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giovedì 28 febbraio 2019

Il numero 3 del Vaticano, è stato condannato per pedofilia

Il numero 3 del Vaticano, è stato condannato per pedofilia


Ecco Perchè DIO NON ESISTE

Il tribunale di Melbourne ha riconosciuto il tesoriere australiano,
 il più alto funzionario della Chiesa cattolica, colpevole di abusi sui minori. 
Il Papa lo sospende dalle celebrazioni e dai contatti con minori

Il vescovo australiano George Pell, 77 anni, è stato condannato a dicembre per violenza sessuale negli anni '90 su due bambini di 12 e 13 anni del coro nella sacrestia della cattedrale di Saint Patrick di Melbourne. Il terzo uomo più potente del Vaticano è stato accusato di aver fatto sesso con un ragazzino minore di 16 anni. 
A suo carico, anche altre quattro accuse per aver compiuto
 «atti indecenti» nei confronti di un minore.

Una sentenza che lo rende il più alto funzionario della Chiesa cattolica condannato per pedofilia. Il tribunale di Melbourne aveva però vietato, fino a oggi, la pubblicazione dell'esito della sentenza, una precauzione presa per proteggere la giuria di un altro processo a cui il tesoriere del Vaticano avrebbe inizialmente dovuto sottoporsi per altri fatti. 
L'accusa ha però deciso di rinunciare a questa seconda indagine.

La pena non è ancora stata fissata, ma il cardinale rischia fino a 50 anni di reclusione. Una nuova udienza si terrà domani (mercoledì 27 febbraio). Quello che è sicuro è che Pell sarà allontanato da Roma. Gli avvocati del monsignore hanno già annunciato la sua volontà di fare appello. Il cardinale aveva interrotto le sue funzioni al Vaticano per difendersi ma formalmente resta a capo della segreteria dell'Economia del Vaticano, posizione che gli era stata affidata da papa Francesco nel 2014 con la missione di riformare le finanze della Chiesa Cattolica.

Lo stesso anno, una delle due vittime delle sue violenze è deceduta per un'overdose di eroina. 
L'altra, che ha richiesto di restare anonima, ha dichiarato: 
«Come molte vittime, ho provato vergogna, solitudine, depressione e difficoltà, 
ci ho messo anni a comprendere l'impatto di questa vicenda sulla mia vita».

Papa Francesco ha subito provveduto alla sospensione del cardinale Pell dalle celebrazioni e dai contatti con i minori: «Si tratta di una notizia dolorosa - ha affermato il direttore della sala stampa della Santa Sede - siamo ben consapevoli che ha scioccato moltissime persone e non solo in Australia». E dunque il provvedimento del pontefice: «Al cardinale Pell sia proibito in via cautelativa l’esercizio pubblico del ministero e, come di norma, il contatto in qualsiasi modo e forma con minori di età - si legge nella nota del Vaticano -. La Santa Sede si unisce a quanto dichiarato dal presidente della Conferenza episcopale australiana nel prendere atto della sentenza di condanna in primo grado nei confronti del cardinale George Pell».

La notizia della condanna arriva pochi giorni dopo una conferenza del Vaticano dedicata alla lotta contro gli abusi sessuali nell'istituzione religiosa. Durante l'ultimo dei quattro giorni del convegno, il Papa ha esortato la Chiesa a intraprendere una «battaglia totale» contro gli abusi sessuali perpetrati dai membri del clero, crimini che ha giudicato abominevoli. Il Vaticano aveva anche annunciato nel dicembre 2018 il rimpasto del C9, il consiglio dei cardinali per la Santa Sede. Una ristrutturazione voluta proprio per rimuoverne George Pell, senza però precisarne pubblicamente la ragione.


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martedì 26 febbraio 2019

Chi ha Guadagnato con l' Euro ?

Chi ha Guadagnato con l' Euro ?

Euro, studio tedesco: 
“La Germania ci ha guadagnato più di tutti. 
Per gli italiani perdita di 73mila euro pro capite”

Un rapporto del Centrum für europäische Politik stima in 23mila euro pro capite l'impatto positivo della moneta unica per i tedeschi tra 1999 e 2017. Seguono gli olandesi con 21mila euro di guadagni. Roma e Parigi guidano invece la classifica dei "perdenti". I numeri sono ricavanti confrontando l'andamento del pil con quello di altri Stati che non hanno adottato l'euro e che in precedenza avevano performance economiche simili.

La Germania e i Paesi Bassi hanno tratto enormi benefici dall’euro nei vent’anni trascorsi dalla sua introduzione, mentre per quasi tutti gli altri membri la moneta unica ha rappresentato un freno alla crescita economica. E l’Italia è il Paese in cui la moneta unica ha avuto i maggiori effetti negativi: senza l’euro, tra 1999 e 2017 il pil del Paese sarebbe aumentato di 4.300 miliardi di euro in più, pari a 73.600 euro pro capite. Sono le conclusioni a cui arriva lo studio 20 years of the euro: winners and losers del think tank tedesco Centrum für europäische Politik (Cep), secondo cui i Paesi membri che hanno promosso l’ortodossia di bilancio e criticato il salvataggio dei Paesi più indebitati sono stati i maggiori beneficiari della valuta unica. Dietro l’Italia nella classifica dei più penalizzati c’è la Francia, con una perdita di 56mila euro pro capite. Al contrario, i tedeschi grazie all’ingresso nell’Eurozona si ritrovano più ricchi di 23mila euro pro capite e gli olandesi di 21mila.

Vantaggi e perdite stimati con il metodo del “controllo sintetico” – Il report, firmato da Alessandro Gasparotti e Matthias Kulas, stima i guadagni e le perdite di pil determinati dall’ingresso nell’area euro con un metodo definito “controllo sintetico“. In pratica si tratta di confrontare le performance dei Paesi che sono entrati con quelle di diversi altri Stati (gruppo di controllo) che non hanno adottato l’euro e negli anni precedenti avevano registrato trend economici molto simili a quelli del Paese considerato. Lo studio si concentra otto paesi su 19 dell’area euro, quelli in cui c’è stato un lungo gap tra ingresso nella Ue e introduzione dell’euro, perché negli altri casi il risultato avrebbe potuto essere “distorto dall’ingresso nellUe e nel suo mercato unico”. I ricercatori specificano che il metodo non tiene conto di eventuali riforme messe in campo nei Paesi considerati. 

