Angelucci per il tramite di una lista elettorale collegata a Fitto “La Puglia prima di tutto”. Quest’ultimo è stato a sua volta condannato a tre anni e sei mesi per corruzione e illecito ai partiti in concorso con l’ex ministro e interdetto per cinque anni dai pubblici uffici.

Tra le pene accessorie, oltre l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, anche l’incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione per la durata di un anno. E’ stata anche disposta la confisca dei beni in sequestro del valore di 500mila euro, pari al prezzo della corruzione per cui è stato condannato in concorso con l’editore romano Angelucci. Fitto è stato condannato, inoltre, al risarcimento dei danni nei confronti della Regione Puglia, parte civile nel procedimento, da quantificarsi in sede civile.

I fatti contestati si riferiscono al periodo 1999-2005. Il processo, che si è svolto dinanzi al tribunale collegiale di Bari, riguarda l’esistenza di un presunto accordo illecito finalizzato ad assicurare alla società La Fiorita le concessioni di servizi di pulizia, sanificazione ed ausiliariato da parte di enti pubblici e di Asl pugliesi, e l’affidamento di un appalto da 198 milioni di euro ad una società di Angelucci per la gestione di 11 Residenze sanitarie assistite (Rsa). La decisione è arrivata dopo che i giudici sono stati in camera di consiglio per più di 24 ore per pronunciarsi sui 30 imputati del processo ribattezzato appunto La Fiorita. Per l’ex ministro il pm Renato Nitti aveva chiesto la condanna a 6 anni e 6 mesi di reclusione. 

Numerose altre condanne sono state erogate ad altri 13 imputati con pene da 4 anni a un anno, con diverse assoluzioni e una prescrizione Sono state disposte anche confische di beni: per le società di Angelucci oltre 6 milioni e 600mila euro, mentre per Fitto l’ammontare è di 500mila euro. Come pena accessoria è stata disposta un’interdizione dai pubblici uffici della durata di 5 anni anche per Fitto, oltre al risarcimento dei danni nei confronti della Regione Puglia, costituitasi in giudizio, ma da definire in altra sede. Fitto, che è capolista del Pdl in Puglia, ha ascoltato impassibile la lettura della sentenza e ha rinviato i giornalisti ad una conferenza stampa annunciata per la tarda mattinata di oggi. Numerose condanne per illeciti amministrativi hanno colpito le società coinvolte, a partire da quelle del gruppo Tosinvest come il Consorzio San Raffaele, la Fondazione omonima ed altre con il pagamento di pene pecuniarie per diverse centinaia di migliaia di euro. Condannate anche le società La Fiorita e la Cascina e Duemila, quest’ultima risulta confiscata per 800mila euro.

Oltre all’esponente del PdL e all’imprenditore romano erano 28 gli altri imputati in giudizio, con accuse a vario titolo di corruzione, falso, finanziamento illecito ai partiti e peculato al termine di un processo lungo e complesso.




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I 6 punti Programmatici delle Sardine

I 6 punti Programmatici delle Sardine


I 6 punti Programmatici delle Sardine:
 l’annuncio di Mattia Santori dal palco di San Giovanni a Roma
Dall'abrogazione del decreto sicurezza alla trasparenza sui social: ecco i sei punti del movimento annunciati nel corso della manifestazione nazionale organizzata nella Capitale

I 6 punti programmatici delle Sardine


Dal palco di piazza San Giovanni a Roma, l’ideatore delle Sardine Mattia Santori ha annunciato i sei punti programmatici del movimento che si batte per i valori antifascisti e costituzionali.

