5 maggio: Sciopero contro la “Buona Scuola”
Sarà uno sciopero politico. In senso positivo, perché lo sciopero è, dal XIX secolo in poi, una delle armi principali per chi sta in basso di far sentire la propria voce, per arrestare l’arroganza del potere. Uno sciopero importante è, quindi, sempre uno sciopero politico. Ecco le ragioni per cui è importante scendere in piazza il 5 maggio 2015.
Non è retorica dire che il mondo ci guarda. Lo sciopero degli insegnanti del 5 maggio avrà molti occhi sopra. E’ l’Inghilterra, per prima, ad aver imposto la sua “buona scuola”. Era l’anno 1988, governo Thatcher. Poi, il mondo anglosassone, Australia, Nuova Zelanda. Quindi, gli Stati Uniti e la Corea del Sud. La Grecia vi è stata costretta dai diktat della Troika. In Russia c’è stata la riforma degli esami di stato. In Messico, attualmente, sono in corso lotte contro la “buona scuola” in contemporanea con l’Italia. (C’è anche la Spagna, ma confesso di saperne pochissimo).
Ovunque, ciò che è avvenuto, secondo la felice formula del sociologo australiano Smyth, si è basato sull’idea di “centralizzare ma dando l’idea di star facendo il contrario”. La parola d’ordine al centro delle riforme scolastiche sempre l’”autonomia” della scuola, il contenuto effettivo la trasformazione del dirigente d’istituto in “manager” dagli ampi poteri (assumere, premiare, licenziare gli insegnanti, selezionare e reclutare gli allievi sulla base del loro rendimento), direttamente responsabile dei risultati della propria scuola di fronte al potere centrale. Uno scambio, mediante cui il dirigente d’istituto diviene il “re” della propria scuola, ma nello stesso tempo viene vincolato al ruolo di agente della realizzazione pratica degli obiettivi di politica scolastica stabiliti dal potere centrale. Nominalmente “re”, “prefetto” napoleonico nei fatti. Esattamente quel che dice la “Buona scuola” e che ha già fatto riempire, in questi giorni di vigilia, molte piazze, in Italia, anche oltre ogni attesa.
La scuola: l’immagine e le cose
Non è vero che tutto sia avvenuto, in questi anni, senza resistenze. C’è ad esempio, un paese, la Francia, in cui senza dubbio la dottrina neoliberale ha agito in profondità sul sistema scolastico, ma nel quale, al contempo, il tentativo di giungere ad una gerarchizzazione delle scuole apponendo il nome dell’istituto sul “bac” (o diploma di maturità) è stato vanificato, anni fa, dalla lotta degli studenti e degli insegnanti. Lotte ci sono state in Inghilterra e, localmente (dato il carattere frammentario del federalismo della governance scolastica americana), anche negli Stati Uniti, soprattutto contro il “teaching to the test”, la valutazione di istituti e lavoratori della scuola mediante i quiz, nonché contro la precarizzazione dei contratti di lavoro degli insegnanti. Se le lotte ci sono state, il loro tasso di circolazione, sui media e nella discussione pubblica, è stato, invece, qui da noi, in Italia, piuttosto basso.
Quando si parla di istruzione, i media svolgono benissimo la loro funzione, che è di svelare ma per nascondere. Lo sguardo internazionale verso la scuola dell’informazione non specializzata, dei media a larga diffusione, cerca sempre il nuovo ritrovato capace di ottimizzare le performance o la curiosità che faccia sensazione: siamo stati riempiti, in questi anni, da articoli sull’ereditarietà genetica dell’intelligenza, sulle “mamme-tigre” che imponevano una ferrea disciplina per migliorare le prestazioni dei propri figli; siamo stati sommersi da testi di pseudo-femministe che parlavano a favore del ritorno della segregazione sessuale nell’istruzione in nome del “plus” di apprendimento delle ragazze quale fattore di natura, da articoli sulla bontà della scuola finlandese, di Hong Kong e di Singapore. Grazie ai media, tempo fa, era divenuta senso comune, in determinate cerchie, l’idea che Tony Blair avesse fatto moltissimo per la scuola. La realtà, documentata dai numeri, delle “persistenti diseguaglianze”, come recita il titolo di una delle più ampie indagini di statistica comparata nel campo degli istruzione degli ultimi anni, di Shavit e Blossfeld, che confronta i sistemi scolastici di 30 paesi diversi, rimaneva nascosta.
Le piazze piene, le scuole chiuse, costituiscono un ottimo modo per rischiarare le menti, a favore di un ritorno alla realtà effettuale delle cose.
