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sabato 2 febbraio 2019

SALVINI, Indossa le Divise per Coprire i suoi Fallimenti

SALVINI DENUNCIATO PER LE DIVISE DI POLIZIA INDOSSATE


SALVINI DENUNCIATO 
PER LE DIVISE DI POLIZIA INDOSSATE 
IN VIOLAZIONE DELL’ART 498 DEL CODICE PENALE!

IN SARDEGNA STAVOLTA SI E’ FREGATO DA SOLO, ESIBENDO I GRADI DI CAPITANO!

“Con il suo ingresso in divisa alla Camera dei Deputati, Matteo Salvini ha letteralmente profanato le istituzioni”. Andrea Maestri, avvocato penalista e membro della segreteria di nazionale di Possibile, avverte il ministro dell’Interno.
C’è un luogo, infatti in cui nessun corpo armato può entrare: è il Parlamento. “Per questo siamo pronti a presentare una denuncia. I regolamenti di Camera e Senato vietano l’ingresso proprio per preservare le più alte sedi istituzionali e la libera espressione della vita democratica al loro interno” dichiara Andrea Maestri, tornando sul caso della divisa indossata 
dal ministro dell’Interno a Montecitorio.
“In uno Stato di diritto i rappresentanti delle istituzioni” aggiunge Maestri “dovrebbero essere i primi a rispettare le leggi, se non lo fanno ed ostentano con sfrontatezza da Marchese del Grillo, bisogna denunciarli perché rispondano, davanti alla legge appunto, delle loro azioni. 
E noi ci accingiamo a denunciarlo”.
Una denuncia che, stavolta, potrebbe costare cara a Matteo Salvini.
Se in passato le divise indossate potevano essere giustificate dall’azione politica e dalla palese “non usurpazione” dei titoli di agente di pubblica sicurezza, stavolta entrando alla Camera “travisato” da poliziotto avrebbe varcato i limiti della legge.
Ma non è solo la divisa da poliziotto ad aver tenuto banco, 
nelle ultime ore, tra gli scranni di Montecitorio.
In Parlamento è finito anche il caso della divisa dei barracelli indossata da Matteo Salvini durante il comizio del 16 gennaio scorso ad Alghero.
Il Partito democratico ha infatti presentato un’interrogazione al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, per chiedere “quali misure intenda adottare per porre fine alle condotte del ministro dell’Interno, che appaiono illegittime, oltre che inopportune”.
Nel caso di Alghero, infatti, Salvini non si è limitato a indossare la divisa dei barracelli ma, sul palco della città sarda, il ministro ha “addirittura” esibito i gradi (come si vede dalla foto), addirittura quelli di capitano, “della Compagnia barracellare della Regione autonoma della Sardegna”.
“Un comportamento in palese violazione del diritto”, si legge nell’interrogazione che ha come prime firmatarie la senatrice Nadia Ginetti e la collega Monica Cirinnà, in quanto “la divisa e ogni altro segno distintivo di forza di pubblica sicurezza hanno la funzione di rendere immediatamente riconoscibile ai cittadini il soggetto titolare dei poteri, anche coercitivi, 
che la legge attribuisce alle medesime forze.
Tra gli articoli del codice penale che il ministro avrebbe violato spicca il numero 498, che “individua – nel titolo dedicato i delitti contro la pubblica fede – la fattispecie contravvenzionale di usurpazione di titoli e onori”.

(da “TPI“)

INDOSSA LE DIVISE PER COPRIRE I SUOI FALLIMENTI


TRAVAGLIO: “SALVINI, SOTTO IL GIUBBOTTO NIENTE: 
INDOSSA LE DIVISE PER COPRIRE I SUOI FALLIMENTI”

“ANNI DI PROMESSE NON MANTENUTE E CHE NON INTENDE MANTENERE”