I 6 punti programmatici delle Sardine

I 6 punti programmatici delle Sardine


I 6 punti programmatici delle Sardine

1. Chi è eletto faccia politica nelle sedi proprie e non stia sempre in campagna elettorale

2. Chi è ministro comunichi solo per canali istituzionali

3. Vogliamo trasparenza dell’uso che la politica fa dei social network.

4. La stampa deve tradurre le informazioni in messaggi fedeli ai fatti

5. La violenza deve essere esclusa dalla politica nei toni e nei contenuti e quella verbale sia equiparata a quella fisica

6. Abrogare il decreto sicurezza.






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giovedì 12 dicembre 2019

La Bomba in Piazza Fontana l'hanno messa i fascisti di Ordine Nuovo

La Bomba in Piazza Fontana l'hanno messa i fascisti di Ordine Nuovo

La demonizzazione degli anarchici fu costruita con abilita' dai servizi e da buona parte delle istituzioni preposte alla repressione del terrorismo... 


La Bomba in Piazza Fontana l'hanno messa i fascisti di Ordine Nuovo

La Bomba in Piazza Fontana l'hanno messa i fascisti di Ordine Nuovo

La Bomba in Piazza Fontana l'hanno messa i fascisti di Ordine Nuovo
La demonizzazione degli anarchici fu costruita con abilita' dai servizi e da buona parte delle istituzioni preposte alla repressione del terrorismo. Guardare al passato per capire il presente e prevedere il futuro, diceva lo storico Tucidide nel 450 avanti Cristo. Quello che e' accaduto anni fa dovrebbe servire da lezione...   



La Bomba in Piazza Fontana l'hanno messa i fascisti di Ordine Nuovo

Nel 1944 sedicenne partecipa alla Resistenza 
giovane staffetta partigiana nella formazione socialista 
«Franco» (delle Brigate «Matteotti»), 
collaborando con un gruppo di partigiani anarchici che 
costituiscono il suo primo tramite all’anarchismo. 
Dopo la fine della guerra Pino continua a rimanere 
convinto ed attivo, partecipando
 con entusiasmo alla crescita del movimento...



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lunedì 9 dicembre 2019

Brasile: Assoluzione Completa per Lula e Dilma Rousseff

Brasile: Assoluzione Completa per Lula e Dilma Rousseff


L'accusa era di finanziamento illecito del PT

Assoluzione per gli ex presidenti del Brasile Lula e Dilma Rousseff nel caso noto come la 
"banda" del Partito dei Lavoratori (PT), in cui erano accusati di aver formato un'organizzazione criminale per finanziare il gruppo politico.


Brasile: Assoluzione Completa per Lula e Dilma Rousseff

La sentenza è stata emessa dal giudice federale Marcus Vinicus Reis Bastos 
secondo quanto afferma l’agenzia Sputnik. 



Tra gli assolti ci sono anche Antonio Palocci e Guido Mantega, ministri dell’Economia nei governi di Lula e Rousseff, oltre al tesoriere del PT Joao Vaccari Neto. 



Secondo la denuncia presentata nel 2017 dall'ex procuratore generale Rodrigo Janot, gli imputati avrebbero lavorato per svuotare le casse della compagnia petrolifera Petrobras 
al fine di dirottarne i fondi verso il PT. 



Il giudice Bastos, però, ha criticato fortemente l’impianto accusatorio evidenziando la mancanza di prove e definendola come un "tentativo di criminalizzare l'attività politica" 
dell’ex partito di governo brasiliano. 



“Suscita un certo sospetto - quello della creazione di un'organizzazione criminale che è durata fino alla fine del mandato dell'ex presidente Dilma Rousseff presentandolo come la ‘verità dei fatti’, senza nemmeno intraprendere il lavoro di sottolineare gli elementi essenziali della caratterizzazione del reato di organizzazione criminale (tipi oggettivi e soggettivi), che viola l'articolo 41 della legge sulla procedura penale", osserva il giudice nella sua decisione.



Lo scorso ottobre, il Ministero Pubblico Federale (autorità giudiziaria) aveva già richiesto l'assoluzione di tutte le persone coinvolte perché riteneva che non vi fossero elementi comprovanti la costituzione della presunta organizzazione criminale.



L'avvocato di Lula, Cristiano Zanin Martins, ha celebrato la decisione giudiziaria su Twitter: “Davanti ad un giudice imparziale, oggi riceviamo l'assoluzione completa di Lula”. 