La distopia realizzata
L’indignazione è forte. Il senso di stupore, anche. Una professoressa o, forse una maestra, sulla linea 80, andando verso la manifestazione di p.za SS Apostoli di qualche giorno fa (in cui è stata annunciata la convocazione dello sciopero), riassumeva molto bene il senso comune della scuola reale nei confronti della “buona scuola”: "Sono cose talmente assurde che sembra assurdo anche il fatto che noi ci mobilitiamo". Insomma, il "preside-sindaco" e la "buona scuola" come distopia fantascientifica. Purtroppo, le distopie si sono già avverate. Non amo le “teorie del complotto”, nemmeno quando hanno un segno “buono”, anticapitalista e di sinistra. Non mi suscitano entusiasmo titoli come “I nuovi padroni della Scuola”, che descrivono scenari di organizzazioni confindustriali europee o di club di Davos riuniti in segreto per pianificare i nuovi scenari dell’aziendalizzazione e della privatizzazione delle scuole. Ma basti riportare alcuni fatti realmente accaduti, a mero titolo di esempio. Naomi Klein ci ha raccontato come, approfittando dell’uragano Katrina, il sistema dell’istruzione di New Orleans sia stato riformato chiudendo le scuole pubbliche e sostituendole con “charter school”, scuole gestite da aziende private ma finanziate con denaro pubblico. Diane Ravitch, invece, ci ha informato (i pochi che l’hanno letta in inglese, perché i suoi libri, se tradotti in italiano, ci avrebbero edotto in anticipo sulla “buona scuola” che avanza) di come Bloomberg, nel corso del suo mandato di sindaco di New York, abbia lavorato per sostituire, mediante l’istituzione di “accademie di eccellenza”, gli esperti di amministrazione scolastica, a livello distrettuale e di istituto, con personale proveniente da Wall Street.
La campagna, lanciata dal ministro Giannini, all’atto del suo insediamento, quando non si parlava ancora di “buona scuola”, a favore dell’aumento dei finanziamenti alle scuole private, in nome del fatto che, se avessero dovuto chiudere, lo stato avrebbe dovuto spendere 6 miliardi di euro (sic), fa intendere una forte propensione privatizzatrice di questo governo. E ciò non deve stupire affatto, nel momento in cui l’azione politica di Renzi prevede un piano di privatizzazioni massiccio, non solo di quote di aziende ancora in mano allo stato, ma dei servizi pubblici, acqua compresa.
Una lotta dentro altre
Questo del 5 maggio è uno sciopero politico. Lo dico in senso positivo, perché lo sciopero è, dal XIX secolo in poi, una delle armi principali per chi sta in basso di far sentire la propria voce, per arrestare l’arroganza del potere. Uno sciopero importante è, quindi, sempre uno sciopero politico.
Lo dico, inoltre perché nell’attuale congiuntura politica lo sciopero del 5 maggio viene ad intrecciarsi con altri scenari che vanno nel senso di una revisione in senso autoritario dell’assetto costituzionale, della “costituzione formale” come della “costituzione materiale”. Lo sciopero del 5 maggio s’intreccia con la vicenda del “voto di fiducia” sull’Italicum, sistema elettorale maggioritario che, connesso alle riforme costituzionali, prefigura una tendenza alla concentrazione del potere. Il “preside-sindaco” sembra far parte di una triade, le cui altre figure sono il “manager”, in azienda, e il “leader” carismatico che comunica direttamente al popolo attraverso i media, nel paese.
Lo sciopero del 5 maggio, inoltre accade nel momento in cui la Grecia si trova sotto l’assedio delle istituzioni politico-finanziarie europee, per impedire qualsiasi deviazione rispetto al modello di un’austerity che antepone il pagamento degli interessi sul debito (anche a favore dei più abietti speculatori) alla ripresa economica ed al recupero della dignità sociale, e nel momento in cui sono in corso le trattative per il TTIP, nuovo trattato di libero scambio transatlantico, che prevede non solo l’attenuazione dei regolamenti europei che sbarrano la strada alla “carne agli ormoni” e agli Ogm statunitensi, ma anche l’istituzione di tribunali arbitrali privati, tramite cui le multinazionali possano fare causa agli stati in nome dei loro interessi lesi scavalcando la giustizia ordinaria, nazionale ed europea. Di qui il passo è breve rispetto a dire che l’esistenza di una “scuola pubblica” possa costituire un attentato nei confronti della libera concorrenza globale.