Marco Travaglio torna a parlare delle percezioni e delle reazioni per Matteo Salvini in divisa
Per il direttore del Fatto non si tratta di una prova di forza, ma di debolezza
Giacche, giubotti e felpe servono per coprire anni di promesse mai mantenute, 
e che non vogliono essere mantenute
Una divisa per unire e nascondere il poco o nulla fatto nei primi sette mesi di governo. È questa la sintesi del Travaglio pensiero su Il Fatto Quotidiano di venerdì 1 febbraio.
Nel suo editoriale dal titolo «Sotto il giubbotto niente», il direttore torna a parlare dell’episodio che ha visto Matteo Salvini passeggiare nel Transatlantico di Montecitorio 
con una giacca della polizia di Stato.
Un gesto che ha fatto inalberare le opposizioni e creato un precedente mai avvenuto finora.
Ma quell’atteggiamento, sicuramente provocatorio, è sintomo di una grave insicurezza. «È stato l’ennesimo attestato di debolezza, tipico della sua concezione carnevalesca della funzione ministeriale – scrive Travaglio -. Siccome Salvini non riesce a fare quasi nulla di ciò che aveva promesso agli elettori, cioè non sa governare e neppure ci prova, getta fumo, annunci, proclami, dirette Facebook, felpe, ruspe e uniformi negli occhi di chi ci casca».
Ma le opposizioni, come spesso capita, hanno sbagliato l’approccio critico contro Salvini in divisa, gettando l’attenzione sull’aspetto sbagliato e non
 sull’inconsistenza politica (e fattiva) del ministro dell’Interno.
«Il Pd e la sinistra hanno subito abboccato all’amo, strillando all’attacco alle istituzioni, cioè spacciando quella visione tragicomica per una prova di forza». Reazioni che tendono a fortificare ancora di più il ‘fascino’ elettorale del leghista sul popolo italiano.
I cittadini, infatti, vedono nel Salvini in divisa un loro salvatore, soprattutto per quello che dice dato che quello che fa e promette non sta avendo i riverberi aspettati.
«La sicurezza richiede faticosi compromessi, noiose scelte politiche e un quotidiano lavoro diplomatico lontano dai riflettori – sottolinea Marco Travaglio -. Ma questa, volgarmente detta ‘amministrazione’, non fa per lui. Così come la sicurezza a cui preferisce la ‘rassicurazione’. Anche perché, se risolvesse almeno qualcun dei problemi legati all’immigrazione e alla sicurezza (che solo in parte coincidono), poi di cosa parlerebbe?».
Nel suo editoriale, il direttore del Fatto sottolinea come le promesse dei 600mila rimpatri sono ancora lontane dall’essere mantenute, ma la percezione che Salvini dà di sé fa svanire questo dato, che è quasi fermo a zero. E se le previsioni parlavano di almeno 80 anni per completare quel proclama elettorale, ora si è passati a quasi cento anni.


POLIZIOTTI CONTRO SALVINI:   “CI HA TRADITO”!


POLIZIOTTI CONTRO SALVINI:
 “CI HA TRADITO”!

CAOS SULLE ASSUNZIONI DOPO LA LEGGE DELLA LEGA, CAMBIATI I REQUISITI IN CORSA, CENTINAIA DI RICORSI, SUL WEB COMMENTI DI RABBIA E DELUSIONE, MANIFESTAZIONE A ROMA!

