Le Carte Parlanti

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sabato 26 novembre 2016

Fidel Castro: MORTO “Hasta la victoria”


AVANA –  l’annuncio di Raul: “Caro popolo di Cuba: è con profondo dolore che compaio per informare il nostro popolo, gli amici ed il mondo, che oggi, 25 novembre del 2016, alle 10:29, ore della notte, è deceduto il comandante in capo della Rivoluzione Cubana Fidel Castro Ruz”: con queste parole, trattenendo a stento la commozione mentre legge un breve testo alla tv statale cubana, Raul Castro ha annunciato la morte del fratello. “Nel compiere l’espressa volontà del compaño Fidel i suoi resti saranno cremati domani sabato 26″ (oggi, ndr.),
 continua il presidente cubano.
“La commissione che organizzerà i funerali darà al nostro popolo un’informazione dettagliata
sull’organizzazione dell’omaggio postumo che verrà tributato
al fondatore della ‘Revolucion Cubana’.
Hasta la victoria siempre”, conclude il messaggio Raul Castro. Fidel Castro è morto la sera di venerdì 25 novembre all’età di novant’anni. Nato il 13 agosto 1926 a Biran, figlio del proprietario terriero
spagnolo Angel Castro e della cubana Lina Ruz, aveva studiato prima nei collegi La Salle e Dolores di Santiago de Cuba, poi, dal 1941 al 1945, a L’Avana, nella prestigiosa scuola gesuita di Belen, periodo che incide fortemente nella sua formazione culturale, così come in quella del fratello, Raul. Dopo la laurea in legge si candida alle presidenziali, progetto subito frustrato per il golpe del 10 marzo di Fulgencio Batista. La sua risposta è l’assalto alla Caserma della Moncada, il 26 luglio 1953.
Per Fidel un disastro: i ribelli vengono catturati e 80 di loro fucilati. Castro viene condannato a 15 anni di prigione e, nella sua difesa finale, pronuncia il famoso discorso su ‘La storia mi assolverà’, in cui delinea il suo sogno rivoluzionario. Dopo il carcere, amnistiato, va in esilio negli Stati Uniti, poi in Messico: è qui che conosce Ernesto Guevara. Insieme al ‘Che’, Raul ed altri 79 volontari, nel ’56 sbarca nell’isola a bordo del ‘Granma’. Il gruppo, sorpreso dalle truppe di Batista, viene decimato: in 21 riescono a rifugiarsi nella Sierra Maestra. I due anni di guerriglia mettono alle corde il dittatore. Il primo gennaio 1959 i ‘barbudos‘ entrano trionfalmente a L’Avana. Castro lo fa qualche giorno dopo. Fino al trionfo della ‘revolucion’,
l’isola viveva del commercio con Washington. Dopo la presa del potere di Fidel, il Paese diventa un
campo di battaglia della ‘guerra fredda’. Cuba riesce comunque a resistere al duro embargo americano e ad un attacco militare, quello della ‘Baia dei Porci’, organizzato dalla Cia formato da cubani reclutati all’estero. E’ poi stata al centro della crisi dei missili nel 1962, che ha rischiato di trascinare il mondo in una guerra nucleare mondiale. Forte di un inossidabile carisma e affascinante capacità oratoria, Fidel è stato per decenni il ‘nemico numero uno’ di Washington: con il risultato che, mentre accresceva la sua dipendenza dall’Urss, appoggiava i movimenti marxisti e le guerriglie in America Latina ed in Africa,
diventando tra i leader del movimento dei Paesi non Allineati. Nel frattempo, si sposa con Dalia Soto del Valle. Hanno cinque figli: Alexis, Alexander, Alejandro, Antonio e Angel. Perfino nel crepuscolo del suo mandato, Fidel e il sistema politico cubano sono riusciti nel bene e nel male a resistere alla
disintegrazione socialista e al crollo dell’Urss nel ’91. Per i cubani, Castro è stato il ‘Comandante’,
oppure semplicemente Fidel, sul quale sono state costruite tante storie: “non dorme mai”, “non scorda nulla”, “è capace di penetrarti con lo sguardo e sapere chi sei”, “non commette sbagli”. Nel 1996, a 70 anni, il riavvicinamento storico con la Chiesa cattolica di un Paese che non aveva mai davvero
abbandonato la fede. Castro è in visita in Vaticano, dove incontra papa Giovanni Paolo II. Alla morte del pontefice proclamerà tre giorni di lutto nazionale. Ha sempre avuto una salute di ferro fino all’improvvisa e grave emorragia all’intestino avuta al rientro di un viaggio dall’Argentina poco prima di compiere 80 anni. Malato, dopo aver delegato il potere al fratello Raul – prima in modo provvisorio il 31 luglio 2006, poi definitivamente nel febbraio 2008 – ha così cominciato il conto alla rovescia verso la fine di una vita leggendaria. L’era di Fidel si scioglie lentamente, in mezzo a una nuova Cuba ogni volta più ‘raulista’,
tra una serie di riforme economiche e la mano ferma del potere sul fronte politico: di sicuro una
transizione, la cui portata è però difficile da capire. La data chiave della nuova era è il 17 dicembre
2014: quel giorno, a sorpresa e con la mediazione di Bergoglio, L’Avana e Washington annunciano il
disgelo bilaterale. Fidel assiste da lontano al deshielo, ogni tanto scrive qualcosa ribadendo concetti
quali la ‘sovranità nazionale’ e il ‘no all’impero’. Ma in sostanza a dettare il ritmo dei cambiamenti ormai è Raul. I limiti al suo mandato Fidel li aveva fissati nel 2003, dirigendosi ai cubani: “Rimarrò con voi, se lo volete, finché avrò la consapevolezza di potere essere utile, se prima non lo decide la stessa natura. Nè un un minuto prima né un secondo dopo”.