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domenica 1 dicembre 2019

La Francia Punisce i Parlamentari Assenteisti

La Francia Punisce i Parlamentari Assenteisti



 Multa di 4000 Euro al Mese.

Mentre in Italia il nuovo governo decide di punire i lavoratori fannulloni con un licenziamento lampo che avviene nel giro di 48 ore, negli altri Stati europei si pensa 
a come punire adeguatamente i politici fannulloni..

La casta infatti, che attanaglia il nostro Paese a Montecitorio e Palazzo Madama, è presente in tanti altri Stati come la Francia dove si trovano vitalizi, bonus viaggi, cure mediche gratuite, emolumenti, pensioni d’oro e rimborsi spese davvero pazzeschi.


Qualcosa però si sta muovendo anche in casa di Holland, dove il governo ha deciso di “bastonare” in maniera decisa e netta tutti coloro che non rispettano il proprio contratto di lavoro: stiamo parlando soprattutto di parlamentari che, nonostante l’ottimo stipendio mensile e i vari bonus, continuano a non rispettare i propri impegni disertando il posto di lavoro e gli appuntamenti.

Il presidente del Senato Gérard Larcher, ha counicato che  a quattordici membri della camera alta di Parigi verranno sottratti 2.100 euro per assenteismo nel corso dell’ultimo trimestre del 2015 e che i tagli continueranno ad essere effettuati verso tutti gli altri assenteisti.
La “punizione” potrà arrivare anche a 13.200 euro ogni tre mesi 
verso tutti coloro che non frequenteranno.
Speriamo vivamente che anche il Governo italiano riesca
 a trovare una soluzione per questo problema.




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Lucia Borgonzoni non Molla la Poltrona

Lucia Borgonzoni non Molla la Poltrona


Bologna? Chissenefrega, ma non molla la poltrona!

Lucia Borgonzoni, "è stata eletta consigliera comunale di Bologna", poi nel marzo 2018 "senatrice" e infine, poche settimane dopo, "nominata sottosegretaria al minsitero dei Beni culturali". Ma in questo periodo "non ha mollato la poltrona qui in consiglio comunale. Da allora ci sono state ben 141 sedute, e di queste 122 volte è stata assente, e 19 presente. Mi chiedo perché in tutti questi mesi lei non abbia mollato la poltrona, essendo stata eletta in Senato e avendo un importante incarico".

Noi Lucia Borgonzoni la conosciamo molto bene. 
Davvero la volete alla guida dell'Emilia-Romagna?"

L'assessore comunale rivela "tre cose che non sapete di lei": 
dall'assenteismo in aula alla volontà di schedare i musulmani

BOLOGNA - Tre minuti scarsi per raccontare "tre notizie su Lucia Borgonzoni", alla fine dei quali si chiede: "Noi a Bologna la conosciamo molto bene. Davvero la volete alla guida della Regione Emilia-Romagna?" Con un video diffuso su Facebook l'assessore di Bologna alla Cultura Matteo Lepore attacca la candidata del centrodestra alle Regionali del prossimo 26 gennaio, mettendo in luce l'assenteismo dai banchi del Consiglio, la mancata risposta, come sottosegretario al ministero dei Beni culturali ai dossier riguardanti Bologna, e soprattutto ricordando quando proponeva di schedare i cittadini di religione musulmana.

Lucia Borgonzoni, ripercorre Lepore nel video, "è stata eletta consigliera comunale di Bologna", poi nel marzo 2018 "senatrice" e infine, poche settimane dopo, "nominata sottosegretaria al minsitero dei Beni culturali". Ma in questo periodo "non ha mollato la poltrona qui in consiglio comunale. Da allora ci sono state ben 141 sedute, e di queste 122 volte è stata assente, e 19 presente. Mi chiedo perché in tutti questi mesi lei non abbia mollato la poltrona, 
essendo stata eletta in Senato e avendo un importante incarico".