“L’Italia non ha capito come essere competitiva” – Per l’Italia il gruppo di controllo è costituito da Gran Bretagna (con un peso del 63,2%), Australia (31%), Israele (3,8%) e Giappone (2%), scelti perché nel periodo pre euro avevano pil pro capite non troppo diversi da quelli italiani. L’economia tedesca è stata invece messa a confronto con un paniere che comprendeva il Bahrain, il Giappone e la Gran Bretagna. “In nessun altro Paese tra quelli esaminati”, si legge nella scheda sulla Penisola, “l’euro ha causato simili perdite di prosperità. Questo è dovuto al fatto che il pil pro capite italiano ha ristagnato da quando è stato introdotto l’euro. L’Italia non ha ancora trovato un modo per essere competitiva all’interno dell’Eurozona. Nei decenni prima dell’euro il Paese a questo fine svalutava la sua moneta. Dopo l’introduzione dell’euro questo non è stato più possibile. Sarebbero state necessarie riforme strutturali. La Spagna mostra come queste riforme possano ribaltare il trend negativo”.

Nel 2017 impatto positivo di 280 miliardi per la Germania – Nel solo 2017, sostiene lo studio, il fatto di far parte dell’Eurozona ha avuto un impatto positivo di 280 miliardi per la Germania e un impatto negativo di 530 miliardi per l’Italia, pari a 8.700 euro pro capite. Gli effetti cumulati sulla prosperità nel periodo 1999-2017 – il 1999 è l’anno di debutto dell’euro sui mercati finanziari, anche se come moneta sarebbe entrato in circolazione solo nel 2002 – sono calcolati sommando i dati pro capite di ogni anno e “moltiplicando i risultati per il tasso di consumo medio nazionale del Paese” nel periodo prima dell’ingresso nell’euro.

La Grecia, si legge nel rapporto, “ha guadagnato molto nei primi anni dopo l’introduzione dell’euro, ma dal 2011 ha sofferto enormi perdite. Sull’intero periodo, il bilancio è lievemente positivo, per 2 miliardi o 190 euro per abitante”.



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Reddito di cittadinanza, a quale stipendio equivale?

Reddito di cittadinanza, a quale stipendio equivale?


Il reddito di cittadinanza vale quanto uno stipendio part time. il dato, preso dall’ ultimo salary outlook di jobpricing , fa riflettere una volta di più sulle implicazioni di questa misura della legge di bilancio, le cui specifiche sono ancora tutte da conoscere. servirà a far ripartire l’ economia? Costituirà un rischio per il mercato del lavoro , incentivando il sommerso? idealista/news ha cercato di rispondere insieme all’ avv. gianluca di ascenzo, presidente di codacons. il reddito di cittadinanza – che comporta un netto annuo di 9360 euro e un lordo di circa 11 mila euro, secondo jobpricing – dovrebbe costituire un aiuto per le persone temporaneamente senza reddito o con un reddito sotto la soglia di povertà definita da istat (780 euro, appunto). un aiuto della durata sufficiente a “traghettare” queste persone verso un lavoro che consenta loro di mantenersi dignitosamente.”ammesso che le coperture esistano – commenta gianluca di ascenzo , – e la proposta è stata bollinata per cui siamo ottimisti in merito, i sostenitori della misura ne parlano come di uno strumento di semplificazione e di aggiornamento del personale , i detrattori mettono i n questione i suoi aspetti etici relativamente al rischio sommerso, e anche dell’ effettiva ricerca di lavoro”.il dibattito quindi è aperto. ma secondo codacons, la misura sarà in grado di riattivare l’ economia aumentando la capacità di spesa degli italiani e, di conseguenza, il pil? “non si può certo dire – risponde d’ ascenzo , – che sia il reddito di cittadinanza, pur declinato correttamente e con tutti i controlli del caso per evitare abusi, la soluzione per rilanciare l’ economia. il paese ha bisogno di una riforma più strutturale , ad esempio nel campo dell’ efficacia della formazione universitaria ai fini del mercato del lavoro. su molti fronti l’ italia è arretrata: penso al livello dell’ uso della moneta elettronica, o della diffusione della fibra ottica , dei problemi strutturali che, al di là delle esperienze di eccellenza di alcune imprese e start-up in italia, impediscono una crescita uniforme della nostra economia”.considerato che, secondo le tabelle di sostituzione elaborate da jobpricing , il reddito di cittadinanza può valere quanto un salario part-time (dal 58 al 63% a seconda del tipo di ccnl), quali potrebbero essere gli effetti sul mercato del lavoro? esiste il rischio di alimentare il sommerso, o di disincentivare la ricerca di lavoro? ” il rischio sul sommerso è concreto – ammette gianluca d’ ascenzo: – i dati parlano di una forte presenza di “lavoro nero”, soprattutto nel mezzogiorno, che di fatto consente in molte situazioni di tirare avanti impedendo l’ esplodere di tensioni sociali. del resto il paese si regge anche sul welfare familiare, sull’ aiuto economico dei nonni. ma quando questo venga a mancare, l’ alternativa per molti giovani, che nonostante la laurea non riescono a trovare lavoro , fino a ieri andare all’ estero a lavorare come camerieri per imparare le lingue e tentare di riqualificarsi. quando esisterà il reddito di cittadinanza non sarà da sottovalutare la possibilità di accostarvi altri lavoretti che consentano di mettere insieme un reddito”.come valutare, quindi, questa misura? “noi vorremmo, non dirò sospendere il giudizio – risponde il presidente codacons , – ma guardare con un certo ottimismo ad una riforma che, comunque sia, interviene in un contesto che non è positivo. con una speranza sul futuro, perché se dovessimo guardare al passato vedremmo che misure precedenti come la social card e simili non hanno sortito grossi effetti, complice anche la congiuntura economica sfavorevole. al momento i dati sugli esercizi commerciali e sui consumi soprattutto non food non sono positivi. il reddito di cittadinanza inserito in questo contesto
 è comunque una possibile occasione di rilancio e di riforma dei centri d’ impiego”.


