mercoledì 18 aprile 2012
Gherardo Colombo : c’è qualcuno che non ruba?
Gherardo Colombo
Tangentopoli oggi sembra roba da scolaretti. Caramelline in confronto ai milioni di euro che quasi quotidianamente si scopre mancano dalle casse dei partiti. Dove tesorieri lombrosianamente inquietanti fanno sparire fiumi di denaro e nelle more del magna magna ci scappano pure spaghetti da 180 euro a piatto. Per non parlare delle inchieste per tangenti aperte in mezza Italia. C’era una volta la Procura di Milano, fulcro dell’indagine che secondo la vulgata avrebbe spazzato via un’intera classe dirigente. Invece – assolti, prescritti e riciclati – sono ancora tutti lì, comprese le mele marce del famoso cestino che, diceva Bettino Craxi, era sano. Come siamo arrivati a un’invasione di frutta avariata? Lo abbiamo chiesto a Gherardo Colombo, ex magistrato del pool di Mani pulite.
Dottor Colombo, c’è qualcuno che non ruba? I giornali sembrano un bollettino di guerra, con la Finanza che cerca nelle sedi dei partiti lingotti d’oro e diamanti, manco fossero il deposito di zio Paperone.
Mi sembra di capire ci sia una grandissima diffusione della trasgressività.
La classe politica si sente intoccabile?
Quando smisi la toga nel 2007, feci un’intervista al Corriere: dicevo già allora che a mio avviso si stava riaffacciando un senso d’impunità che caratterizzò anche la fase precedente a Mani pulite. Chiaramente scemato nel corso degli indagini di quegli anni. Ma che si è riaffermato con il susseguirsi di prescrizioni, norme che indebolivano le indagini e depenalizzavano i reati.
La responsabilità è del legislatore ?
Sicuramente. Ma la classe dirigente è in sintonia con il Paese. Abbiamo gli stessi politici da vent’anni.
Questo perché non ci sono mai state epurazioni, lo si ripete spesso.
Epurazione è una brutta parola. Ci sono molte persone oneste, ma la cultura generale vede le regole, a qualsiasi livello, come un impedimento. Siccome la legalità è un fastidio, tanti pensano di poter trasgredire.
All’epoca di Mani pulite ci furono molte polemiche sull’uso della custodia cautelare in carcere, perfino Bobbio sollevò dei dubbi. Oggi è molto meno utilizzata: questo cambia la percezione dell’opinione pubblica?
Vediamo i numeri: in oltre tre anni d’indagini abbiamo richiesto al gip circa un migliaio di custodie cautelari, più o meno trecento all’anno. Solo a Milano in 12 mesi venivano arrestate circa 7mila persone. Si disse che usavamo la misura in maniera abnorme, non era vero. Non credo che ci sia più o meno consapevolezza della gravità della situazione perché si fa meno ricorso al carcere. Io giro molto e mi sento spesso dire: “Non se ne può più”. Forse c’è più rassegnazione, mancano le manifestazioni pubbliche degli anni 90, che però io talvolta trovavo sopra le righe.
Va bene, le monetine sono sopra le righe. Ma almeno produssero un allarme, fecero pressing sulla classe politica. Il referendum sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti è figlio di quella stagione.
Secondo me anche ora i politici sono preoccupati. Però non sono in grado di prendere contromisure efficaci.
I tre leader della maggioranza extralarge sostengono che in caso di eliminazione dei rimborsi elettorali, i partiti finirebbero nelle mani delle lobby: d’accordo?
È difficile pensare che il finanziamento da parte di privati e imprese sia innocuo. Un contributo pubblico alla vita dei partiti è necessario per evitare discriminazioni. Il problema sta nell’entità: troppi, troppi soldi. E nell’utilizzo.
Per questo la gente è arrabbiata.
Sì certo, la rabbia deriva dalla constatazione di un eccesso. Però attenzione: i politici non vengono da Marte. In molti pensano: perché loro sì e io no? Gli italiani vivono ancora come se le regole della società fossero quelle antecedenti alla Costituzione: non hanno ancora capito che non sono più sudditi, ma cittadini.
Se politici e cittadini si assomigliano, come si spiega il 4 per cento di gradimento ai partiti?
Il basso gradimento dipende da quel che abbiamo appena detto. Dovessimo affidarci alla logica, la politica dovrebbe adottare misure necessarie. Ma non succede.
Come se ne esce, ammesso che si possa uscirne?
La soluzione auspicabile è sostanzialmente impraticabile: la politica dovrebbe avere il coraggio di applicare riduzioni consistenti – direi formidabili – alle spese dei partiti, oggi inaccettabili. Ma non solo la riduzione dei rimborsi elettorali, anche l’abolizione delle Province, il ridimensionamento del numero dei parlamentari, delle indennità. E un controllo, rigoroso ed efficace, della spesa pubblica. Detto questo, il problema resta educare a un diverso modo di intendere la relazione tra persone e collettività.
http://temi.repubblica.it/micromega-online/gherardo-colombo-cosi-e-risorta-tangentopoli/
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