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martedì 17 novembre 2015

Morto il Partigiano che Fucilò Mussolini



il partigiano Bruno Lonati: fucilò Benito Mussolini

Addio all'ex partigiano Bruno Giovanni Lonati, noto durante la Resistenza con il nome di battaglia di «Giacomo», commissario politico della 101a Brigata Garibaldi, che 21 anni fa si assunse la responsabilità di aver fucilato Benito Mussolini. Lonati è morto nella sua casa di Brescia all'età di 94 anni. L'annuncio della scomparsa è stato dato all'Adnkronos dalla sua famiglia, dopo il funerale che si è svolto stamani nella chiesa bresciana di Sant'Angela Merici. Nel 1994 Lonati pubblicò il libro «Quel 28 aprile. Mussolini e Claretta: la verità» (Mursia editore) in cui rivelò di essere stato lui l'autore dell'uccisione del dittatore fascista il 28 aprile 1945, poco dopo le ore 11, in una stradina a Bonzanigo di Mezzegra, sul lago di Como, nell'ambito di una missione segreta diretta dall'agente segreto inglese John Maccaroni, detto «il capitano John», ufficiale dello Special Operations Executive (Soe). Da allora la sua testimonianza ha fatto versare fiumi di inchiostro, perchè smentiva la versione ufficiale secondo cui ad uccidere Mussolini fu il partigiano comunista Walter Audisio, nome di battaglia Colonnello Valerio, con i compagni Michele Moretti e Aldo Lampredi...


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domenica 2 agosto 2015

Ecstasy: Serve " Riduzione del Danno "


Sedicenne morto a Riccione, il medico: 
“Serve riduzione del danno. Invece si fa solo repressione”

 – “Perché nessuno prende in considerazione che il ragazzo sia morto per ipertermia maligna? Perché tutti si limitano a dare la colpa all’ecstasy? Io credo sia morto per il modo in cui ha assunto la sostanza”. Salvatore Giancane, medico tossicologo, professore a contratto della Scuola di specializzazione in psichiatria, non ci sta: con una lunghissima esperienza alle spalle nella cura e nell’assistenza a tossicodipendenti, non ammette semplificazioni sulla morte del sedicenne di Città di Castello (Perugia), sentitosi male al Cocoricò di Riccione lo scorso sabato dopo avere assunto una dose di ecstasy liquida.