Niente più polizia dell’Internet in arrivo se spendi i soldi del reddito di cittadinanza da Unieuro. Ieri in Commissione al Senato è stato approvato un emendamento che prevede che lo Stato possa monitorare «i soli importi complessivamente spesi e prelevati» dalla Carta per il reddito di cittadinanza. La norma recepisce le obiezioni del Garante della privacy,,,




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lunedì 25 febbraio 2019

Gianni Alemanno era l'uomo politico di Mafia Capitale

L'ex sindaco di Roma Gianni Alemanno è stato condannato a sei anni con l'accusa di corruzione e finanziamento illecito


 L'ex sindaco di Roma Gianni Alemanno è stato condannato a sei anni con l'accusa di corruzione e finanziamento illecito in uno dei filoni dell'inchiesta Mondo di mezzo. La sentenza è stata emessa dalla seconda sezione penale del tribunale di Roma. "Una sentenza sbagliata. Ricorreremo sicuramente in appello dopo aver letto le motivazioni. Io sono innocente l'ho detto sempre e lo ribadirò davanti ai giudici di secondo grado", ha commentato l'ex sindaco. Alemanno e' stato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici, per due anni non potrà contrattare con la pubblica amministrazione. È quanto disposto dai giudici della II sezione penale. I magistrati hanno anche deciso l'interdizione legale per tutta la durata della pena. L'ex sindaco di Roma dovrà risarcire sia Ama che Roma Capitale ed è stata fissata una provvisionale di 50mila euro sia per la municipalizzata che per il Campidoglio. Ad Alemanno sono stati anche confiscati 298mila euro.

Pesantissima l'accusa: secondo i magistrati Alemanno era "l'uomo politico di riferimento dell'organizzazione Mafia Capitale all'interno dell'amministrazione comunale, soprattutto, in ragione del suo ruolo apicale di sindaco, nel periodo 29 aprile 2008 -12 giugno 2013 (e successivamente di consigliere di minoranza in seno al Pdl". 
I reati contestati all'ex sindaco sono corruzione e finanziamento illecito.

 Il pm Luca Tescaroli ha tenuto una requisitoria durata sei ore. Secondo l’accusa l’ex sindaco, oggi segretario del Movimento Nazionale per la Sovranità, tra il 2012 e il 2014 avrebbe ricevuto oltre 220.000 euro per compiere atti contrari ai suoi doveri d’ufficio. I soldi sarebbero arrivati da Salvatore Buzzi, il ras delle cooperative, e Massimo Carminati, l’ex Nar, entrambi condannati nel filone principale dell’inchiesta, e versati alla fondazione Nuova Italia, 
di cui era presidente lo stesso Alemanno.

Secondo la procura, Alemanno era «l’uomo politico di riferimento dell’organizzazione Mafia Capitale in ragione del suo ruolo apicale di sindaco» e anche perché dopo, diventato consigliere comunale di minoranza con il Pdl, sarebbe rimasto il referente dell’organizzazione. Un comportamento, quello dell’ex sindaco, tanto grave secondo la procura da non doversi considerare meritevole delle attenuanti generiche.

Il pm ha anche chiesto di confiscare ad Alemanno la somma di 223.500 euro, l’equivalente del prezzo della corruzione. Schermandosi dietro altri personaggi, Alemanno avrebbe «venduto» la sua funzione di sindaco permettendo che Mafia capitale ottenesse il controllo del territorio istituzionale di Ama, la società presieduta dal Comune di Roma incaricato di pubblico servizio ed ente aggiudicatore degli appalti che interessavano al sodalizio criminale. Dopo l’elezione di Alemanno a sindaco, le cooperative in capo a Buzzi avrebbero moltiplicato i loro introiti: 26,5 milioni nel 2010, 36,5 milioni nel 2011 e 46.5 milioni nel 2012

La difesa

Alemanno, sentito il 14 gennaio scorso, si è difeso sostenendo di essere stato vittima dei propri collaboratori. Oggi ha aggiunto: «Lunedì gli avvocati della difesa risponderanno a un teorema accusatorio che appare esasperato e contraddittorio. 
Da parte mia posso solo ribadire la mia completa innocenza».



I soldi, in base all'impianto accusatorio, sarebbero giunti da Salvatore Buzzi in accordo con Massimo Carminati e sarebbero stati versati alla fondazione Nuova Italia, presieduta da Alemanno.




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domenica 24 febbraio 2019

Salvini ha munto i pastori e preso in giro tutti i Sardi

Salvini ha munto i pastori e preso in giro tutti i Sardi

 Nessun accordo sul latte sardo
 (nonostante le promesse)

«Ho incontrato al Ministero i #pastorisardi, obiettivo: risolvere il problema entro 48 ore». 
Così Matteo Salvini entrava nella questione del crollo del prezzo latte di pecora promettendo un’improbabile soluzione alla crisi del settore che affligge soprattutto i pastori sardi. Era il 12 febbraio scorso, di ore ne sono passate 240 (dieci giorni) e la soluzione ancora non c’è. 
Anzi: la notizia è che non c’è nessun accordo.

Nessun accordo sul latte sardo


Che l’intesa sul prezzo sarebbe stata impossibile da raggiungere lo avevano detto Coldiretti e CIA-Agricoltori che avevano definito inaccettabile la proposta di 72 centesimi al litro per li latte. A certificarlo oggi è il ministro per le Politiche Agricole e Forestali Gian Marco Centinaio (Lega) intervistato questa mattina su Radio1 durante “Centocittà”.  «Le premesse sapevamo tutti quali fossero. Il tavolo di ieri era un tavolo di filiera dove si andava a parlare di regole. A margine si è parlato di prezzi e si è deciso di aprire un tavolo ad hoc presieduto dal prefetto di Sassari che verrà convocato lunedì o martedì prossimo perché in Sardegna ci sono le elezioni», ha spiegato il ministro.

