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giovedì 25 giugno 2015

ROM, SINTI, NOMADI, chi Sono ?





Quello che pensiamo di sapere sui rom

Da «sono troppi» ai presunti privilegi nell’accesso ai servizi sociali, viaggio tra i pregiudizi e la realtà delle popolazioni romanì in Italia

Un paio di anni fa, l’associazione di volontariato Naga ha presentato un’indagine sulla rappresentazione dei cittadini rom e sinti nella stampa italiana. Per lanciarla è stato realizzato un video, girato in un comunissimo mercato rionale milanese, con un campione di intervistati fisiologicamente ristretto ma del tutto casuale: gente comune, signore anziane, ragazze giovani, stranieri. A tutti veniva chiesto di completare una frase: «Se dico rom...».

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Pochissimi rispondono in maniera neutra o positiva; pochi fiutano la trappola che li spingerebbe a esprimersi con toni sgradevoli davanti a una telecamera; quasi tutti cedono alla tentazione di lamentarsi, di dire la propria. E quasi tutti hanno qualcosa da dire. Tra gli accostamenti più popolari alla parola rom, troviamo naturalmente il furto, la sporcizia, la mancata integrazione: quando si parla di rom la percezione diffusa è quella di una minaccia, di un corpo drasticamente estraneo all’interno del nostro tessuto sociale.

Quando si parla di rom la percezione diffusa è quella di una minaccia, di un corpo estraneo all’interno del nostro tessuto sociale.

A distanza di due anni è ragionevole pensare che poco o nulla sia cambiato, nonostante sentenze come quella del 30 maggio, che ha sancito il «carattere discriminatorio» del campo nomadi “La Barbuta” di Roma; nonostante personalità politiche e non solo, come Luigi Manconi, che hanno deciso di spendersi per la questione, e nonostante svariati articoli che mirano a sfatare alcuni degli stereotipi più radicati, come il bel pezzo di Claudia Torrisi su Vice.

Secondo i dati diffusi nel 2014 dal Pew Research Center (autorevole istituto di ricerca statunitense) che ha indagato l’entità dei sentimenti antizigani in 7 Paesi europei (Italia, Regno Unito, Germania, Spagna, Francia, Grecia e Polonia), l’Italia, infatti, conquista il primato, con ben l’85% degli interpellati che ha espresso un’opinione indistintamente negativa riguardo ai rom. Dalla stessa indagine emerge anche che i rom sono la minoranza più discriminata in Europa e in Italia.

Un ristretto corpus di individui, intervistati mentre fanno la spesa, rappresenta dunque davvero la pancia del Paese. Vale quindi la pena soffermarsi una volta di più sulle dichiarazioni emerse, su ciò che pensiamo di sapere sui rom e che invece non sappiamo affatto. A cominciare dalla lapidaria dichiarazione che chiude il video:

«Troppi in giro»

Stando a una ricerca del Ministero dell'Interno, il 35% degli italiani pensa che i rom nel nostro paese siano molti più di quanti sono in realtà. L'8% è convinto che il numero si aggiri intorno ai 2 milioni, ma la verità è che sono 10 volte di meno.

Le popolazioni romanì (rom, sinti, kale, manouches, romanichals e camminanti siciliani) sono la più grande minoranza europea con 12 milioni di persone in tutto il continente. Per lo più risiedono in Romania (un milione e 800mila). In Spagna sono circa 800mila, in Francia 400mila. In Italia la stima va da circa 150mila a 180mila (tra lo 0,23% e lo 0,3% della popolazione). Di questi circa 70mila hanno la cittadinanza italiana (gli altri si dividono tra apolidi, ex jugoslavi e romeni). Oltre il 60% vive in abitazioni stabili e più del 90% ha abbandonato la vita nomade.

