Gallerie che possono crollare. Cemento che non tiene. Buchi nell’amianto. Un ingegnere che per più di vent’anni ha occupato una posizione strategica nella mappa delle infrastrutture nazionali rivela le tangenti che diventano un pericolo per il territorio e le persone.
Così la corruzione uccide
DI PAOLO BIONDANI E GIOVANNI TIZIAN
Perché le grandi opere costano sempre molti miliardi in più del dovuto? Come mai in Italia sono così frequenti crolli di viadotti, cedimenti di gallerie e altri disastri? Perché la Tav e gli altri mega-appalti ferroviari e autostradali sono al centro di continue retate per corruzione? A rispondere a queste domande, per la prima volta, è un super-tecnico interno al sistema: un ingegnere che per più di vent’anni ha occupato una posizione strategica nella mappa delle infrastrutture nazionali. Il primo pentito delle grandi opere.
Giampiero De Michelis, nato in Abruzzo 54 anni fa, ha guidato i lavori dell’Alta velocità, i cantieri infiniti dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria e molti altri appalti, sempre con ruoli cruciali di “direttore dei lavori”: il primo e decisivo controllore pubblico delle imprese private. In ottobre è finito nel carcere di Regina Coeli con la retata (31 arresti) che ha coinvolto anche manager di colossi come Salini-Impregilo e Condotte. In novembre De Michelis ha cominciato a vuotare il sacco con i magistrati di Roma e Genova. Il suo è un racconto nero, che svela intrecci spericolati e dagli anni Novanta arriva ai nostri giorni, coinvolgendo ministri, grandi imprenditori, progettisti eccellenti, figli di politici e burocrati, funzionari di altissimo livello dello Stato.
L’inchiesta di carabinieri e guardia di finanza mostra anche costi e danni della corruzione, con risvolti drammatici: intercettato prima dell’arresto,
De Michelis parlava di «cemento troppo liquido: sembra colla».
“Deroga”: la parola magica
In carcere il pm genovese Paola Calleri gli contesta altre intercettazioni con parole pesantissime: «Sta venendo giù la galleria di Cravasco. E anche in quella di Campasso si sono arricciate le centine!». I magistrati, preoccupati, hanno chiesto una serie di perizie sui tre tunnel più importanti della nuova ferrovia Milano-Genova. Una prima consulenza è stata consegnata: gli esperti, per ora, escludono l’ipotesi di forniture tanto scadenti da provocare crolli. Le indagini sulla sicurezza però continuano e l’allarme resta altissimo.
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La mappa delle infrastrutture strategiche fotografata da Giampiero De Michelis, il primo pentito delle grandi opere che i magistrati stanno ascoltando nell'ambito di un'indagine sulla corruzione. Nei verbali descrive un sistema fondato sulla corruzione. A spartirsi la torta miliardaria professionisti, burocrati e politici.
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L’indagine è stata chiamata «Amalgama»: è la parola usata dagli stessi indagati, mentre erano intercettati dai carabinieri del nucleo investigativo di Roma, per descrivere l’evoluzione del malaffare. Nella vecchia Tangentopoli la corruzione era diretta: buste di soldi in cambio di appalti d’oro. Oggi c’è una corruzione strutturata su almeno tre livelli, più difficile da scoprire. Il fulcro è ancora il controllore pubblico che favorisce una cupola di imprese privilegiate, che ora lo ripagano indirettamente, dividendo la torta con altre società private, attraverso subappalti, consulenze o compartecipazioni in apparenza regolari. Il trucco è che dietro queste aziende c’è lo stesso pubblico ufficiale, che le controlla segretamente tramite soci occulti. Con questi giochi di sponda, le grandi imprese comprano il controllore-direttore dei lavori, che a quel punto non controlla più niente.
L’11 novembre 2016 De Michelis ammette di aver beneficiato di questo sistema corruttivo e confessa, in particolare, che era suo il 50 per cento della Oikodomos, un’azienda intestata a un socio-prestanome, l’imprenditore calabrese Domenico Gallo, a sua volta arrestato in ottobre, ma conosciuto vent’anni fa nei cantieri della Salerno-Reggio. Confermando l’accusa-base, l’ingegnere delle grandi opere spiega che il sistema esiste da decenni e non l’hanno certo inventato lui e Gallo: «È sempre stato così. Prima c’era la Spm di Stefano Perotti. Dopo gli arresti di Firenze il sistema è continuato con la Crono e la Sintel di Giandomenico Monorchio. E prima ancora c’era Lunardi».