Tutto rinviato al dopo elezioni. Compresa la promessa di Salvini che addirittura aveva proposto un prezzo di un euro al litro. Ben sapendo che lo Stato non ha certo il potere di cambiare i prezzi a piacimento e consapevole che il solo fatto di incontrare i pastori sardi e dimostrarsi vicino alle loro richieste gli avrebbe consentito un bel balzo avanti nei sondaggi. Da oggi si torna all’antico, alla vecchia strategia delle scarpe spaiate di Achille Lauro.

Nessun accordo sul latte sardo


Per Salvini “andare a mungere” è un insulto

Ieri durante la conferenza stampa Salvini è tornato sulla questione dicendo «Sono orgoglioso di come stanno andando le cose con i pastori, ho sempre detto che non avrei mai usato un manganello su di loro. Al posto del manganello deve prevalere il ragionamento. Le posizioni si sono avvicinate ma avviso che se qualche imprenditore vuole speculare sulla pelle dei sardi avrò buona memoria. Se qualcuno vuole fare il furbo con me, ha trovato il ministro sbagliato…». Fino ad oggi però l’unico che ha davvero speculato – elettoralmente parlando – sulla pelle dei sardi e dei pastori è proprio il ministro. Le posizioni non si sono affatto avvicinate visto che l’offerta di 72 centesimi di euro al litro non solo è al di sotto dei costi di produzione
 ma è sostanzialmente la stessa già avanzata – e rifiutata – un mese fa.



Inutile dire che per molti Salvini ha preso in giro i pastori sardi, il tutto mentre se ne andava in giro per la Sardegna a mangiare pecorino. E ieri c’è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Durante un comizio a Carbonia Salvini ha risposto ad un gruppo di contestatori che cantava Bella Ciao prima invitandoli ad togliersi dalle scatole e ad andare a Sanremo «vi accompagniamo in qualche stalla a mungere le pecore che è un lavoro faticoso che non sapete fare» 
e rivolgendosi ai suoi ha chiesto «ma quando sfigati sono? 
Domenica questi con Zedda fanno la valigia prendono un barcone e vanno a casa».


L’invito ad andare a mungere però non è piaciuto. Non solo perché poco rispettoso nei confronti del lavoro di chi a mungere ci va davvero e non perché glielo dice il Ministro dell’Interno ma anche perché è stato utilizzato come insulto (come Salvini del resto ha già fatto in un’altra occasione nel 2013). A qualcuno ha ricordato i bei tempi andati in cui i sardi venivano insultati e definiti un popolo di pecorari e di banditi. Il fatto che per Salvini mandare “a mungere” la gente sia un insulto o una punizione rieducativa la dice lunga su quanto sia cambiata la Lega. Ai sardi non piace nemmeno la serie di video promozionali stile ISIS con musica trionfale e il conto alla rovescia per le elezioni di domenica dove un’animazione dà “fuoco” alla bandiera sarda dei quattro mori che poi viene sostituita da quella della Lega. Un modo del tutto non intenzionale di affermare che la Sardegna è e sarà una colonia leghista? E non è finita qui perché il Movimento dei Pastori Sardi non esclude di ricorrere ad una forma estrema di protesta: il blocco dei seggi. A contemplare l’ipotesi è Nenneddu Sanna, rappresentante dei pastori, che uscendo dall’incontro ha dichiarato di essersi sentito umiliato dal governo. Chissà come si sentiranno i sardi che voteranno Salvini.



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Progetto segreto? Abbandonare il Mezzogiorno

Così nel segreto si creerebbero un’Italia primaria,   quella del Nord, e un’Italia secondaria, quella del Sud.   Una ricca e una pezzente. Una svolta storica fra quattro amici al bar

«Così nel segreto si creerebbero un’Italia primaria, 
quella del Nord, e un’Italia secondaria, quella del Sud. 
Una ricca e una pezzente. Una svolta storica fra quattro amici al bar»

di LINO PATRUNO

Alla chetichella. Così vorrebbero riformare la Costituzione con l’«autonomia regionale differenziata» per Veneto, Lombardia ed Emilia. Nuove competenze e più soldi per gestirle da privilegiati e senza ficcanasi. L’Italia nata 158 anni fa sarebbe cancellata con un accordo fra pochi intimi, una commissione a porte chiuse fra il Veneto e la ministra leghista (e veneta) Erika Stefani. E con un passaggio in un Parlamento ridotto solo ad approvare senza poter discutere di nulla né poi controllare nulla. Così nel segreto si creerebbero un’Italia primaria, quella del Nord, e un’Italia secondaria, quella del Sud. Una ricca e una pezzente. Una svolta storica fra quattro amici al bar. Qualcuno parla di colpo di Stato, eccessivo ma efficace per capire.

Sarebbe l’Italia nella quale al Nord si vivrebbe sempre meglio e al Sud sempre peggio. Sarebbe l’Italia nella quale il Nord avrebbe servizi eccellenti e il Sud servizi indecenti. Sarebbe l’Italia nella quale si sancirebbe una volta per tutte che esistono due Italie. Non solo. Ma nella quale l’Italia del Sud non potrebbe obiettare nulla, visto che l’accordo si potrebbe ridiscutere solo dieci anni dopo. Un’Italia che non si proverebbe più a rendere più giusta come almeno a parole ogni governo dichiara oggi di volere. Come l’ipocrisia e gli impegni elettorali hanno finora continuato a ripetere, il Sud? In testa ai nostri pensieri. Ma una situazione che diventerebbe definitiva. E addirittura per legge.