“I ragazzi, oggi, assumono ecstasy per ballare tutta la notte. Ballando, producono calore: la temperatura corporea aumenta fino a causare insufficienza renale. Intanto, l’ecstasy agisce direttamente sul sistema termoregolatore, che arriva a impazzire: la temperatura sale fino a 42, 43 gradi. A quel punto, non è più compatibile con la vita: si può solo provare a immergere la persona in una vasca di acqua e ghiaccio”. Se si assume droga, quindi, “è indispensabile bere molta acqua, fare qualche pausa dal ballo, per controllare la temperatura corporea. Immagino che il ragazzo non ci abbia pensato, che nessuno gliel’abbia detto, cosa ben più grave. Il caldo di questi giorni ha fatto il resto”.

A uccidere il ragazzo, dunque, potrebbe non essere stata l’ecstasy in sé, ma la sostanza assunta in quelle condizioni: “Non intendo assolvere l’ecstasy, ma serve dare un’informazione completa. E nessuno, sin qui, l’ha fatto: serve indagare sulle concause. Ecco perché la domanda corretta da porsi non è ‘chi è il pusher’, ma se ‘c’era acqua in discoteca’, se ‘c’erano degli operatori per informare su questi rischi’, se ‘c’era qualcuno che tenesse d’occhio la pista e portasse acqua a chi ballava da troppo tempo’.

Per Giancane, queste non sono domande surreali, perché qualche anno fa gli operatori erano in discoteca, distribuivano acqua: “Si chiama riduzione del danno. Oggi non si fa più nulla”. Il docente, autore di “Eroina. La malattia da oppiodi nell’era digitale”, registra, negli ultimi anni, un cambiamento di politica: “Siamo usciti dal solco tracciato dell’Unione Europea, da quasi 10 anni il Dipartimento delle politiche antidroga non parla più di riduzione del danno. Si punta solo sulla prevenzione primaria”. Il paradigma in base a cui si ragiona, spiega, è: “È vietato, quindi non deve succedere”. E se succede si arresta il pusher e si fa chiudere per qualche mese la discoteca. “Ma i ragazzi vanno avanti a drogarsi: troveranno un altro pusher, e un altro luogo dove farlo. Magari un baraccone abbandonato, ancora peggio”, prosegue Giancane.

La prevenzione primaria ha come obiettivo il prevenire il primo contatto con la droga: “Ma io la trovo irrealistica e non misurabile. Non ha mai funzionato. Quello su cui credo sia necessario investire è la prevenzione terziaria, vale a dire prevenire che un consumatore occasionale ne riceva un danno e sviluppi una dipendenza. Se fosse questa la strada del nostro Paese, il ragazzo sarebbe ancora vivo“.

Per questo, Giancane ritiene assurda la richiesta di chiudere la discoteca: “Avrebbe senso solo se venisse dimostrata una connivenza. Non si può pretendere che il personale del locale controlli tutti i clienti, è un lavoro da operatori ma purtroppo i fondi per questo scopo sono stati tagliati”. Chi lavora più sul mondo della notte? “La politica ha smontato l’80 per cento di quello che c’era, e funzionava, anni fa. Quanti passi indietro sono stati fatti. Accusavano gli operatori di dare suggerimenti su come assumere stupefacenti, li chiamavano ‘distributori di metadone’. Noi cercavamo solo di salvare delle vite. Ma chi avrà più la forza di ricostruire questa cultura distrutta?”, chiede ancora il docente.

Oggi, dice il medico, si sovvenziona solo la repressione, senza che nessuno alzi la voce per opporsi: “Da quanti anni la politica non chiede il parere degli operatori? Da 10 anni. Perché? Perché la risposta implicherebbe nuove e buona volontà. Sulla droga non si può partire da questioni morali: non esiste il giusto e lo sbagliato, non c’è il bianco e il nero, ma un’infinita serie di grigi. Chiedo che si prenda atto del rischio, che non lo si neghi. Il metodo repressivo di oggi è il più presuntuoso e deresponsabilizzante: il commento è sempre ‘Se l’è cercata’. Se invece si parlasse di prevenzione, riduzione del danno, se operatori nelle piste italiane facessero prevenzione, consegnassero acqua, suggerissero di prendere fiato ogni tanto, sarebbe una bella responsabilità, da garantire. Piaccia o no, è quella la strada: perché una tragedia come quella di Riccione avrebbe potuto essere prevenuta, e quindi evitata”.