Perotti è il progettista arrestato nel marzo 2015 con il potente direttore ministeriale Ercole Incalza. La Sintel è la società d’ingegneria dove lavorava De Michelis. Il suo titolare Giandomenico è il figlio di Andrea Monorchio, l’ex ragioniere generale dello Stato. L’ingegnere Pietro Lunardi è l’ex ministro del governo Berlusconi che nel 2002 ha varato la contestatissima legge-obiettivo per accelerare le grandi opere in deroga a tutte le regole.
Qui il pm Giuseppe Cascini, titolare del fascicolo romano dell’inchiesta, interrompe l’interrogatorio per avvertire l’indagato che, se accusa altri, diventa testimone e, se dichiara il falso, verrà incriminato. De Michelis se ne assume la responsabilità e giura di voler raccontare tutto dall’inizio.
I disastri del progettista-ministro
«La storia nasce ancora prima che Lunardi diventi ministro ( LEGA NORD ), quando progettava le gallerie per l’alta velocità Bologna-Firenze», esordisce De Michelis. «Lunardi era il progettista che doveva garantire certi ricavi alle imprese private. Da allora il sistema è rimasto sempre lo stesso: il progetto è fatto male in partenza, così poi si devono fare le modifiche, le varianti, che portano soldi in più alle imprese. Anche l’autostrada Salerno-Reggio Calabria è un progetto di Lunardi fatto malissimo. Le perizie di variante le faceva lo stesso Lunardi. C’era un accordo a un livello molto più alto del mio, che coinvolgeva i vertici del consorzio di imprese:
io l’ho saputo dal manager Longo di Impregilo».
I magistrati gli chiedono riscontri oggettivi. Il tecnico arrestato descrive un caso esemplare di progetto disastroso targato Lunardi. Si riferisce alla galleria Piale, a Villa San Giovanni, sulla Salerno-Reggio. De Michelis premette che per iniziare uno scavo del genere bisogna puntellare la montagna «con paratoie e micropali». Una muraglia fondamentale per impedire le frane, per cui dovrebbe essere studiata al millimetro. Ricorda invece De Michelis: «Il capo-cantiere mi chiama e mi dice: “Ingegnere, qui non c’è niente, che facciamo?”. Sono andato a vedere: il progetto di Lunardi prevedeva più di 30 metri di paratoie e micropali dove in realtà non c’era la montagna, c’era solo il vuoto». De Michelis non crede ai suoi occhi. Bisognerebbe fermare tutto e chiedere una variante: allo stesso Lunardi. Soluzione: «A quel punto ho tirato una riga dritta, siamo scesi con i micropali lì dove arrivava la montagna e siamo andati avanti».
De Michelis fa notare ai pm che il problema dei progetti variabili (e dei costi gonfiabili) è facilmente verificabile sulle carte: «Le varianti tecniche sono ammissibili solo per le gallerie. All’esterno le modifiche non dovrebbero esserci: se il progetto cambia, dovrebbero pagare le imprese private. Invece paga sempre la parte pubblica. Anche nel 2016, dopo le mie dimissioni dalla Sintel, hanno continuato imperterriti a fare varianti: me lo dicono i tecnici che sono ancora lì in cantiere».
Queste accuse colpiscono il cuore del sistema dei “general contractor”, inaugurato con l’avvio della Tav nel 1991 dall’amministratore delle Ferrovie Lorenzo Necci (morto dopo una condanna definitiva per corruzione) e poi perfezionato con la legge obiettivo di Lunardi ( LEGA NORD ). In sintesi, lo Stato delega tutto a un consorzio di imprese private, che gestiscono direttamente i soldi pubblici: in cambio, dovrebbero assumersi tutti i rischi, tecnici e finanziari, e consegnare l’opera finita, “chiavi in mano”, al prezzo prefissato. «In realtà non c’è mai un progetto chiavi in mano», sostiene De Michelis. «La legge prevede un’alta sorveglianza sui general contractor, che spetta all’Anas per le autostrade e all’Italferr-Rfi per la Tav, che dovrebbero controllare e approvare tutte le varianti che aumentano i costi. Ma tutta l’alta sorveglianza è finta. Per le mie opere Italferr non ha mai controllato niente».
Quando è stato arrestato, De Michelis era il direttore dei lavori degli ultimi “macro-lotti” dell’autostrada Salerno-Reggio e della nuova Tav Milano-Genova. I magistrati gli chiedono se conosca altre grandi opere inquinate dal malaffare. La risposta è istantanea: «Il Brennero. Per i tunnel ferroviari di Aica e Mules, Perotti ha vinto la gara per la progettazione, mi pare nel 2008, con una falsa certificazione firmata dal manager Z. ex dirigente Fiat. Questo perché, per l’alta velocità Emilia-Toscana, il general contractor era il gruppo Fiat. Impregilo è nata dalla fusione tra Fiat-Impresit, Girola e Lodigiani». Tre aziende travolte da Tangentopoli.