La verità è che di riequilibrare il Paese oggi non interessa più a nessuno, se non al solo Sud. Per il quale non soltanto non si deve fare nulla visto che non c’è più nulla da fare (conseguenza di quanto poco si è fatto). Situazione irreversibile. Ma non fare nulla perché non si vuole più fare nulla. Un riequilibrio non più necessario né desiderato. Questa la svolta che rivela l’arroganza di Veneto e compagni. Chi lo dice che debba esserci questa giustizia fra territori? Lo dice la Costituzione. Ma è quella stessa Costituzione dalla quale la parola è già stata cancellata con la riforma federale che nel 2001 il centrosinistra s’inventò all’ultimo minuto per togliere voti alla Lega Nord. Una genialata. Parola mai più reinserita. Cosicché per la legge fondamentale del Paese il Mezzogiorno non esiste se non perché si continua a parlare di solidarietà nazionale.
Il risultato sarà non solo un‘Italia divisa in prima Italia e seconda Italia. Ma un’Italia in cui tre regioni (per ora) diventano autonome per diritti di ricchezza trattenendo per sé le tasse da versare allo Stato e sottraendole agli altri. Una secessione furba senza andarsene visto i cotanti privilegi nel restare. Tre nuovi Stati nello Stato. Nel quale ci sono già cinque regioni a statuto speciale. 
Alla faccia della già presunta unità.

Anche se il Sud non dicesse andiamocene pure noi, separiamoci visto che ci hanno separato loro, è come se ne fosse già stato escluso. Un Sud in cui mandare a svernare i pensionati se vogliono uno sconto sulle tasse. Un Sud in cui andare una settimana in vacanza e nient’altro. Un Sud cui continuare a vendere i propri prodotti. Un Sud i cui depositi in banca siano spesi soprattutto al Nord. Un Sud i cui ragazzi emigrerebbero sempre più. Un Sud cui riservare il contentino del reddito di cittadinanza e li teniamo buoni. Ma soprattutto un Sud verso il quale non avere più la rottura di scatole di dover fare qualcosa. Tipo vergognarsi di una spesa pubblica che, contrariamente a quanto si dice, è ancòra oggi di 14.988 euro l’anno per ogni cittadino del Centro Nord e di 12.033 per ogni meridionale. Un Sud che, contrariamente a quanto si dice, paga in media il 34,1 per cento di tasse rispetto al 31,2 per cento del Veneto. E un Sud in cui nei primi quindici anni del 2000 le Ferrovie dello Stato hanno speso 14 miliardi contro i 44 al Nord e i 24 al Centro.

Ma se, alla Machiavelli, si trasformasse una situazione di difficoltà in opportunità? Sorprende la reazione del Sud dopo il primo momento di inerzia. Il referendum in Campania per creare la macroregione meridionale. La bocciatura dell’autonomia alla veneta da parte (finalmente) degli industriali, e non solo meridionali. La bocciatura dei vescovi. La bocciatura dei sindacati. La resistenza dei Cinque Stelle. La contromossa aleggiante di un vertice di tutte le regioni, aspiranti secessioniste comprese. Non per piangere o chiedere clemenza, ma per pretendere la perequazione delle infrastrutture prevista dal federalismo. 
E la fissazione del minimo al di sotto del quale nessun servizio potrà permanere al Sud.
Dopo di che, non è detto che una maggiore autonomia non la possano chiedere anche le Regioni del Sud. Ricordando, a chi ironizzasse sul livello dei dirigenti meridionali, che a essere condannati e rimossi dalla giustizia sono stati i signori Formigoni e Galan. 
Governatori, ma guarda, di Lombardia e Veneto.


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Una Sinistra Sempre Divisa

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«Allo stato credo che sia molto difficile che ci possa essere una lista con noi alle europee»: il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, ieri ha ufficializzato le perplessità sulla partecipazione del suo movimento alle elezioni di maggio. «Ho detto che se si fossero sciolti tutta una serie di nodi, se si fosse prodotto un processo entusiasmante – il ragionamento – allora avrei potuto prendere in considerazione non solo la lista ma anche di candidarmi. Il tempo si sta consumando, sono concentrato nel fare il sindaco di Napoli e non mi sembra che attualmente ci siano le condizioni per fare tutto questo». Si è spinto fino a pesare una eventuale lista unitaria a sinistra del Pd al 10 per cento. Ma le possibilità che nasca sembrano poche.

AL TAVOLO DELLE TRATTATIVE sono sedute da mesi molte anime difficilmente conciliabili. Diem25 e Potere al popolo sono arrivati subito in rotta di collisione sul tema Europa, con il movimento di Yanis Varoufakis intenzionato a una riforma dell’Unione europea dall’interno e Pap schierata con la francese France Insoumise su una richiesta di rottura dei Trattati. Il sindaco non vorrebbe perdere Pap per portare in campagna elettorale uno degli elementi che ha caratterizzato la sue esperienza amministrativa, il rapporto con i movimenti.

Ma dall’altro lato la presenza di Potere al Popolo ha scatenato la reazione non solo di Diem25 ma anche di Possibile (che ha l’eurodeputata Elly Schlein), de L’Altra Europa con Tsipras e di Sinistra italiana, tutti contrari a entrare in un contenitore che potrebbe essere etichettato come sovranista di sinistra.

IERI PAP HA SPIEGATO: «Nel giro di due settimane prenderemo una decisione definitiva sulla possibilità di un’alleanza con la coalizione guidata da de Magistris per le europee. Il Coordinamento nazionale ha ritenuto i risultati ottenuti un avanzamento, ci sono ancora elementi di criticità da chiarire», la deadline fissata al 4 marzo. Da Sinistra italiana bocche cucite ma qualche dirigente si fa sfuggire «imbarazzo per le dichiarazioni del sindaco di Napoli sul referendum autonomista e la criptomoneta partenopea» ribadendo l’incompatibilità con Pap. Resta la porta aperta con le altre componenti. Si guarda anche ai Verdi e al movimento del sindaco di Parma, Federico Pizzarotti. Le uniche preclusioni (oltre che su Pap) sono per il Pd e +Europa.