Non è retorica affermare che il 5 maggio è un momento di lotta che ha dietro di sé moltissime lotte – molte sconfitte, ma alcune vittoriose – che nel mondo, nell’ultimo trentennio, hanno visto opporre la difesa della dignità e del tessuto di relazioni interne alle comunità sociali all’arroganza del mercato globale. Molte di queste lotte riguardavano la difesa di un tessuto comunitario e di rapporti economici che l’accademia marxista avrebbe, un tempo, considerato arretrati rispetto alla modernità capitalista (per esempio la rivolta zapatista delle comunità indigene in Chiapas, le lotte dei contadini del Bengala contro l’esproprio di terre per la realizzazione di industrie e miniere o le lotte dei contadini cinesi contro l’esproprio delle terre a favore delle speculazioni immobiliari). Ma se è in gioco la dignità, non è questione di vecchio e nuovo. Penso a noi insegnanti, oggi uniti al di là delle differenze ideologiche, in nome della scuola pubblica, in nome della libertà d’insegnamento, contro una legge che viene presentata come una “rivoluzione” che renderebbe la nostra scuola finalmente “europea”.
Questo non deve farci paura. Anzi, se un senso culturale c’è, in questa rivolta della scuola, è proprio la messa in discussione del paradigma profondamente interessato e tendenzioso della distinzione tra vecchio e nuovo che vorrebbero imporci. Ci chiamino pure, se vogliono, “luddisti”. Il 5 maggio noi scioperiamo. Noi sappiamo per cosa stiamo lottando. Noi sappiamo che il futuro non è scritto.(una frase di Joe Strummer)
di Marco Magni
Sciopero 5 maggio:
lo scontro si fa duro, verso la mobilitazione generale.
Aderisce anche FIOM di Landini
Ancora polemiche sullo slittamento delle prove invalsi. Sindacati denunciano comportamento antisindacale del Governo. Sullo sciopero generale irrompe anche Landini con l'adesione allo sciopero che va assumendo connotazione di mobilitazione generale. Dopo il rinvio delle prove Invalsi previste inizialmente il 5 maggio in concomitanza dello sciopero, L'Unicobas insorge contro lo spostamento eseguito dal Presidente dell’Invalsi Anna Maria Ajello. Lo spostamento, forse anche sollecitato dallo stesso ministro, mira dichiaratamente a far saltare la coesione all’interno del corpo docente che entrerà in sciopero il 5 maggio, giorno previsto per l’inizio delle prove stesse. L'Unicobas, forse i più duri e oltranzisti tra i sindacati di categoria insieme ai colleghi della Gilda insegnanti, che già qualche giorno fa parlavano di protesta ad oltranza con un probabile blocco degli scrutini se il governo non ritirerà il Ddl, minacciano di adire le vie legali. Il provvedimento si configurerebbe come condotta anti sindacale. Questa la denuncia dei Unicobas:
“Il 7 Maggio, nel caso lo spostamento antisindacale delle prove non venga annullato, i docenti dovranno attenersi strettamente al mansionario contrattuale, che non comprende né la somministrazione, né la correzione delle prove Invalsi, pretendendo ordine di servizio scritto (da ‘girare’ al sindacato per le azioni legali del caso): oggi più che mai disobbedienza civile!”
Con questa nota il Segretario Nazionale dei Unicobas Stefano d’Errico preannuncia le mosse del sindacato che, a seconda degli scenari che si andranno profilando, potranno sfociare in altre iniziative. Anche e soprattutto per questo vile comportamento da parte del Presidente dell’Invalsi stesso e di tutto l’esecutivo raccomandano di partecipare in massa allo sciopero del prossimo 5 maggio. Il segretario generale dell'Unicobas si appella alla Magistratura ordinaria ed Amministrativa affinché intervengano subito per esaminare se esistono le condizioni per dichiarare questo comportamento come antisindacale, ravvisando altresì gli estremi dell’abuso d’ufficio da parte dell’Invalsi e comunque dell’apparato del Miur. Questa delle prove Invalsi è solo una battaglia persa nella guerra al Ddl. Ne seguiranno altre da qui all’approvazione definitiva, non ultima il ricorso per incostituzionalità alla Corte Costituzionale.
Nel frattempo interviene anche il sindacato USB che - si legge in un comunicato - nel contesto della mobilitazione generale contro il Ddl La buona scuola, proclama per la difesa dei diritti sindacali di tutti i lavoratori uno sciopero breve, consistente nel blocco delle attività funzionali all'insegnamento relative alle prove INVALSI per la scuola primaria il 6 e il 7 maggio e per la scuola secondaria il 12 maggio.
Sullo scontro in atto in previsione dello sciopero generale, si inserisce anche l'adesione appena annunciata dalla Fiom, il cui leader Landini, chiama a manifestare studenti, lavoratori e cittadini.