Il verbale integrale è discorsivo, De Michelis parla al presente storico: «Quindi l’ex manager Fiat gli fa questo certificato e lo manda a Impregilo. Io sapevo che la gara era finta: erano previsti certi requisiti che io come Sintel ero l’unico ad avere. Invece così vince Perotti, che ha dietro Incalza. Quindi Giandomenico Monorchio mi dice: “Adesso vado da Incalza con mio padre e vedo di ottenere qualcosa in cambio”. Infatti gli danno in cambio il progetto della Porto Empedocle in Sicilia, quello fatto dalla Cmc. Tolgono il lavoro a Perotti e lo danno a Sintel, senza gara, con affidamento diretto. E così Sintel non fa ricorso per i tunnel del Brennero».
La superstrada al centro del presunto baratto è un’opera strategica per la Sicilia: il raddoppio della Caltanissetta-Agrigento. Va ricordato che in questo come in altri casi più gravi, De Michelis parla di appalti pubblici gestiti dalle imprese private senza alcun vincolo, grazie a una «norma criminogena», come viene definita nelle ordinanze d’arresto: un articolo della legge-obiettivo ha autorizzato le aziende controllate a scegliersi il controllore-direttore dei lavori (e a pagargli legalmente un ricco compenso). Una norma-scandalo che ha trasformato le grandi opere in un festival dei conflitti d’interesse ed è stata abolita con il nuovo codice degli appalti sollecitato nel 2014 dall’autorità anti-corruzione. Proprio le scelte dei progettisti, controllori e subappaltatori permetterebbero ai privati, ieri come oggi, di agganciare i grandi protettori a livello di governo, che De Michelis definisce «santi in paradiso».
«Il sesto macro-lotto della Salerno-Reggio l’ha vinto la cordata Impregilo-Condotte, che è la stessa del Cociv, il consorzio dell’alta velocità Milano-Genova. Allora l’affare comprendeva tutto: general contractor e direzione lavori. A quella gara globale, gestita dall’Anas, ho partecipato io come persona fisica su richiesta di Impregilo. Però poi il contratto l’hanno fatto alla Sintel, che mi ha confermato, ma come dipendente. Bisognava dare la direzione lavori alla società del figlio di Monorchio perché il padre era al vertice di Infrastrutture spa, cioè era lui che decideva i finanziamenti pubblici, e poi è diventato anche presidente della commissione di collaudo. Quindi in pratica è Monorchio senior che impone il figlio. Lo stesso succedeva con la Spm: era Incalza che sbloccava i finanziamenti e di fatto imponeva Perotti. Monorchio padre e Incalza erano i santi in paradiso di Sintel e Spm». I pm gli chiedono come fa a saperlo. Risposta: «Me l’ha detto personalmente Monorchio figlio, titolare della Sintel». Anche dietro la Spm ci sarebbero storie di famiglia: «Il padre di Perotti aveva fatto lavorare Incalza, il rapporto è nato da lì».
Nelle sue lunghe confessioni, il pentito indica ai magistrati un’altra società che sarebbe stata utilizzata dalle imprese delle grandi opere per arricchire Monorchio junior: «Il consorzio di Impregilo ha affidato alla Crono le prove di laboratorio per i cantieri della Salerno-Reggio. Sono contratti da cinque milioni di euro. Che la Crono fosse di Monorchio lo sapevano tutti».
Giandomenico Monorchio, finito agli arresti domiciliari, nega di aver commesso illeciti e sostiene di non aver mai approfittato dei poteri pubblici del padre. Anche Perotti e Incalza, a Firenze, hanno respinto tutte le accuse. Lunardi non è neppure indagabile: i fatti a lui addebitabili sono ampiamente prescritti. Fino a prova contraria, dunque, bisogna presumere che siano tutti innocenti. Anzi, dopo Tangentopoli, è sparito il reato: la spartizione privata dei lavori pubblici si può fare a norma di legge.
Il metodo dei santi in paradiso
De Michelis conferma ai magistrati di possedere addirittura la copia di un patto segreto per dividersi i progetti in tutta Italia, siglato quando Impregilo era controllata dal gruppo Gavio, prima di essere scalata dalla Salini: «È un accordo scritto per la spartizione delle direzioni dei lavori tra la Sintel, la Spm e la Sina che allora era di Gavio».
Questo sistema spartitorio nato dopo Tangentopoli, secondo l’ex direttore delle grandi opere, rende inutile o quantomeno marginale la corruzione classica. Quando i magistrati gli chiedono se Monorchio junior, per avere quei contratti, abbia pagato tangenti, De Michelis risponde così: «Non sono cose che si dicono. A volte Monorchio mi diceva che doveva fare un regalo, certo, ma solo questo. Di più non so. Ma in questo sistema non c’è più bisogno delle buste di denaro. Dietro Sintel e Spm ci sono i santi in paradiso. Se non davano i lavori a loro, Monorchio padre e Incalza non finanziavano i progetti».