Lepore ricorda inoltre che "il 20 novembre 2018 sono stato ricevuto al ministero dei Beni culturali per avere un incontro con lei. Mi sono presentato con tutti i direttori e presidenti delle nostre istituzioni culturali e le abbiamo conseganto un dossier con le principali problematiche della nostra città compresa la candidatura dei portici a patrimonio dell'umanità Unesco. Abbiamo passato due ore molto amabili", ironizza, ma "dopo non si è più fatta sentire".

Ma, insiste Lepore in questo video, "la notizia che mi preoccupa di più è la seguente. Il 27 gennaio 2012 - io ero un giovane assessore, lei una giovane consigliera, dal banco del comsiglio comunale mi ha presentato una domanda che recitava così: 'Alla luce della presenza di numerose moschee nella città di Bologna si chiede alla giunta e al sindaco di provvedere a una schedatura, a un censimento dei cittadini di fede musulmana'. A parte  - puntualizza Lepore - che moschee a Bologna ancora non ci sono - ci sono solo sale di preghiera - io voglio chieder a voi, e in particolar modo a Lucia Borgonzoni: è degno di un Paese civile la schedatura dei cittadini di religione musulmana, sia che siano italiani sia che siano stranieri? E' questa la candidata che vogliamo alla presidenza della Regione Emilia-Romagna? Noi a Bologna la conosciamo molto bene, 
forse queste tre notizie vi mancavano"

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sabato 30 novembre 2019

Mes, la Riforma è Stata Avviata dalla Lega

Conte: Querelo Salvini per calunnia.


Conte: " Querelo Salvini per calunnia. "
Il primo ministro: "Spazzerò via mezze ricostruzioni, menzogne, mistificazioni... Vorrei chiarire agli italiani che io non ho l’immunità, lui sì, e ne ha già approfittato per il caso Diciotti. Veda questa volta, perché io lo querelerò per calunnia di non approfittarne più"


Mes, Conte: Salvini presenti esposto, lo querelo per calunnia - "Chi oggi si sbraccia a fare dichiarazioni altisonanti e minaccia, a Salvini se e un uomo d'onore dico questo: vada in Procura a fare l'esposto. Vorrei chiarire agli italiani che non ho l'immunita' perche' non sono parlamentare. Lui ce l'ha e ne ha gia' approfittato per il caso Diciotti. Adesso veda questa volta, perche' lo querelero' per calunnia, di non approfittarne piu'". Lo ha detto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ad Accra

Mes, Conte: lunedì spazzerò via menzogne-mistificazioni - Parlando al Parlamento lunedi' "spazzero' via mezze ricostruzioni, menzogne, mistificazioni". Lo dice il premier Giuseppe Conte incontrando i cronisti dopo il suo intervento all'universita' del Ghana, 
interpellato sulla vicenda del fondo Salva-Stati.

Mes, Salvini grida al complotto ma la riforma è stata avviata dalla Lega
“Complotto”, grida Matteo Salvini. “Alto tradimento”, tuona Claudo Borghi. “Congiura perpetrata ai danni dell’Italia”, ripetono come un disco rotto i deputati leghisti, che ieri sera, durante la discussione in Aula sul Mes, sono addirittura scesi nell’emiciclo strattonando il presidente della Camera Roberto Fico e minacciando i colleghi della maggioranza.

Il tutto di fronte agli occhi increduli di due scolaresche in visita proprio in quelle ore in Parlamento. Uno spettacolo indecoroso. Eppure, se questo fosse ancora un Paese normale, oggi l’intera stampa italiana non titolerebbe sulla mega-rissa da saloon ingaggiata dalla Lega con i presunti “traditori del popolo italiano” ma sull’ipocrisia di un partito che, a parole, ha (quasi) sempre criticato il Mes, ma nei fatti ha avallato, sostenuto e sposato il suo processo di revisione, 
a braccetto con il governo gialloverde di cui faceva parte.