L’AGO DELLA BILANCIA è Rifondazione comunista: il Prc, infatti, porta in dote il simbolo del Gue che consente di non dover raccogliere le firme per partecipare alle europee. Il mandato ricevuto dal segretario Maurizio Acerbo era discutere un’alleanza da Diem25 a Pap, ora che lo scenario sembra essere cambiato sarà necessario un nuovo passaggio assembleare. Le geometrie, quindi, restano molto fluide. Con de Magistris che potrebbe chiamarsi fuori dalla contesa europea anche perché sta lavorando al suo nuovo movimento. Il simbolo è stato già depositato, un contenitore più ampio dell’attuale Dema con cui potrebbe scendere in campo per le politiche, adesso che la crisi di governo sembra più vicina: «Va avanti il lavoro sul progetto politico – ha spiegato ieri – che può essere la prima linea dell’alternativa a questo sistema».

SE IL PRC è depositario del simbolo del Gue anche i Verdi possono spendere il loro: «Faccio il tifo perché Leu faccia parte del progetto di Italia in Comune (il movimento di Pizzarotti ndr) e Verdi per le europee. Ci sto lavorando», ha spiegato ieri Rossella Muroni, deputata di Liberi e Uguali. Una lista rosso-verde in cui, si dice, Pizzarotti vorrebbe portare anche +Europa ma questo scontenterebbe Si. E invece starebbero a perfetto agio sia Possibile che Diem 25.

QUANTO A LEU, va segnalato però che lo scorso week end Roberto Speranza, coordinatore di Art. 1- Mdp, ha rilanciato l’idea di una lista «unitaria democratica, socialista, ambientalista, del lavoro» che guarda a «tutte le forze del campo progressista e democratico» quindi anche, 
se non soprattutto, al Pd.
E così le tessere del puzzle restano tutte sul tavolo. E per ora la soluzione non c’è.

da il manifesto



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venerdì 22 febbraio 2019

Formigoni condannato a 5 anni e 10 mesi, andrà in carcere


Formigoni condannato a 5 anni e 10 mesi, andrà in carcere


Condanna definitiva a 5 anni e 10 mesi per l'ex presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, accusato di corruzione nell'ambito della vicenda dei presunti fondi neri della fondazione Maugeri. Lo ha deciso la Cassazione, dopo oltre 4 ore di camera di consiglio. Ora la decisione della Suprema Corte sarà trasmessa alla procura generale di Milano per l'esecuzione della pena: 
Formigoni dovrà andare in carcere. 
La condanna definitiva per Formigoni è più bassa rispetto a quella inflittagli in appello - 7 anni e 6 mesi - perché è stato dichiarato prescritto il capo di imputazione 
di corruzione relativo al crac del San Raffaele.
La Suprema Corte ha rigettato anche i ricorsi dell'ex direttore amministrativo della Maugeri, Costantino Passerino (condannato in appello a 7 anni e 7 mesi), dell'imprenditore Carlo Farina (3 anni e 4 mesi) ed ha dichiarato inammissibile quello di Carla Vites, moglie dell'ex assessore Antonio Simone, che chiedeva di essere prosciolta con una formula più favorevole rispetto a quella pronunciata nei gradi di merito.
I giudici della sesta sezione penale hanno quindi sostanzialmente confermato la sentenza che la Corte d'appello di Milano aveva emesso nello scorso settembre - con la quale per Formigoni era anche stata prevista la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici - e, al di là della dichiarazione di intervenuta prescrizione del reato sul crac del San Raffaele, hanno condiviso le conclusioni che il pg Luigi Birritteri aveva esposto nella sua requisitoria.

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Riuscirà il Carcere ad abbassare la Boria
ed il Carattere di suprema Idiozia 
del (Celestino Gay) Formigoni ?

Questo signore è colui che ha volutamente creato le liste di attesa nella sanità lombarda per favorire quella privata che l'ha pagato molto ma molto per il favore. Ha spostato milioni di euri (soldi pubblici) verso la sanità privata creando un ingorgo in quella pubblica. Le liste di attesa hanno ucciso decine e decine di persone che, non avendo soldi sono morte. Oggi, si aspettano mesi per una TAC o per una banale visita dermatologica. Il suo concetto di Sanità, si basava sulle mazzette che regolarmente riceveva dai vari ospedali privati (falliti) e che lui convenzionava con il sistema sanitario nazionale, (vedi San Raffaele e Maugeri). Questo è un criminale. E' stato votato da tutto il centrodestra per due mandati. Salvini sapeva chi era e dopo di lui è arrivato Maroni che ha continuato con lo stesso metodo. Gli ospedali lombardi sono al collasso grazie al suo concetto di "eccellenza". per ricchi. Avrebbero dovuto dargli l'ergastolo. Dei 5 anni e 10 mesi ne sconterà solo uno. E' italiano, cattolicissimo ma molto propenso al guadagno facile e se qualche italiano (proveniente da Messina) ha speso tutti suoi soldi per il viaggio della speranza e poi è morto...chi se ne frega. IN TUTTO QUESTO SISTEMA LOMBARDO DI CORRUZIONE, devo ringraziare tutto il personale medico e paramedico per la loro professionalità. Fortunatamente, molti, non si sono piegati al suo metodo mafioso e hanno infranto regole disumane salvando molte vite.


Formigoni dovrà andare in carcere


Nell’epoca che fu, lungo il corridoio che dall’atrio conduce all’ufficio al trentacinquesimo piano di Palazzo Lombardia dell’allora governatore Roberto Formigoni, si snoda la scritta: «La politica è azione per il bene comune». E la politica, durante i 18 anni di governo formigoniano coincide soprattutto con la Sanità che muove 18,5 miliardi (ossia l’85% del budget regionale)...
https://cipiri5.blogspot.com/2020/03/il-sistema-formigoni-tra-eccellenza-e.html




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martedì 19 febbraio 2019

Vince No al processo per Salvini con 59%


Diciotti, voto online:   vince no al processo per Salvini con 59% preferenze.