I rom rappresentano dunque una fetta di popolazione talmente esigua che il famoso decreto governativo che ha istituito l’“emergenza nomadi” tra il 2008 e il 2011 (applicando quindi a una minoranza etnica pari allo 0,23% della popolazione leggi speciali che si usano in caso di calamità naturali) ha veramente del paradossale.



«Proprio ieri hanno rubato a casa mia. Ed erano dei rom»

«Vengono in questo Paese soltanto per rubare»

Esiste, secondo l'Unar, una «generalizzata tendenza a legare all'immagine dei rom e dei sinti ogni forma di devianza e criminalità».

Non esistono, invece, dati che certifichino una maggiore incidenza di furti e crimini nella popolazione rom, se non l’ovvia constatazione che nella marginalità e nell’indigenza si delinque più facilmente. Sappiamo piuttosto che l'”emergenza nomadi” a cui si accennava è stata dichiarata illegittima per assenza di un effettivo «pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica». Nessun dato dimostrava ad esempio l'incremento di determinate tipologie di reati a causa della presenza di rom.

Contro il pregiudizio che li vorrebbe tendenzialmente impuniti, interviene poi Luca Cefisi con il suo libro Bambini ladri, da cui si apprende che «i ragazzi rom rimangono di più in carcere», e questo perché senza casa e denaro le misure alternative al carcere sono pressoché impossibili e va da sé che la difesa legale potrebbe non essere delle migliori. Particolarmente odiosa è poi la vulgata che li vorrebbe «ladri e mendicanti per cultura». Sono le forme di razzismo attuale, meno improntate sulla razza ma basate su una sorta di forma estrema di relativismo culturale. Il razzismo culturalista, detto anche differenzialista, consiste nell’attribuire all’alterità un carattere assoluto, irriducibile e immodificabile, negando qualsiasi possibilità dialogica e di sintesi, relegando i singoli membri di una comunità a caratteristiche comuni e destini analoghi. In nome di un principio di differenza si giustifica pertanto l’esclusione e il rifiuto. Un principio di immutabilità culturale che peraltro il solo esempio del nomadismo, ormai abbandonato quasi del tutto, smentisce completamente.

«A casa loro»

Intramontabile mantra della destra italiana e delle chiacchiere da bar, nella maggior parte dei casi risulta semplicistico e superficiale, ma nel caso dei rom è semplicemente sbagliato.



Le popolazioni romanì sono presenti in Italia dal Quattrocento. Circa il 60% è cittadino italiano, mentre la restante buona parte è costituita da comunità giunte in Italia negli anni ‘90, dopo lo smembramento dell'ex Jugoslavia. Sono dunque profughi delle guerre balcaniche, per lo più considerati apolidi, mentre i loro figli sono in genere nati in Italia. Ciò che resta è composto da rom romeni e bulgari, e quindi cittadini comunitari.

«Hanno i benefici che noi non abbiamo»

«Hanno le case, ci danno 40 euro al giorno, e noi?»

È uno dei pregiudizi più radicati, su cui insiste molto una certa parte politica per montare un’indignazione facile. Da una relazione dell'Agenzia dei diritti fondamentali dell'Ue sulla situazione dei rom in undici Stati membri, risulta che «un rom su tre è disoccupato e il 90% vive al di sotto della soglia di povertà». Si tratta di un popolo di giovani, con alta natalità ma basse aspettative di vita (la percentuale degli ultrasessantenni è dello 0,3%, circa un decimo della media italiana) e questo per via delle condizioni di vita precarie. Siamo davvero sicuri di volerli invidiare? Vivere in un campo nomadi non è un privilegio. Qualche allaccio abusivo alla corrente non risarcisce del sovraffollamento, delle condizioni igieniche precarie, e della continua paura di non ritrovarsi più un tetto sulla testa. Cosa più importante: non esistono leggi che garantiscano un sostegno economico ai rom. Non esistono criteri che li privilegino nell’accesso alle case popolari.