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domenica 25 marzo 2012

E’ morto Tonino Guerra



 E’ morto Tonino Guerra.
 Il poeta era nato a Santarcangelo di Romagna 
il 16 marzo del 1920.

 Guerra ha lavorato con i più grandi registi del nostro tempo, tra Vittorio De Sica, Federico Fellini, Andrej Tarkovskij, Michelangelo Antonioni.



Alcune delle più famose poesie di Tonino Guerra.
 

La farfalla
Contento, proprio contento
sono stato molte volte nella vita
ma più di tutte quando
mi hanno liberato in Germania
che mi sono messo a guardare una farfalla
senza la voglia di mangiarla.

L'aria

L’aria l’e cla roba lizira
che sta dalonda la tu testa
e la dventa piò céra quand che t’roid
L’aria è quella cosa leggera,
che sta intorno alla tua testa
e diventa più chiara quando ridi.

Amarcord
Lo so, lo so, lo so
che un uomo, a 50 anni,
ha sempre le mani pulite
e io me le lavo due o tre volte al giorno
ma è quando mi vedo le mani sporche
che io mi ricordo di quando
ero ragazzo.


Maestro elementare, nel 1943, durante la seconda guerra mondiale viene deportato in Germania e internato in un campo di concentramento a Troisdorf. « Mi ritrovai con alcuni romagnoli che ogni sera mi chiedevano di recitare qualcosa nel nostro dialetto. Allora scrissi per loro tutta una serie di poesie in romagnolo. »

 Dopo la Liberazione si laurea in pedagogia presso l'Università di Urbino (1946), con una tesi orale sulla poesia dialettale. Fa leggere i suoi componimenti a Carlo Bo. Ottenuti riscontri positivi, decide di pubblicarli, a sue spese. La raccolta s'intitola I scarabocc (Gli scarabocchi); Bo ne firma la prefazione. Diventa membro di un gruppo di poeti, «E circal de giudeizi» (Il circolo della saggezza), di cui fanno parte anche Raffaello Baldini e Nino Pedretti. Al 1952 risale l'esordio come prosatore con un breve romanzo, La storia di Fortunato.

Nel 1953 si trasferisce a Roma, dove avvia una fortunata attività di sceneggiatore. Nella sua lunga carriera ha collaborato con alcuni fra i più importanti registi italiani del tempo (Federico Fellini, Michelangelo Antonioni, Francesco Rosi, i fratelli Taviani, ecc.). Dalla collaborazione con il regista ferrarese Antonioni, gli giungerà anche la nomination al premio Oscar nel 1967, per il film Blow-Up. Negli anni ottanta torna in Romagna. Dal 1989 vive e lavora a Pennabilli, centro del Montefeltro romagnolo, che gli ha conferito la cittadinanza onoraria in riconoscenza dell'amore dimostrato nei confronti di questo territorio.

 Qui ha dato vita a numerose installazioni artistiche. Si tratta di mostre permanenti che prendono il nome de I Luoghi dell'anima tra cui: L'Orto dei frutti dimenticati, Il Rifugio delle Madonne abbandonate, La Strada delle meridiane, Il Santuario dei pensieri, L'Angelo coi baffi, Il Giardino pietrificato. Una sua installazione artistica, "L'albero della memoria", è presente anche a Forlì, presso i Giardini Orselli. Guerra divenne famoso presso il grande pubblico nel 2001, come testimone della catena di negozi di elettronica UniEuro, creando il tormentone dell'ottimismo ("Gianni, l'ottimismo è il profumo della vita!"), ripreso tra gli altri dal suo compaesano, e pronipote, Fabio De Luigi in un suo personaggio comico, l'Ingegner Cane.

 Nel 2006 appare nel documentario Mattotti di Renato Chiocca, leggendo un estratto dalla sua raccolta di racconti Cenere illustrata da Lorenzo Mattotti. Nel 2010, in occasione dei suoi 90 anni, riceve il David di Donatello alla carriera. Il 10 novembre 2010 è stato insignito dall'Università di Bologna del Sigillum Magnum. È il padre del noto compositore di musiche per film e sceneggiati Andrea Guerra. Muore all'età di 92 anni nella sua amata Santarcangelo il 21 marzo 2012, in coincidenza con la celebrazione della Giornata Mondiale della Poesia istituita dall'Unesco.