De Michelis, in pratica, ammette di aver dirottato sulle società dell’amico Gallo gli appalti che prima finivano a Monorchio e prima ancora venivano spartiti con Perotti. Di qui le proteste degli imprenditori intercettati: «Abbiamo creato un mostro!». Un’affermazione a doppio taglio: nelle grandi opere c’è un mostro che divora soldi, ma è stato creato dalle stesse aziende che lo pagano.
De Michelis parla anche della massa di subappalti gestiti direttamente dai general contractor. E mette a verbale i nomi di vari dirigenti di Impregilo che avrebbero incassato tangenti dai subappaltatori («Me l’hanno detto loro stessi»), uno dei quali è soprannominato «mister 3 per cento». L’ingegnere arrestato denuncia anche una cordata di manager che si arricchirebbero da anni con «ruberie enormi»: una «Impregilo parallela», la chiama De Michelis, chiarendo che «nel gruppo ufficiale comanda Pietro Salini», mentre «lì comanda il signor C., in passato ha avuto un ruolo di peso nella gestione della tratta toscana dell’alta velocità, ora ufficialmente è solo un consulente esterno, ma in realtà è a capo di un ordine gerarchico: c’è, ma non compare». Le grandi opere, precisa il pentito, producono colossali quantità di detriti e terre di scavo che dovrebbero essere accumulate in «cave di deposito», per essere poi rivendute e ridurre i costi. «Dai cantieri escono i camion con tonnellate di materiale, ma nelle cave ufficiali non arriva niente: quelli dell’Impregilo parallela intascano milioni rubandosi gli inerti e rivendendoli in nero».
Anche questa «Impregilo parallela» nascerebbe da rapporti di famiglia. De Michelis, infatti, spiega che il signor C. era «amico del papà» di un manager arrestato di Impregilo: «È lui che gli ha fatto assumere il figlio nel consorzio per l’alta velocità». Per questo l’erede continua ancora a obbedire a quella «eminenza grigia di Impregilo». De Michelis aggiunge che aveva chiesto «un incontro a Pietro Salini, per fargli sapere della struttura parallela che aveva dentro Impregilo, perché avevamo tutti il dubbio se lui sapesse o no. Salini però non ha voluto vedermi».
Questo presunto contrabbando di materiale da cava, sostiene De Michelis, sarebbe proseguito anche in Liguria, con le gallerie del Terzo valico. Ma qui emergono profili più inquietanti.
Emergenze amianto e cemento
«Il problema più grosso, per il consorzio guidato da Salini-Impregilo, è l’amianto, soprattutto per la parte ligure», denuncia il pentito. Anche i magistrati, nelle domande, parlano di materiale «marcio». E l’arrestato conferma che le terre dove si scava per la nuova Tav sono altamente contaminate dall’amianto: «Ce n’è tanto», sostiene l’ingegnere. La legge impone di analizzare tutto il materiale e smaltirlo in totale sicurezza. Il direttore dei lavori però non sa neppure dove sia finito con esattezza. Salvo poi indirizzare gli inquirenti verso una cava, la Isoverde, tra le più grandi della Liguria. «Poi parliamo anche di questo», lo blocca il pm, che sembra molto interessato alla questione. Ma preferisce trattare in successivi interrogatori questo capitolo che potrebbe riservare brutte sorprese per il territorio. Probabile, dunque, che l’ingegnere venga riascoltato per chiarire i misteri dello smaltimento delle fibre di amianto.
In questo mare di ammissioni, tuttavia, De Michelis nega ostinatamente solo l’accusa di aver diviso con Gallo anche i soldi di società come la Breakout, che forniscono cemento. «È vero che presentavo Gallo alle grandi imprese e portavo i manager a vedere le sue cave, ma lo facevo gratis, per amicizia. Per la Oikodomos facevamo al 50 per cento, ma con la Breakout io non c’entro». Una posizione che ai magistrati sembra assurda: che senso ha ammettere la corruzione con alcune società e negare la stessa accusa con le altre? Proprio qui l’ingegnere minimizza anche le intercettazioni sul cemento scadente: «È un problema di consistenza, non di qualità. Mandavo indietro i camion solo per rifare le bolle formali». Il pm Cascini non gli crede: «Perché quando viene fuori che il cemento è colla o è troppo liquido, lei cerca di evitare che emerga?». La domanda resta senza risposta. Forse perché è un segreto inconfessabile: chiunque ammettesse di aver usato cemento pericoloso, rischierebbe di rispondere non solo di corruzione, ma anche delle eventuali vittime di nuovi crolli di grandi opere.
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Previsioni per il 2018
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