Piuttosto, come emerge dal rapporto Campi Nomadi S.p.a. (luglio 2014) e dall'inchiesta Mafia Capitale, sappiamo che sono stati in molti a lucrare sulla pelle dei rom. «Non sanno integrarsi»

«Ladruncoli, sporchi e senza terra»

La parola nomade è molto pericolosa, perché giustifica la segregazione in campi speciali isolati dalla città

Quando si parla di rom l’Italia è per l’Europa «il Paese dei campi». I campi sono attualmente delle “riserve indiane” nelle quali i cittadini vengono stipati su base etnica. Sono il primo grande confine tra la comunità rom e il resto della cittadinanza. E il loro stigma accompagna anche chi vive nelle abitazioni, perché la parola rom, l’identità rom, nella mentalità comune si lega indissolubilmente all’idea del campo nomadi.

Il sito del progetto “Parlare civile” riporta l’opinione di Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio, secondo cui (ed è opinione diffusa tra gli addetti al settore) la parola nomade è molto pericolosa, perché giustifica la segregazione in campi speciali isolati dalla città. Nel suo rapporto annuale, l’Associazione 21 luglio afferma che «nel 2014 la costruzione e la gestione dei campi rom continua a essere un’eccezione italiana nel quadro europeo».

Naturalmente il termine nomade si lega a uno stereotipo che, se era ancora vero qualche decennio fa (ma già allora non per tutti), ormai deve essere definitivamente abbandonato. La popolazione nomade e seminomade si attesta a oggi intorno al 3% circa. È un’abitudine che sopravvive in parte (ma sempre più in declino) tra i Camminanti siciliani (che si suppone discendano dai rom giunti in Sicilia attorno al Trecento, anche se i Camminanti rifiutano con essi ogni sorta di identificazione). Sono per lo più semi-stanziali: passano l’inverno in Sicilia nelle loro abitazioni (soprattutto roulotte) e l’estate in viaggio – a volte fino al Nord Italia – per offrire le loro prestazioni di venditori ambulanti, arrotini, stagnini.

La leggenda della “zingara rapitrice”

Resta fuori da questa rassegna (e fa piacere) uno degli stereotipi più sgradevoli, infamanti e infondati che però – ce lo dimostrano cronache recenti – è duro a morire. Una volta per tutte: i rom non rubano i bambini più di quanto i comunisti non li mangino. Questa leggenda, che dovrebbe avere credito quanto l’uomo nero sotto il letto ma cui la stampa dà periodicamente credito, è stata definitivamente smentita da una ricerca dell'università di Verona curata da Sabrina Tosi Cambini: su tutti i casi riportati dall’Ansa fra il 1985 e il 2007 non c’è alcun caso di rapimento di minori ad opera di rom o sinti. Nemmeno uno. Tutte le denunce sembrano invece riproporre una leggenda metropolitana, così come è accaduto con i casi recenti, per i quali non sono mancate le smentite.


Su tutti i casi riportati dall’Ansa fra il 1985 e il 2007 non c’è alcun caso di rapimento di minori ad opera di rom o sinti.

L’unico caso in cui una giovane rom è stata condannata per tentato rapimento è la vicenda controversa di Ponticelli (2008). Non c'erano prove se non la testimonianza della madre della bimba e dei suoi parenti, ma ciò è bastato per innescare l’assalto e l'incendio del campo rom da parte dei residenti e di uomini legati alla camorra.

Sono piuttosto i minori rom che rischiano di essere allontanati dalle proprie famiglie. Stando al rapporto Mia madre era rom, curato dall’Associazione 21 luglio, secondo le statistiche «un bambino rom ha il 60% di possibilità in più di altri bambini che sia aperta nei suoi confronti una procedura di adottabilità». Le parole sono importanti