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lunedì 7 marzo 2011

CUBA, E’ MORTO ALBERTO GRANADO, FIERO SOSTENITORE DELLA RIVOLUZIONE CUBANA


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CUBA, E’ MORTO ALBERTO GRANADO, FIERO SOSTENITORE DELLA RIVOLUZIONE CUBANA
E’ morto ieri all’Avana Alberto Granado. Aveva 89 anni, ed è stato spesso, ingiustamente, ricordato solo  come compagno di viaggio di Ernesto Guevara tra il 1951 e il 1952 nel celebre viaggio in motocicletta attraverso il continente sudamericano. Alberto è stato anche, e soprattutto,  un fiero sostenitore della rivoluzione cubana, alla quale aderì, traferendosi dal Venezuela,  nel 1960.  Per tutti era “il dottore” , colui che in quegli anni mise in piedi e diresse un centro all’avanguardia  specializzato in ricerche mediche e biologiche, oggi sono uno dei vanti dell’ Isla.
Amava i viaggi, Alberto, ma ricordava sempre come lo spirito che lo animava nell’intraprenderli non era semplicemente la volontà di conoscere il mondo, ma anche di trasformarlo.
Ciao Alberto, fiero sostenitore della revolucion!




I Diari della Motocicletta




Argentina, 1952. Due amici alla scoperta dell'America Latina. Ernesto Guevara ha 23 anni, studia medicina. Alberto Granado di anni ne ha 29, è laureato in biologia. Partono da Buenos Aires in sella a una Norton 500 del 1939, "la poderosa". Argentina, Cile, Perù, Colombia, Venezuela. Otto mesi. Persone e luoghi. Un continente diverso dal previsto. Le miniere di rame cilene e le condizioni dei minatori. L'Amazzonia peruviana e il lebbrosario di San Pablo. La Colombia, le manifestazioni giovanili, l'arresto. Il Venezuela, Granado che si ferma per fare il ricercatore. Si sveglia il germe degli uomini che diverranno più tardi. Si definisce il percorso etico e politico al quale dedicheranno la vita. In quel viaggio due giovani uomini trovano il loro posto nel mondo.

I diari della motocicletta è basato sui ricordi scritti da Guevara (Latinoamericana, Feltrinelli) e da Granado (Un gitano sedentario, Sperling&Kupfer), e nasce dal lavoro congiunto di Robert Redford, produttore, e del giornalista Gianni Minà (che da tempo cercava di realizzare un film sulla base di quelle memorie).




Che cosa accadde dopo quel viaggio ? Guevara rientrò in Argentina, si laureò, ripartì per raggiungere il suo amico, ma si imbatté nella repressione dello sciopero dei minatori in Bolivia e nel colpo di stato in Guatemala e in Messico. Conobbe i giovani cubani che stavano preparando la rivoluzione contro Batista e si unì a loro. Quattro anni dopo era il comandante Che Guevara, otto anni dopo chiamava a Cuba il suo vecchio amico. Che lo raggiunse, fondò la scuola di medicina di Santiago e avviò la ricerca biotecnologica.
Ora Granado è un pensionato povero ma non si è mai pentito di aver fatto questa scelta. "La mia lunga esistenza - ha dichiarato - è stata segnata da tre fattori fondamentali: la mia innata capacità di essere fedele ai miei sogni, la mia eterna amicizia per Ernesto Guevara, il mio impegno nella costruzione della Rivoluzione cubana. E sono grato alla vita per quello che mi ha dato".


recensione tratta da "La Repubblica"



Solo per essere un film "on the road" sarebbe un film da citare, ma ritengo non sia solo questo, in esso sono condensati anche i miei ricordi giovanili, miti mai spenti e il piacere di godere di un film con una struttura semplice, lineare, che ha resistito al rischio di cadere in facili soliloqui o sopratutto in mitismi edulcorati sul personaggio principale.
Ha seguito la trama dei due libri scritti dai due protagonisti, riportando alla luce due giovani con i desideri di libertà, di divertimento e di disponibilità tipiche dell'età giovanile.
Bellissime sono le immagini sui paesaggi incontrati che ci fanno attraversare l'intero Continente Sud Americano.

