È dal giuramento al Quirinale che Salvini sale e Di Maio crolla. Ma più la Lega vola, più i Cinque Stelle recitano la parte dell’alleato fedele e servile. Il caso Diciotti è solo l’ultima di una lunga serie. Le prossime elezioni, amministrative ed europee, sarà la botta finale.
D’accordo, i sondaggi lasciano il tempo che trovano. Ma quelli degli ultimi giorni raccontano di un Movimento Cinque Stelle sceso sotto la soglia psicologica del 25%, sempre più vicino alla debacle delle europee 2014, quando prese il 21% che al trionfale 32,6% dello scorso 4 marzo. Qualcuno, certo, potrebbe obiettare che va bene così, che è lo scotto che bisogna pagare quando si va al governo. Sarà, ma è uno scotto che stanno pagando solo Di Maio & co. Al 32,6% ora c’è la Lega, infatti, che dal 4 marzo a oggi ha raddoppiato il suo consenso, già allora al massimo storico. Nei fatti, un vero e proprio travaso.
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E allora, forse, a distanza di otto mesi dal giuramento al Quirinale bisognerebbe dirlo che l’alleanza gialloverde è stata un ottimo affare per i verdi (o blu che dir si voglia) della Lega e un pessimo affare per le cinque stelle gialle. Sono i numeri a raccontarlo, ma i fatti lo confermano in modo abbastanza clamoroso. L’affare Diciotti, con i pentastellati alla Di Battista costretti ad andare da Vespa per spiegare con circonlocuzioni verbali che in confronto le convergenze parallele erano acqua fresca che loro voterebbero sempre per le autorizzazioni a procedere, ma processare Salvini non è giusto perché la decisione di tenere in ostaggio 137 migranti, minori compresi, è stata presa da tutto il governo. Immolati due volte, in pratica. Sull’altare del giustizialismo tradito e su quello delle responsabilità morali.
Fosse solo la prima volta. Salvini cerca di imporre Paolo Savona al ministero dell’economia, ma ad alzare il volume dello scontro istituzionale con Mattarella, chiedendone l’impeachment, è il fedele alleato Luigi Di Maio. Salvini fa il bullo con l’Unione Europea, e tocca al mite (e pentastellato) Conte ricucire con mille scuse, e mediare sui numeri della legge di bilancio. Salvini forza la mano sulla Tav, e i Cinque Stelle si limitano a prenderne atto, nonostante il contratto di governo dica chiaramente che l’opera si farà solo sulla base di una nuova analisi di costi e benefici. Più in generale: a Salvini tocca sempre la parte che porta voti, a Cinque Stelle quella di chi deve rintuzzare, abbozzare, ricucire. Sempre e comunque a rimorchio.
Se non i sondaggi, forse saranno i voti veri a svegliare i Cinque Stelle dal letargo. Quelli delle elezioni europee, ad esempio, che si annunciano catastrofiche per il Movimento. Ma anche quelli delle amministrative sarde e abruzzesi, dove i Cinque Stelle tracheggiano tra il secondo e il terzo posto, mentre la Lega va a comandare
La cosa buffa è che i numeri in parlamento sono tutti dalla parte dei Cinque Stelle. E pure l’arma del ricatto è nelle mani dei (fu) grillini, a ben vedere, visto che maggioranze alternative di centrodestra non hanno i numeri, mentre un’alleanza tra il Movimento e il Pd li avrebbe eccome, in teoria. Non vuoi fare ribaltoni? Almeno usali come arma negoziale, flirta un po’, prendi le distanze. Niente da fare. Fedeli come cagnolini, i Cinque Stelle non cercano nemmeno l’incidente diplomatico per provare a rimettere in equilibrio l’alleanza. Al contrario, incuranti dell’emorragia di consenso, rivendicano pure la bontà dell’alleanza: l’ha fatto Di Battista durante lo show di presentazione del reddito di cittadinanza, l’ha ribadito ieri a Porta a Porta, dando al Pd e ai poteri forti la colpa dell’ipertrofia di Salvini, come se non dovessero essere loro a tenerlo a bada.
Se non i sondaggi, forse saranno i voti veri a svegliare i Cinque Stelle dal letargo. Quelli delle elezioni europee, ad esempio, che si annunciano catastrofiche per il Movimento, come del resto ha confermato Giuseppe Conte stesso in un fuorionda rubato a Davos. Ma anche quelli delle amministrative sarde e abruzzesi, dove i Cinque Stelle tracheggiano tra il secondo e il terzo posto, mentre la Lega va a comandare, e persino il Pd dà timidi segnali di vita. E ancora, quelli delle prossime amministrative, dove lo schema si ripeterà uguale: il centrodestra andrà al ballottaggio col Pd. E i Cinque Stelle arriveranno in soccorso del caro Capitano - e del suo alleato Berlusconi, pure - al secondo turno. Per poi sentirsi dire che il centrodestra domina ovunque e dovrebbe governare pure a Roma. Sindrome di Stoccolma, la chiamano gli psicologi. Forse catastrofe è più azzeccato.
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