Il potere dello stereotipo è quello di trasformare l’ignoto nel noto. Un po’ come si suppone debbano fare i quotidiani. All’inizio ho citato l’indagine condotta dal Naga tra il 2012 e il 2013. Si tratta del monitoraggio di 9 tra i maggiori giornali italiani, spulciati per 10 mesi di seguito. Ne è emerso che, non solo, e com’era prevedibile, sulla stampa c’è una particolare insistenza nel dare visibilità a episodi negativi di cui qualche rom si è reso protagonista, ma che i rom vengono sistematicamente associati a fatti o eventi dannosi che non li vedono direttamente coinvolti. Per esempio citando en passant la vicinanza di un campo rom a un luogo in cui si è svolto un evento di cronaca, senza che il dato sia minimamente rilevante, o riportando «comportamenti che possono essere considerati negativi, ma che non sono reati» (lavarsi a una fontanella), o addirittura il semplice fatto di passare in un luogo. Il tutto, con toni allarmistici.

Certo, i media non sono gli unici responsabili (il linguaggio della politica, ad esempio, meriterebbe uno studio a parte), ma l’invito che rivolge Federico Faloppa (dell’università di Reading, nel Regno Unito, che si occupa di rappresentazione dell’alterità nella lingua italiana) è di valutare bene il peso delle parole: «A livello lessicale, si prenda la nota – ed errata – equivalenza di zingaro, rom e nomade. Che se talvolta trova (pessima) giustificazione in esigenze di varatio stilistica, spesso crea pseudo-sinonimie (zingaro = nomade) e dittologie fuorvianti (zingaro/rom e nomade), trasmettendo e reiterando quindi informazioni sbagliate».

Il problema, secondo Carlo Stasolla «è che queste persone, sin dal loro arrivo in Italia nel Quattrocento, hanno assunto il ruolo di capri espiatori. La funzione sociale dei rom è la stessa di un cestino della spazzatura in una casa: raccogliere il marcio. E oramai anche per amministratori e media è più comodo che sia così». E la politica dei campi, con il suo approccio emergenziale e assistenzialista, non aiuta di certo. Più i rom sono lontani dalla nostra conoscenza e più è facile pensare a loro in base a stereotipi. E quello che pensi di sapere sui rom potrebbe non essere così affidabile.

di : Laura Antonella Carli


I Sinti sono una delle etnie che compongono la popolazione romaní, altrimenti chiamati zingari, termine che oggi però ha assunto una sfumatura dispregiativa. L'origine del nome sinti è molto complessa. Probabilmente si tratta della parola persiana sindh, che indicava l'attuale Pakistan e per estensione tutta l'India, che, attraverso l'arabo è giunta in Europa con queste popolazioni.

Così come i Rom e i Kalé, si presume che la loro origine sia da collocarsi nelle regioni del nord-ovest dell'India. E così come per le altre etnie romaní si ritiene che i Sinti abbiano lasciato l'India all'inizio dell'undicesimo secolo per giungere in Asia Minore alla fine dello stesso secolo e quindi nei secoli successivi migrare attraverso l'Impero Bizantino in Europa.

In Europa e anche in Italia arrivarono tra la fine del XIV secolo e il XV secolo. Oggi sono stanziati soprattutto nei paesi dell'Europa occidentale (Germania, Francia, Spagna, Italia).

La storia recente dei Sinti è analoga a quella della popolazione Rom: furono perseguitati in tutti i paesi europei subendo di volta in volta pratiche di inclusione (schiavizzazione nei paesi dell'Est Europa) e in particolare in Romania (schiavitù abolita solo dopo il 1850), esclusione (cacciata dai territori) e discriminazione.

Il nazismo riservò ai Rom e Sinti lo stesso trattamento riservato agli ebrei, ai testimoni di Geova e agli omosessuali. Essi furono deportati in campi di concentramento. Si stima che circa 500.000 Rom-Sinti trovarono la morte nei campi di sterminio durante il Porajmos.

Tradizionalmente i Sinti hanno esercitato l'attività del giostraio e del circense, tra i più famosi circensi italiani di origine sinti c'è Moira Orfei e la sua famiglia. Anche la seconda famiglia circense più famosa d'Italia, i Togni, è di origine sinti.