La mia recensione 

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giovedì 8 aprile 2010

Cucchi non è morto per disidratazione

«Cucchi non è morto per disidratazione»

Paolo Arbarello, direttore dell’istituto di Medicina legale dell’università La Sapienza, ha illustrato le conclusioni – che ha consegnato ai magistrati – della consulenza elaborata con un pool di esperti per far luce sulla morte di Stefano Cucchi. «Cucchi non è morto per disidratazione. La sera prima del decesso aveva assunto tre bicchieri d’acqua ed erano stati fatti dei prelievi di urina da cui è emersa una corretta funzionalità renale. Stefano Cucchi pur in condizioni cliniche estremamente difficili, non è stato curato. Il quadro clinico del giovane all’ingresso all’ospedale Pertini era fortemente compromesso e non permetteva la degenza nel reparto detentivo. Cucchi avrebbe dovuto essere stato ricoverato in un reparto per acuti. Abbiamo rilevato una carenza assistenziale. Abbiamo un dubbio sul perché un paziente in quelle condizioni sia stato avviato a quel reparto. Andavano impostate diversamente le terapie. Ci sono state omissioni e negligenze». Nemmeno le lesioni vertebrali trovate sul corpo di Cucchi [tipiche di una caduta da seduto, che ha coinvolto il coccige]hanno causato la sua morte: «Non sta a noi stabilire da cosa siano state provocate, ma comunque non sono state la causa della morte» ha detto Arbarello. «L’assistenza -ha proseguito il medico legale – non è stata adeguata. Invece le indicazioni del Fatebenefratelli e di Regina Coeli erano corrette».

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mercoledì 8 aprile 2009

L'uomo morto al G20 e' stato aggredito dalla polizia



Il domenicale Observer raccoglie le testimonianze di chi ha visto cadere l'edicolante Tomlinson
durante la manifestazione contro il vertice dei Grandi: "Spinto e manganellato"
Londra: "L'uomo morto al G20
è stato aggredito dalla polizia"

dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI

LONDRA - Ci sono voluti cinque giorni, ma la verità sulla morte misteriosa di un uomo durante la "battaglia" di mercoledì scorso nella City tra dimostranti e polizia comincia finalmente ad emergere. La Independent Police Complaints Commission (Ipcc), una commissione governativa indipendente che ha la supervisione del comportamento della polizia, ha ricevuto testimonianze oculari secondo cui la vittima è crollata al suolo dopo essere stata assalita da agenti anti-sommossa armati di manganelli.

Come riportato per primo giovedì da Repubblica citando fonti dei manifestanti che dicevano "lo hanno ucciso", Ian Tomlinson, un edicolante di 47 anni che tornava a casa dal lavoro, avrebbe dunque perso la vita a causa delle forze dell'ordine, non per un infarto sofferto per caso mentre si trovava nelle vicinanze degli scontri tra no-global e poliziotti come riportato finora da Scotland Yard.

La commissione independente non ha ancora reso noto il suo rapporto sulla vicenda, al termine del quale deciderà se aprire un'indagine giudiziaria ufficiale per individuare i responsabili di una "morte sospetta", ovvero di un possibile omicidio. Ma ieri l'Observer, edizione domenicale del quotidiano Guardian, ha a sua volta pubblicato tre resoconti, forse degli stessi testimoni che hanno deposto davanti alla Ipcc, in cui si afferma che Tomlinson fu attaccato "violentemente" dagli agenti. Uno di questi sostiene che l'uomo è stato colpito pesantemente alla testa con un manganello. Un altro riferisce che è stato spinto alle spalle dai poliziotti con una forza tale da fargli sbattere la testa per terra. E uno di questi testimoni ha dato al giornale anche fotografie scattate sulla scena, in cui si vede l'edicolante a terra, inerme, circondato da poliziotti con caschi, scudi e manganelli: fa un gesto come per protestare o ripararsi. Successivamente al suo fianco c'è un giovane in abiti borghesi che, secondo i resoconti, lo ha aiutato a rialzarsi. Ma i testimoni concordano che dopo aver mosso qualche passo barcollando, Tomlinson si è accasciato di nuovo al suolo: e non ha mai più ripreso conoscenza.