“Più sicurezza per tutti. Più agenti per le nostre città!”. Nel caso della Polizia di Stato, il cavallo di battaglia della Lega di Matteo Salvini ha prodotto un clamoroso pasticcio, 
e per mezzo della sua stessa mano.
Un guaio per una serie di aspiranti agenti che nel giro di una manciata di giorni hanno visto sbiadire la graduatoria in cui erano inseriti legittimamente da due anni, 
insieme a ogni speranza di vestire la divisa.
Un cortocircuito che nessuno, tra parlamento e governo, è riuscito a risolvere e prelude a un’ondata di ricorsi da parte degli esclusi.
Molti sfileranno il prossimo 5 febbraio davanti a Montecitorio contro chi li ha “traditi”, compreso il “Capitano” cui avevano rivolto appelli pubblici e privati. 
La storia parte da lontano, e precipita in una manciata di giorni.
Due anni fa, il 18 maggio del 2017, la Polizia di Stato ha bandito un “concorso per 1.148 allievi agenti” per sopperire alla carenza di organico.
La prova scritta ha portato a una prima graduatoria tra gli oltre 40mila che si erano presentati. Una volta avviato lo scorrimento, sarebbe rimasta valida per tre anni, fino ad ottobre del 2020.
I requisiti erano quelli di sempre: età inferiore ai 30 anni e licenza media.
Ed è con questi che i primi 3.422 candidati sono già stati valutati per l’ammissione alla scuola allievi e dunque per l’immissione in ruolo. Mancano le prove fisiche di idoneità. L’amministrazione della Polizia ha finalmente avuto i fondi e il benestare alle assunzioni da parte del governo ma nel frattempo è successo qualcosa: dieci giorni dopo il bando, il 29 maggio 2017, era stata approvata la legge sul riordino delle carriere che ha introdotto requisiti assunzionali di età non superiore ai 25 anni e il possesso del diploma d’istruzione secondaria superiore.
Il combinato disposto delle due circostanze, ha creato una zona grigia per i partecipanti al concorso in graduatoria ormai più di 700 giorni.
Il caso emerge con il ddl semplificazioni. In Commissione Affari Costituzionali e Lavoro al Senato arriva un emendamento a firma di sei senatori leghisti (Augussori, Saponara, Campari, Faggi, Pepe, Pergreffi) che impegna la Polizia a dar seguito a quella graduatoria 
anziché indire nuovi concorsi per il reclutamento di 1.851 futuri allievi.
Nel testo precisa però che dovrà tenere conto dei requisiti sopraggiunti in fatto di anzianità e titolo di studio, lasciando così all’amministrazione la sola via dell’epurazione della graduatoria già formata, con espulsione di tutti i candidati di età compresa tra i 26 e 30 anni e senza diploma superiore, con scorrimento in favore di chi ha avuto punteggi inferiori (ma è allineato ai “nuovi” requisiti).
Per molti, ovviamente, quel testo che riaccendeva la speranza 
è diventato motivo di rabbia e disperazione.
Probabilmente l’antipasto a una raffica di ricorsi. In Parlamento è stato oggetto di polemica. Matteo Richetti del Pd ha twittato: “Il governo fa perdere i requisiti ai ragazzi del concorso in Polizia”.
E in aula rincara la dose. I leghisti replicano dicendo che la legge sul riordino è del Pd. L’emendamento sarà sospeso, bocciato poi riformulato e infine approvato al Senato e alla Camera difficile che ci siano margini di modifica: il ddl non tornerà in Senato per questa modifica. 
Si capisce dunque lo sconcerto degli interessati.
I post sul sito mininterno.net sui concorsi in Polizia sono arrivati ovviamente commenti densi di rabbia e delusione. “Vengo escluso perché ho l’età giusta indicata dal bando, ma troppo elevata per la selezione che interviene ora, in corso d’opera. Minimo della vita faccio ricorso”, scrive un candidato. Qualcuno lancia l’idea di una manifestazione contro l’emendamento “discriminatorio”.
“Io ho un attestato di qualifica professionale di commis di cucina. livello di qualificazione 1 livello”. C’è chi non si dà per vinto: “Mettiamoci i gilet gialli, è ora di reagire”.
Alcuni non nascondono la propria delusione verso i leghisti nei quali avevano riposto le migliori speranze. “Da Matteo Salvini, il nostro capo e leader. Non me lo sarei mai aspettato”, recita un messaggio inviato al capo del Viminale.
E un altro raggiunge la bacheca facebook di Gianluigi Paragone, senatore del M5s: “Ero uno dei 40mila ragazzi che da due anni attendeva di sostenere la prova di efficienza fisica. Sarei stato anche tra i primi blocchi avendo totalizzato 9.5/10 al test. Però ho 26 anni e mi devo sentire già vecchio dopo aver sprecato soldi e tempo per la preparazione. So che non ve ne frega più di tanto, ma volevo raccontarvi questa storia piena di delusione”.
I sindacati sollevano dubbi di incostituzionalità. “Abbiamo chiesto con fermezza il pieno rispetto delle disposizioni del bando di concorso” spiega Innocente Carbone del Siulp, “senza quindi che i requisiti richiesti ai partecipanti siano allineati alle più restrittive disposizioni introdotte con il dl 95/2017. Se non c’è un intervento su questo è chiaro che si percorreranno tutte le strade per tutelare chi da due anni attende in una graduatoria valida e ufficiale. Non si possono modificare i requisiti a bando aperto. È illegittimo e incostituzionale”.
Il caso ovviamente è all’attenzione dei piani alti della Polizia. Nella fase concitata di discussione al Senato, era stato oggetto di confronto tra sindacati e il vicecapo preposto all’attività di coordinamento e pianificazione delle Forze di polizia, la prefetta Alessandra Guidi. 
Anche l’amministrazione, del resto, si ritrova in difficoltà.
Se indicesse un altro bando con i nuovi requisiti di legge lo farebbe a scapito di tutta la graduatoria, andando incontro a una marea di ricorsi per veder affermato il principio “tempus regit actum”: l’atto è soggetto alla disciplina vigente al momento in cui viene compiuto, 
sebbene successiva all’introduzione del giudizio.
Lo stesso potrebbe avvenire se decidesse di utilizzare quella esistente, ma epurata. Per questo, forse, il prefetto Guidi non ha risposto alla richiesta del fatto.it sulle intenzioni: attende che il Parlamento trovi una via d’uscita onorevole. Che non si vede.

(da “il Fatto Quotidiano”)




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