È il dicembre 2018 quando l’esecutivo Conte I, di cui la Lega fa parte, avvia i negoziati di modifica del Fondo Salva-Stati. Matteo Salvini partecipa ad almeno due Consigli dei ministri in cui all’ordine del giorno c’è proprio il Mes. Ma agli atti a verbale 
non risulta neppure un fiato da parte del vicepremier.

I negoziati, nel frattempo, vanno avanti. In quei primi mesi del 2019 il dibattito sul Mes è praticamente inesistente su tv e social. La Lega abbozza e tace, e, intanto, nel silenzio delle stanze parlamentari, non fa nulla per fermarlo.

Come ricorda Valerio Valentini sul Foglio, l’allora ministro per gli Affari Europei, Paolo Savona (quello su cui il Presidente della Repubblica ha posto addirittura il veto all’Economia per le sue posizioni No Euro), nella “Relazione programmatica sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea per l’anno 2019” aveva scritto: “Quanto al Mes, l’Italia sarà favorevole ad iniziative volte a migliorare l’efficacia degli strumenti esistenti, rendendone possibile 
l’utilizzo ed evitando l’attuale effetto ‘stigma’”.

Una relazione approvata senza se e senza ma dalla stessa Lega. La stessa Lega che, tra fine febbraio e inizio marzo 2019, all’interno della commissione Bilancio presieduta proprio da Claudio Borghi, ha approvato in due differenti sedute la relazione del deputato leghista Ribolla che riconosceva l’impatto del Mes. Anche in quel caso, nessuna polemica, nessuno strattone, nessuna sedia lanciata.

Se era un “complotto” ordito da oscuri eurocrati filo-tedeschi, deve essere nato nelle ultime 24 ore perché, fino a quando la Lega è stata al governo, i negoziati per la revisione del Mes sono andati avanti lisci come l’olio senza che nessun leghista abbia mai eccepito alcunché.

Ma la comunicazione, si sa, in Italia vale molto di più di una relazione o di un verbale di commissione. E allora quale migliore occasione di una seduta parlamentare come quella di ieri sera per puntare il dito contro Conte, contro il Pd, contro il governo giallorosso, tutti succulenti agnelli sacrificali da utilizzare per la propria propaganda sovranista. Tanto poi, si sa, la mattina dopo basta un anello e una proposta di matrimonio in diretta parlamentare per far dimenticare agli italiani incoerenze e ipocrisie di dodici mesi.

E anche questa sera il “popolo” potrà tornare a chiudere gli occhi con la serenità di essere stati protetti dai sedicenti sovranisti dalle grinfie dell’Europa delle banche, da Frau Merkel e dal governo italiano prono ad ogni suo desiderata. Con tanti auguri di matrimonio. E figli maschi.



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Forse Lucia Borgonzoni in questi  ultimi mesi è stata troppo impegnata a chiedere di parlare di Bibbiano invece che informarsi sulla riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità. Perché ieri a Piazza Pulita la candidata della Lega alla presidenza della Regione Emilia-Romagna ha dato la netta impressione di non sapere – o di non aver capito – in che cosa consista la riforma del MES e in che modo funzioni il Fondo salva stati...                 

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La Figuraccia di Lucia Borgonzoni sul MES


La Figuraccia di Lucia Borgonzoni sul MES



Forse Lucia Borgonzoni in questi  ultimi mesi è stata troppo impegnata a chiedere di parlare di Bibbiano invece che informarsi sulla riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità. Perché ieri a Piazza Pulita la candidata della Lega alla presidenza della Regione Emilia-Romagna ha dato la netta impressione di non sapere – o di non aver capito – in che cosa consista la riforma del MES e in che modo funzioni il Fondo salva stati