Dice all'Observer Anna Branthwaite, una esperta fotoreporter: "Ricordo bene di averlo visto. Veniva spintonato da dietro da un poliziotto in assetto anti-sommossa, due o tre minuti prima che perdesse i sensi. Non era un esagitato o un provocatore, ma la polizia sembrava aver perso il controllo. Gli agenti avevano chiuso la zona della manifestazione, non lasciavano entrare o uscire nessuno, ma qualche passante riusciva lo stesso a filtrare trai cordoni di poliziotti. Tomlinson era uno di questi". E' una tattica che i dimostranti hanno definito come "chiuderci in gabbia", usata anche in altri paesi in occasione di manifestazioni di protesta: accadde anche al G8 di Genova, e ora fortemente criticata dalla stampa inglese, che accusa la polizia di metodi brutali che hanno fatto salire la tensione e incentivato gli scontri. Un altro testimone oculare, Amiri Howe, 24 anni, ricorda di aver visto un agente picchiare Tomlinson "vicino alla testa" con un manganello: è lui che ha scattato le foto dell'episodio pubblicate dall'Observer. Dice una donna, di cui il giornale non rivela il nome ma che ha testimoniato alla commissione indipendente: "L'ho visto cadere a terra, dopo essere stato violentemente spintonato in avanti. da un poliziotto. Ho notato che cadendo ha sbattuto in modo orrendo la fronte sul marciapiede. Ne sono rimasta fortemente impressionata". E un'altra donna, Natalie Langord, 21 anni, riferisce i suoi ultimi attimi di vita: "Barcollava, pareva disorientato, poi è crollato al suolo. Ho chiesto a un mio amico di soccorrerlo".

E' a questo punto che alcuni manifestanti hanno chiamato altri poliziotti, che hanno inviato sul posto due infermieri, i quali hanno inutilmente tentato di rianimare Tomlinson e poi hanno fatto arrivare un ambulanza: ma l'uomo è arrivato morto in ospedale. Era sposato, ma viveva da solo in un ostello nei pressi della City. David Howart, deputato del partito liberal-democratico, afferma che "dovrà esserci una piena inchiesta giudiziaria, è possibile che quest'uomo sia stato ucciso dalla polizia".

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giovedì 19 marzo 2009

MARCO BIAGI - LEGGE 30



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Il racconto «Si sentiva al posto giusto nel momento giusto»
La vedova Biagi: io, Marco
e la lotta per i disoccupati
«La sera prima mi disse: non posso smettere»
Dopo 7 anni di silenzio la vedova di Marco Biagi parla del marito nell'aula del consiglio comunale di San Lazzaro di Savena




BOLOGNA — Le prime parole in pubblico. Dopo sette anni. Un ricordo privato. Lui preoccupato per quella scorta che il ministero gli aveva tolto. Lei che lo incoraggia a tenere duro. Lui che la guarda, le dà ragione, mai immaginando che solo 24 ore dopo sarebbe morto sotto i colpi di un commando di brigatisti rossi. La tragedia di Marco Biagi, giuslavorista e consulente di vari ministri (l'ultimo fu Roberto Maroni), padre del Libro Bianco e tra gli autori del Patto sul Lavoro, trucidato dalle Brigate rosse il 19 marzo del 2002 all'età di 51 anni, si è materializzata ieri sera nell'aula di un piccolo consiglio comunale alle porte di Bologna, San Lazzaro di Savena.

