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TERRA MADRE: Ermanno Olmi porta sul grande schermo la vita contadina
Settantotto minuti di ritorno alla terra, quella domestica, coltivata e curata dall’uomo senza presunzioni di superiorità e ansie di profitto. Un lungumetraggio fatto di volti accostati al suolo e ai suoi frutti, di rapporti stretti tra uomo e natura, di esistenze al limite messe insieme non tanto per invocare l’esempio, quanto per invitare alla memoria.
Il progetto, pensato per far conoscere la vita delle comunità contadine, ha una forma (quella di un film-documentario) e un nome che è lo stesso del movimento da cui nasce come costola (Terra Madre). Firmato da Ermanno Olmi, prodotto da Cineteca di Bologna, Beppe Caschetto e ITC Movie, in collaborazione con Rai Cinema, e realizzato con il sostegno del ministero per i Beni culturali, della Film Commission Torino Piemonte e di Slow Food, il film sarà nella sale dall’8 maggio, ma non prima di aver inaugurato (il 6 maggio) il Festival internazionale del cinema e cibo Slow Food on Film (a Bologna dal 6 al 10 maggio) con il racconto dell’equilibrio raggiunto dai protagonisti e la terra.
La pellicola si snoda in cinque momenti che hanno nelle immagini del Forum mondiale Terra Madre (Torino 2006) il proprio collante di riflessione espressa. In mezzo, la testimonianza visiva dell’inaugurazione della Banca Mondiale dei Semi (Isole Svalbard, Nord Norvegia, febbraio 2008), la tradizione della custodia dei semi del riso (fattoria di Vandana Shiva, Dehradun, regione Uttaranchal, Nord dell’India, ottobre 2008) e la storia incredibile della dimora e dei campi di un uomo che per più di quarant’anni, in totale isolamento, si è nutrito soltanto di quanto da lui stesso coltivato (San Cipriano, Comune di Roncade nel Veneto, ottobre 2008).
L’ultimo atto sono una trentina di minuti ricchi di rumori inconsueti girati nella Valle dell’Adige: la telecamera spia un contadino nel puntiglioso lavoro di ogni giorno. Di sottofondo, nessuna musica, nessuna parola. Soltanto i suoni della natura e il fastidioso rombo d’una aereo che passa di lì.
Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, che questo film l’ha voluto insieme a Luciana Castellina, vi rinviene “una poesia che ci parla di una nuova politica, di un nuovo umanesimo, ora che il sistema imperante dà importanti segni di cendimento. Uno sguardo che non vacilla ma che ci insegna a perderci per trovare una nuova strada. Noi non diciamo di fare quello che si vede, non abbracciamo un mondo antico, il messaggio è invece di estrema attualità: ritornare ad avere memoria perchè senza memoria non c’è futuro e senza senso del limite la terra madre si ribella. Questo film è poesia e nello stesso riflessione e, magari, speranza”.
“Non è un film di Ermanno Olmi - ha detto il regista a Milano, dopo la proiezione per la stampa -, ma un film dove si sono concentrate molte energie e dove l’odore della terra è quasi palpabile. Non è stato pensato prima nella sua struttura, ma è nato da un percorso molto libero. Ci sono tante realtà che dialogano e offrono l’idea complessiva di qual è il nostro rapporto con la terra. Quelle dei personaggio, in particolare quelle dello strano uomo che viveva dei suoi prodotti, non erano condizioni miserabili, ma condizioni che mettono uomo e terra sulla stesso piano. Oggi, invece, la terra è ormai un supporto. Il suolo è diventato parte di un processo produttivo di cui è una delle componenti e non più la condizione irrinunciabile”.
fonte quotidianonet
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