I sinti parlano la lingua romaní e utilizzano nei diversi gruppi alcuni dialetti.


I rom (plurale: Roma, in lingua romaní: rrom]) sono uno dei principali gruppi etnici della popolazione di lingua romaní (anche detta genericamente degli "zingari" o dei "gitani") originaria dell'India del nord.

La caratteristica comune di tutte le comunità che si attribuiscono la denominazione rom è che parlano - o è attestato che parlassero nei secoli scorsi - dialetti variamente intercomprensibili, costituenti appunto il romaní, che studi filologici e linguistici affermano derivare da varianti popolari del sanscrito e che trovano nelle attuali lingue dell'India del nord ovest la parentela più prossima.

I rom propriamente detti sono un gruppo etnico che vive principalmente in Europa, distribuiti in una galassia di minoranze presenti principalmente nei Balcani, in Europa centrale e in Europa orientale, benché la loro diaspora li abbia portati anche nelle Americhe e in altri continenti. Un dato costante della storia del popolo rom va rintracciato nella persecuzione che hanno sempre subito, la riduzione in schiavitù, la deportazione e lo sterminio.

Lungo la storia che li accompagna fino ad oggi si è protratta nel tempo la diffidenza nata al loro primo apparire nel Medioevo europeo: il nomadismo come maledizione di Dio; la pratica di mestieri quali forgiatori di metalli, considerati nella superstizione popolare riconducibili alla magia; le arti divinatorie identificabili come aspetto stregonesco, ecc.

Di qui la tendenza delle società moderne a liberarsi di tale presenza anche a costo dell'eliminazione fisica. Tutti i paesi europei adottarono bandi di espulsione nei loro confronti, fino alla programmazione del genocidio dei rom, insieme a quello degli ebrei, durante il nazismo in Germania.

Si stima che nel mondo ci siano tra i 12 e i 15 milioni di rom. Tuttavia il numero ufficiale di rom è incerto in molti paesi. Questo anche perché molti di loro rifiutano di farsi registrare come etnia rom per timore di subire discriminazioni.


Zingari, zigani, zingani o gitani sono termini generici usati per indicare un insieme di diverse etnie, in principio ritenute tradizionalmente dedite al nomadismo, originarie dell'India settentrionale ed accomunate, almeno in passato, dall'uso di un idioma comune, il romaní.

Stabilitesi in Europa nel corso dell'epoca medievale e diffusesi, in tempi più recenti, anche in altri continenti, le popolazioni gitane sono in massima parte stanziali e hanno generalmente la cittadinanza del paese in cui risiedono.

A causa della connotazione negativa che la parola zingari ha col tempo assunto, si ritene politicamente scorretto definirli con questo termine e sono, perciò, erroneamente definiti nomadi (anche se molti di loro sono da diversi secoli sedentari) o più propriamente, usando il nome delle principali etnie, rom o sinti oppure, in modo totalmente erroneo, anche rumeni a causa della cittadinanza di molti di loro. In realtà non c'è alcuna connessione - neppure etimologica - tra il termine "rom" ed il nome dello Stato di Romania, il popolo o la lingua rumeni, né con le popolazioni slave, in quanto le etnie gitane si riconducono a una origine indiana.

Secondo diversi studiosi, il termine corretto da utilizzare sarebbe quello proprio dell'etnia o, più in generale, il termine di popolazione romaní, sostituendo quindi i termini zingaro e zingari, laddove usati come aggettivi, con i corrispondenti aggettivi romanó e romaní.

In Italia, tuttavia, in documenti di emanazione ministeriale come ad esempio gli studi del Ministero dell'Interno, si continua a utilizzare il termine "zingari" per indicare l'insieme delle etnie e l'aggettivo "romaní" viene utilizzato solo in relazione alla lingua propria dei rom e sinti (i due gruppi etnici che rappresentano le popolazioni romaní in Italia).





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