All'improvviso, sfuggendo a qualsiasi copione, la vedova Marina Orlandi ha ricordato uno degli ultimi episodi della vita del marito e, forse, della loro stessa vita matrimoniale. Era il 18 marzo 2002. Marco Biagi, come tutti i giorni, era rientrato a Bologna, nella casa di via Valdonica 14, nell'ex ghetto ebraico, poco lontano dalle Due Torri, dopo essere sceso dal treno che lo riportava da Modena, dove insegnava all'Università, e dopo aver percorso in sella alla sua bicicletta vicoli e portici del centro storico. Non sapeva che occhi nemici lo controllavano da tempo. Non sapeva che la sua sorte era segnata. Era un uomo turbato. Che aveva ricevuto minacce. Si occupava di lavoro, di precariato: temi delicatissimi, potenzialmente mortali, come aveva tragicamente confermato l'omicidio di Massimo D'Antona, anche lui consulente di governo. Eppure a Biagi, in un terribile mix di ottusità burocratica e negligenze amministrative, era stata tolta la scorta. «Quella sera— ha ricordato ieri Marina Orlandi nel silenzio quasi solido dell'aula consiliare — Marco mi riferì la sua preoccupazione e la sua amarezza per il fatto di non aver più alcuna difesa. Eppure, disse, tratto questioni cruciali».

La moglie lo ascoltò in silenzio. E lui, quasi parlando a se stesso: «Eppure non posso smettere. No, proprio ora che mi trovo al momento giusto e nel posto giusto per riuscire a fare qualcosa che aiuti i disabili, le donne e chi perde il lavoro a 40 anni... No, non posso smettere». La risposta di Marina fu la sola possibile: «Lo incoraggiai ad andare avanti... ». Poi, di un fiato: «Il giorno dopo mio marito non sarebbe riuscito a salire le scale...». Gli spararono sei colpi, alle 20 e 10, davanti a casa. Quello mortale gli bucò il collo. Marina e i due figli erano in casa. Sentirono gli spari. Gli assassini sono stati presi e condannati all'ergastolo. Nel nome di Biagi ora ci sono strade, piazze e facoltà universitarie. Poi c'è una Fondazione che opera nel campo del diritto del lavoro. La signora Orlandi ne è il motore. E forse tutto parte da quella frase: «No, non posso smettere ».

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RISPETTO X LA FAMIGLIA .
HANNO DEDICATO UNA LEGGE AL GIUSLAVORISTA OMETTENDO PERO' GLI STUDI DEDICATI AGLI AMORTIZZATORI SOCIALI , QUINDI E' UN ERRORE CHIAMARLA LEGGE BIAGI , E' LA LEGGE 30,
SEMPRE TANTO RISPETTO X LA MEMORIA ............

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lunedì 23 febbraio 2009

LUCA ROSSI

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Ventidue per Luca
Desiderio di un mondo giusto: la forza di un sogno




23 febbraio 1986: la storia di Luca
Siamo sul finire di febbraio, il 23 febbraio dell’anno 1986, in una piazza della Bovisa, Milano. è sera, Luca e Dario, giovani militanti e studenti universitari, non ancora vent’anni, stanno correndo per prendere la filovia in Piazzale Lugano.
Hanno l’ennesimo appuntamento, stavolta con un amico, e insieme tante cose da intraprendere, da dire, da realizzare nella città.
La passione e la vita, la dolcezza e la lotta glielo consentono.
In comune hanno anche lo stesso desiderio: capire come va questo maledetto mondo, quindi osservarlo, studiarlo, frequentarlo e non da ultimo cambiarlo alla radice affinché smetta di essere minaccioso e ingiusto e diventi un luogo ospitale e accogliente per tutti gli esseri viventi, umani inclusi.
L’ideale dei vent’anni è generoso, testardo, senza paura; è il sogno più bello che vorrebbe occupare le strade, l’affermazione entusiasta del possibile, la corrente calda che attraversa la città di ghiaccio e non dimentica gli impegni presi.
E il reale? Il reale non sogna mai, se ci prova genera incubi.
Poco distante, in un altro punto della stessa piazza, alcune persone discutono animatamente, scoppia una rissa. Xyz, 27 anni, in forza alla Digos, fuori servizio, estratta la sua pistola d’ordinanza e piegate leggermente le ginocchia in posizione di tiro punta e spara.
Due colpi lacerano l’aria: una traiettoria dall’esito micidiale collega il reale all’ideale. Improvvisamente Luca è a terra ferito a morte.
Uno dei proiettili lo ha raggiunto al fianco di rimbalzo.
La sua vita è straziata: morirà durante la notte, in ospedale.


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