Borgonzoni: parlaci del MES
Il che è senz’altro curioso, visto che da settimane Salvini e la Lega parlano di un fantomatico complotto ai danni del Paese ordito nientemeno che da Giuseppe Conte per poter mantenere la poltrona di Presidente del Consiglio. Una narrazione che sfida i fatti e la logica (per usare due concetti tanto cari a qualcuno) perché presuppone, nell’ordine, che quando fin dal dicembre del 2018 Conte e Tria hanno partecipato ai negoziati europei per la riforma del MES sapessero che il Governo gialloverde sarebbe caduto entro la fine dell’estate del 2019; e soprattutto presuppone che nessuno dei leghisti al governo (il vicepremier, i i viceministri e i sottosegretari, tra cui la stessa Borgonzoni) non sapessero nulla di quello che stava succedendo. Ma il Governo era perfettamente informato sin dal dicembre del 2018 della volontà di riformare il Fondo salva stati così come il Parlamento era a conoscenza della posizione dell’esecutivo sulla riforma del MES.

La Figuraccia di Lucia Borgonzoni sul MES


In tutto questo poi c’è la senatrice Borgonzoni. Che ieri da Formigli ha detto cose come «noi mettiamo a rischio i nostri titoli di Stato se in ipotetica bisogna rientrare di 120 miliardi in sette giorni si può andare a prenderli da quelli che sono i titoli di stati, indirettamente o direttamente arriva a me sta cosa». Andiamo con ordine, quali sono questi 120 miliardi di euro? La Borgonzoni la spiega così: «sarebbero i fondi che teoricamente noi abbiamo nel vecchio fondo salva stati e possono essere richiesti allo Stato italiano in sette giorni perché se noi vogliamo accedere ci sono una serie di clausole che noi ogni anno dobbiamo rientrare del debito del 20%». Ci avete capito qualcosa? Di fatto la Borgonzoni sta dicendo che qualora l’Italia avesse bisogno di soldi per uscire da una crisi economica dovrebbe dare 120 miliardi di euro in sette giorni. Il che non ha alcun senso perché come spiega Carlo Calenda «se hai bisogno di soldi sono gli altri paesi che li versano, e non tu». Per il semplice motivo che non ce li hai. Questa non è alta finanza, è semplice economia domestica. E già adesso si può chiedere una ristrutturazione del debito
 (che ovviamente comporta un taglio dei titoli di Stato).

La grande confusione di Borgonzoni sul meccanismo backstop per le crisi bancarie
«Ti può essere richiesto in sette giorni», scandisce roboticamente la Borgonzoni, manco il MES fosse gestito da Samara di The Ring. È evidente a questo punto che la Lega sta tentando di fare terrorismo sul Fondo Salva Stati, e il bello è che lo fa senza sapere quello che dice. Il tutto senza dire che l’Italia, essendo detentrice del 17% delle quote del Fondo e visto che si decide con la maggioranza dell’85% ha il potere di veto che le consente di bloccare eventuali intervento di salvataggio per altri stati. C’è poi una linea di credito che aiuta i paesi a rischio di essere “contagiati” dal default di un altro paese. Infine c’è la possibilità di aiutare le banche in difficoltà
 (come è stato fatto in Spagna proprio dal MES).

Secondo la Borgonzoni «probabilmente, succedesse qualcosa ad una banca tedesca la signora Maria che c’ha dei titoli di Stato probabilmente avrà dei titoli di stato che costa meno perché con il Fondo Salva Stati si aiuta una banca tedesca, questo è il fatto». Di nuovo, cosa vuol dire questa affermazione? Assolutamente nulla. Un po’ come quando Salvini dice che il Fondo Salva Stati «è una pistola puntata alla testa dei risparmiatori». Ma come può funzionare che se una banca tedesca è in difficoltà la signora Maria vede perdere di valore i titoli di Stato (si presume italiani) in suo possesso? La Borgonzoni ha una spiegazione: «se il fondo salva stati viene utilizzato per salvare una banca tedesca noi abbiamo un problema: chiediamo anche noi il fondo e a noi dicono per avere quel fondo devi rispettare dei parametri che non lo possiamo rispettare». Non ha alcun senso, perché se una banca tedesca è in difficoltà l’Italia dovrebbe chiedere di accedere alla linea di credito per gli Stati?
 E perché le due cose sono collegate? Borgonzoni non sa, non lo spiega, non risponde.









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