giovedì 19 marzo 2009
MARCO BIAGI - LEGGE 30
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Il racconto «Si sentiva al posto giusto nel momento giusto»
La vedova Biagi: io, Marco
e la lotta per i disoccupati
«La sera prima mi disse: non posso smettere»
Dopo 7 anni di silenzio la vedova di Marco Biagi parla del marito nell'aula del consiglio comunale di San Lazzaro di Savena
BOLOGNA — Le prime parole in pubblico. Dopo sette anni. Un ricordo privato. Lui preoccupato per quella scorta che il ministero gli aveva tolto. Lei che lo incoraggia a tenere duro. Lui che la guarda, le dà ragione, mai immaginando che solo 24 ore dopo sarebbe morto sotto i colpi di un commando di brigatisti rossi. La tragedia di Marco Biagi, giuslavorista e consulente di vari ministri (l'ultimo fu Roberto Maroni), padre del Libro Bianco e tra gli autori del Patto sul Lavoro, trucidato dalle Brigate rosse il 19 marzo del 2002 all'età di 51 anni, si è materializzata ieri sera nell'aula di un piccolo consiglio comunale alle porte di Bologna, San Lazzaro di Savena.
All'improvviso, sfuggendo a qualsiasi copione, la vedova Marina Orlandi ha ricordato uno degli ultimi episodi della vita del marito e, forse, della loro stessa vita matrimoniale. Era il 18 marzo 2002. Marco Biagi, come tutti i giorni, era rientrato a Bologna, nella casa di via Valdonica 14, nell'ex ghetto ebraico, poco lontano dalle Due Torri, dopo essere sceso dal treno che lo riportava da Modena, dove insegnava all'Università, e dopo aver percorso in sella alla sua bicicletta vicoli e portici del centro storico. Non sapeva che occhi nemici lo controllavano da tempo. Non sapeva che la sua sorte era segnata. Era un uomo turbato. Che aveva ricevuto minacce. Si occupava di lavoro, di precariato: temi delicatissimi, potenzialmente mortali, come aveva tragicamente confermato l'omicidio di Massimo D'Antona, anche lui consulente di governo. Eppure a Biagi, in un terribile mix di ottusità burocratica e negligenze amministrative, era stata tolta la scorta. «Quella sera— ha ricordato ieri Marina Orlandi nel silenzio quasi solido dell'aula consiliare — Marco mi riferì la sua preoccupazione e la sua amarezza per il fatto di non aver più alcuna difesa. Eppure, disse, tratto questioni cruciali».
La moglie lo ascoltò in silenzio. E lui, quasi parlando a se stesso: «Eppure non posso smettere. No, proprio ora che mi trovo al momento giusto e nel posto giusto per riuscire a fare qualcosa che aiuti i disabili, le donne e chi perde il lavoro a 40 anni... No, non posso smettere». La risposta di Marina fu la sola possibile: «Lo incoraggiai ad andare avanti... ». Poi, di un fiato: «Il giorno dopo mio marito non sarebbe riuscito a salire le scale...». Gli spararono sei colpi, alle 20 e 10, davanti a casa. Quello mortale gli bucò il collo. Marina e i due figli erano in casa. Sentirono gli spari. Gli assassini sono stati presi e condannati all'ergastolo. Nel nome di Biagi ora ci sono strade, piazze e facoltà universitarie. Poi c'è una Fondazione che opera nel campo del diritto del lavoro. La signora Orlandi ne è il motore. E forse tutto parte da quella frase: «No, non posso smettere ».
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RISPETTO X LA FAMIGLIA .
HANNO DEDICATO UNA LEGGE AL GIUSLAVORISTA OMETTENDO PERO' GLI STUDI DEDICATI AGLI AMORTIZZATORI SOCIALI , QUINDI E' UN ERRORE CHIAMARLA LEGGE BIAGI , E' LA LEGGE 30,
SEMPRE TANTO RISPETTO X LA MEMORIA ............
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