In questo modo è di tutta evidenza che lo sciopero della scuola sta assumendo una connotazione politica dalle caratteristiche di sciopero e mobilitazione generale. Questo il comunicato pubblicato sul sito della Fiom-CGIL: "La Segreteria nazionale della Fiom-CGIL sostiene lo sciopero della scuola del 5 maggio promosso dalle organizzazioni sindacali e dagli studenti per fermare la riforma della scuola del Governo Renzi e invita tutte le strutture della Fiom a promuovere la partecipazione assieme a tutti i lavoratori della scuola, agli studenti, ai lavoratori e ai cittadini alle manifestazioni di Milano, Roma, Bari, Cagliari, Palermo e Catania.
Il 5 maggio la Fiom parteciperà alle manifestazioni per rivendicare una scuola che sia pubblica, gratuita, non precaria, sicura, autogovernata, democratica, formativa, laica e libera.
Per riaffermare un nuovo diritto allo studio e la piena gratuità dell'istruzione, per rivendicare finanziamenti per la scuola pubblica, per una riforma sulle valutazioni in chiave democratica, per investimenti sull'edilizia scolastica, per l'autonomia scolastica e per la riforma dei cicli scolastici.
Per tutte queste ragioni partecipiamo alle manifestazioni del 5 maggio nella consapevolezza che solo l'unità sociale, un vasto sistema di alleanze sociali e una decisa e autonoma iniziativa del sindacato possono determinare quei cambiamenti necessari per rispondere alla crisidemocratica, sociale, culturale e politica del paese."
Potrebbe essere in arrivo un decreto legge che disponga lo stralcio dell'articolo 8 del ddl sulla #BuonaScuola (quello che riguarda le assunzioni) e che potrebbe essere approvato in un prossimo Consiglio dei Ministri da tenersi dopo lo sciopero generale del 5 maggio. Questo almeno quanto scrive oggi 28 aprile il quotidiano Repubblica, secondo cui Renzi si sarebbe reso finalmente conto che aspettare metà giugno per il varo della riforma potrebbe essere troppo tardi per avviare le assunzioni e mettere in cattedra 100.701 docenti.
A questo punto se confermate le voci, sarebbe un clamoroso dietrofront, visto che il decreto legge era stato annunciato, inizialmente proprio dal Governo Renzi entro gennaio, scrivendolo nero su bianco nell'opuscolo sulla Buona Scuola, per poi essere rinviato prima a febbraio e poi a marzo ed essere clamorosamente messo da parte a favore di un disegno di legge proprio in occasione del consiglio dei Ministri in cui doveva essere presentato. Siamo a fine aprile, in piena discussione del ddl e forse le proteste dei docenti e lo sciopero che incombe il 5 maggio, ma soprattutto il calo di consenso, con le elezioni regionali alle porte, potrebbero aver spinto il premier Renzi a cambiare nuovamente idea, ma con la conseguenza che 3 mesi sarebbero stati comunque bruciati inutilmente.
Sulla questione è intervenuto il Movimento 5 stelle che ha chiesto di convocare "immediatamente" l'ufficio di presidenza della commissione Cultura alla Camera "per poter riflettere sulla iter dei lavori del ddl Scuola" e, in particolare, sull'ipotesi che il governo emani un decreto che recepisca la prima parte del ddl sul reclutamento. Secondo il deputato M5S Simone Valente "sarebbe paradossale perché il Movimento è stato il primo a chiedere questo, ma il governo ha respinto la richiesta. Chiedevamo più tempo per una riforma come questa e un iter più veloce per le assunzioni. Vorremmo essere certi che il governo non intervenga in piena campagna elettorale sul tema del reclutamento". Al momento non ci sono conferme di quanto scritto da Repubblica, mentre i lavori della Commissione Cultura della Camera procedono secondo il programma già definito con alcuni componenti della stessa Commissione, che che smentiscono: "Stiamo andando avanti a lavorare". Tuttavia le operazioni sono troppo complesse e in Parlamento si rischia di fare tardi, sosprattutto perché ci sono da analizzare quasi 2mila emendamenti e anche se si lavorerà di notte i tempi tecnici non possono essere elusi.
Resta da capire qualora la voce sia confermata, come sarebbe possibile lo stralcio dell'articolo 8 e quale sarebbe il testo del decreto portato in Consiglio dei Ministri e se recepirebbe le innumerevoli criticità proprio sul piano di assunzioni subito messe in luce da PSN in diversi articoli. Criticità contenute nell'art. 8 contenente la definizione del piano di assunzioni ma strettamente legate anche a alla definizione di organico dell'autonomia, chiamata diretta dei Dirigenti, mobilità dei docenti di ruolo presenti nel ddl tuttora in discussione.
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