Diciotti, voto online: 
vince no al processo per Salvini con 59% preferenze.
 Di Maio: “Valutato l’interesse pubblico”

La maggioranza degli utenti (30.948 utenti) ha scelto di concedere l'immunità al ministro dell'Interno. Mentre 21.469 (40,95%) hanno detto di essere contrari. Il vicepremier ha letto l'esito mentre era in corso l'assemblea congiunta dei parlamentari. Il leader del Carroccio: "Grazie per la fiducia, ma non è che sono qui a stappare spumante o sarei depresso se avessero votato al contrario". Il voto segna una svolta per i 5 stelle. Appendino: "Ora rispettare l'esito"

Gli iscritti del Movimento 5 stelle hanno scelto di salvare Matteo Salvini dal processo sul caso Diciotti. In favore dell’immunità per il ministro dell’Interno si sono espressi 30.948 utenti (59,05%), mentre 21.469 (40,95%) hanno detto di essere contrari. Il capo politico e vicepremier Luigi Di Maio ha letto il risultato mentre era in corso un’assemblea congiunta con tutti i parlamentari: “I nostri iscritti hanno valutato che c’era un’interesse pubblico nella vicenda”, ha scritto poi su Facebook, “e che era necessario ricordare all’Europa che c’è un principio di solidarietà da rispettare”. E’ questo, nel bene o nel male, un momento di svolta per i grillini: ora la parola spetta all giunta per le Immunità che si riunirà il 19 alle 13.30, ma intanto il M5s e la sua base hanno scelto di salvare il governo. Il leader del Carroccio ha risposto poco dopo: “Ringrazio i 5 stelle per la fiducia”, ha esordito, “ma non è che sono qui a stappare spumante o sarei depresso se avessero votato al contrario. Sarei stato disponibile ad affrontare anche qualsiasi altro voto, non ho problemi. Se uno ha la coscienza a posto come ce l’ho io non vive con l’ansia”. Non è mai stato così facile come lo dipinge Salvini: la preoccupazione dentro il governo era e resta tanta. Il dibattito divide e lacera i 5 stelle da settimane: da una parte si tocca uno dei capisaldi del Movimento, ovvero la politica che difende se stessa dai processi, dall’altra c’è in ballo l’alleanza di governo con la Lega e un’azione, quella sulla Diciotti, che dall’inizio dicono di aver condiviso.  E non è ancora finito: “Presto ci saranno votazioni anche sulla nuova organizzazione del Movimento 5 stelle“, ha scritto sempre Di Maio anticipando le consultazioni online per dare una struttura permanente (locale e nazionale) al M5s. Una decisione che è stata anticipata dopo la sconfitta alle Regionali in Abruzzo.

Diciotti, voto online:   vince no al processo per Salvini con 59% preferenze.


Luigi Di Maio
10 ore fa
Grazie a tutti i 52.417 iscritti che oggi hanno partecipato alla votazione online su Rousseau.
Far votare i cittadini fa parte del nostro DNA, lo abbiamo sempre fatto come accaduto per il contratto di Governo, per la scelta dei nostri parlamentari o per i programmi. L’altissimo numero di votanti dimostra anche questa volta che Rousseau funziona e si conferma il nostro strumento di partecipazione diretta.
Con questo risultato i nostri iscritti hanno valutato che c'era un interesse pubblico nella vicenda Diciotti e che era necessario ricordare all’Europa che c’è un principio di solidarietà da rispettare.
Sono orgoglioso di far parte dell’unica forza politica che interpella i propri iscritti, chiamandoli ad esprimersi. Presto ci saranno votazioni anche sulla nuova organizzazione del MoVimento 5 Stelle.


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La consultazione online era decisiva per le sorti del governo. Matteo Salvini per tutto il giorno ha detto che nulla sarebbe cambiato, ma al tempo stesso il leghista Giancarlo Giorgetti aveva lanciato un avvertimento dicendo di essere convinto che “il M5s non avrebbe sfiduciato il suo esecutivo”. Parole significative e che hanno trovato l’appoggio della linea governista dentro il M5s, sia tra i parlamentari che nella base.

Resta da vedere quali contraccolpi ci saranno dentro il Movimento. Durante l’assemblea, secondo le ricostruzione, si è espressa la senatrice Paola Taverna: “Se non concordi con le scelte del Movimento te ne devi andare”, è stato il suo ragionamento nel corso dell’assemblea congiunta. Su Twitter ha invece parlato la sindaca Chiara Appendino che, in mattinata al Fatto aveva detto di essere a favore del processo: “Gli iscritti a Rousseau si sono espressi su un quesito molto delicato. L’esito è noto ed ora, come in ogni organizzazione che si dà delle regole per decidere, quest’esito va rispettato. La mia fiducia nel governo rimane massima. Ora di nuovo tutti al lavoro per la nostra comunità”. Per le senatrici dissidenti Elena Fattori e Paola Nugnes il risultato è chiaro: “Il Movimento è spaccato”, ha detto la prima. Mentre la seconda: “Almeno c’è un 40 per cento che resiste”.

Il voto si è svolto sulla piattaforma Rousseau, il sistema per la partecipazione diretta del M5s, e non sono mancate le polemiche su ritardi, difficoltà a far registrare le preferenze e assenza di un controllore terzo per certificare l’imparzialità della consultazione. La chiusura delle urne virtuali è slittata due volte: prima alle 20 per “motivi tecnici”, poi alle 21.30 per “grande affluenza”. Al momento dell’annuncio dei risultati, sul Blog delle Stelle si è sottolineato il fatto che mai prima d’ora avevano votato tante persone in una consultazione di una sola giornata: “Hanno votato 52.417 iscritti“, hanno scritto sul post. “La votazione odierna entra nella storia di Rousseau per essere stata quella con il maggior numero di votanti di sempre in una singola giornata. Un record. E ciò conferma l’importanza dei principi di democrazia diretta all’interno del MoVimento 5 Stelle. Fino a oggi il primo gradino del podio era occupato dal voto sulle Quirinarie del gennaio 2015, quando votarono 51.677 iscritti”. A dicembre scorso, l’associazione Rousseau aveva comunicato ufficialmente di aver superato quota 100mila iscritti. Questo significa che ha partecipato circa la metà degli aventi diritto.

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È dal giuramento al Quirinale che Salvini sale e Di Maio crolla.
Ma più la Lega vola, 
più i Cinque Stelle recitano la parte dell’alleato fedele e servile. 
Il caso Diciotti è solo l’ultima di una lunga serie. 
Le prossime elezioni, amministrative ed europee, sarà la botta finale...


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lunedì 18 febbraio 2019

La Lega sta uccidendo il Movimento Cinque Stelle

La Lega sta uccidendo il Movimento Cinque Stelle


È dal giuramento al Quirinale che Salvini sale e Di Maio crolla. Ma più la Lega vola, più i Cinque Stelle recitano la parte dell’alleato fedele e servile. Il caso Diciotti è solo l’ultima di una lunga serie. Le prossime elezioni, amministrative ed europee, sarà la botta finale.


D’accordo, i sondaggi lasciano il tempo che trovano. Ma quelli degli ultimi giorni raccontano di un Movimento Cinque Stelle sceso sotto la soglia psicologica del 25%, sempre più vicino alla debacle delle europee 2014, quando prese il 21% che al trionfale 32,6% dello scorso 4 marzo. Qualcuno, certo, potrebbe obiettare che va bene così, che è lo scotto che bisogna pagare quando si va al governo. Sarà, ma è uno scotto che stanno pagando solo Di Maio & co. Al 32,6% ora c’è la Lega, infatti, che dal 4 marzo a oggi ha raddoppiato il suo consenso, già allora al massimo storico. Nei fatti, un vero e proprio travaso.

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E allora, forse, a distanza di otto mesi dal giuramento al Quirinale bisognerebbe dirlo che l’alleanza gialloverde è stata un ottimo affare per i verdi (o blu che dir si voglia) della Lega e un pessimo affare per le cinque stelle gialle. Sono i numeri a raccontarlo, ma i fatti lo confermano in modo abbastanza clamoroso. L’affare Diciotti, con i pentastellati alla Di Battista costretti ad andare da Vespa per spiegare con circonlocuzioni verbali che in confronto le convergenze parallele erano acqua fresca che loro voterebbero sempre per le autorizzazioni a procedere, ma processare Salvini non è giusto perché la decisione di tenere in ostaggio 137 migranti, minori compresi, è stata presa da tutto il governo. Immolati due volte, in pratica. Sull’altare del giustizialismo tradito e su quello delle responsabilità morali.

Fosse solo la prima volta. Salvini cerca di imporre Paolo Savona al ministero dell’economia, ma ad alzare il volume dello scontro istituzionale con Mattarella, chiedendone l’impeachment, è il fedele alleato Luigi Di Maio. Salvini fa il bullo con l’Unione Europea, e tocca al mite (e pentastellato) Conte ricucire con mille scuse, e mediare sui numeri della legge di bilancio. Salvini forza la mano sulla Tav, e i Cinque Stelle si limitano a prenderne atto, nonostante il contratto di governo dica chiaramente che l’opera si farà solo sulla base di una nuova analisi di costi e benefici. Più in generale: a Salvini tocca sempre la parte che porta voti, a Cinque Stelle quella di chi deve rintuzzare, abbozzare, ricucire. Sempre e comunque a rimorchio.

Se non i sondaggi, forse saranno i voti veri a svegliare i Cinque Stelle dal letargo. Quelli delle elezioni europee, ad esempio, che si annunciano catastrofiche per il Movimento. Ma anche quelli delle amministrative sarde e abruzzesi, dove i Cinque Stelle tracheggiano tra il secondo e il terzo posto, mentre la Lega va a comandare

La cosa buffa è che i numeri in parlamento sono tutti dalla parte dei Cinque Stelle. E pure l’arma del ricatto è nelle mani dei (fu) grillini, a ben vedere, visto che maggioranze alternative di centrodestra non hanno i numeri, mentre un’alleanza tra il Movimento e il Pd li avrebbe eccome, in teoria. Non vuoi fare ribaltoni? Almeno usali come arma negoziale, flirta un po’, prendi le distanze. Niente da fare. Fedeli come cagnolini, i Cinque Stelle non cercano nemmeno l’incidente diplomatico per provare a rimettere in equilibrio l’alleanza. Al contrario, incuranti dell’emorragia di consenso, rivendicano pure la bontà dell’alleanza: l’ha fatto Di Battista durante lo show di presentazione del reddito di cittadinanza, l’ha ribadito ieri a Porta a Porta, dando al Pd e ai poteri forti la colpa dell’ipertrofia di Salvini, come se non dovessero essere loro a tenerlo a bada.

Se non i sondaggi, forse saranno i voti veri a svegliare i Cinque Stelle dal letargo. Quelli delle elezioni europee, ad esempio, che si annunciano catastrofiche per il Movimento, come del resto ha confermato Giuseppe Conte stesso in un fuorionda rubato a Davos. Ma anche quelli delle amministrative sarde e abruzzesi, dove i Cinque Stelle tracheggiano tra il secondo e il terzo posto, mentre la Lega va a comandare, e persino il Pd dà timidi segnali di vita. E ancora, quelli delle prossime amministrative, dove lo schema si ripeterà uguale: il centrodestra andrà al ballottaggio col Pd. E i Cinque Stelle arriveranno in soccorso del caro Capitano - e del suo alleato Berlusconi, pure - al secondo turno. Per poi sentirsi dire che il centrodestra domina ovunque e dovrebbe governare pure a Roma. Sindrome di Stoccolma, la chiamano gli psicologi. Forse catastrofe è più azzeccato.




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