La Giornata internazionale dei popoli nativi
In occasione della Giornata internazionale dei popoli nativi, che si celebra oggi in tutto il mondo, Amnesty International ha pubblicato un rapporto in cui accusa i governi del continente americano di dare priorità ai profitti anziché alla sopravvivenza fisica e culturale di migliaia di persone.Autostrade, oleodotti, miniere, dighe e centrali idroelettriche… Da nord a sud, le Americhe sono attraversate da progetti di sviluppo: espressione suadente che finisce per etichettare coloro che si oppongono a questi progetti come meri avversari del progresso.
La realtà è che 300 milioni di persone, nelle Americhe come in ogni altra parte del mondo, chiedono di essere consultati preventivamente sui progetti riguardanti i loro territori. Non supplicano un favore, ma pretendono un diritto, riconosciuto a livello internazionale in dichiarazioni, accordi e sentenze.
Tenere all’oscuro i popoli nativi su ciò che riguarda la loro vita, la loro cultura e la loro stessa sopravvivenza, è per i governi la regola e non l’eccezione. Pronti a stare dalla parte delle aziende, dove girano i soldi, vengono meno al dovere di coinvolgere le comunità interessate per ottenere il loro consenso, libero, preventivo e informato.
Il 9 agosto si è celebrata la Giornata Internazionale dei popoli nativi. E mentre, purtroppo, le gravi violazioni dei diritti umani delle comunità indigene in tutto il mondo continuano, è accaduto un evento positivo: una vittoria recentemente ottenuta da una popolazione meravigliosa e coraggiosa, in Ecuador, i Sarayaku, o meglio “I figli del giaguaro”.
L’America Latina conta una presenza significativa di popolazioni indigene, la cui sopravvivenza viene quotidianamente messa a rischio da violazioni dei diritti umani, perpetrate da compagnie multinazionali molto spesso in accordo con i governi locali.
Il primo diritto, sancito dalla Convenzione 169 della International Labour Organization (ILO) e dalla Dichiarazione dei Diritti dei Popoli Indigeni del 2007, è il diritto alla “consultazione” preventiva dei rappresentanti e delle autorità delle comunità indigene che risiedono nel loro territorio ancestrale, ricco di risorse naturali e che viene sfruttato per qualunque tipo di attività, sia essa mirata a scopi economici, militari o quant’altro.
Amnesty International ha adottato la causa dei Sarayaku: è di recente pubblicazione il video realizzato in collaborazione con la comunità stessa.
Un’emozionante testimonianza di lotta coraggiosa e tenace che ha coinvolto donne, bambini, uomini, vecchi e giovani, appartenenti a questa piccola comunità di poco più di un migliaio di persone e che è riuscita a portare il proprio caso davanti alla Corte Interamericana, uscendone il 25 luglio scorso, con una vittoria impareggiabile.
Il leader della Comunità Gualinga afferma che questa vittoria è di buon auspicio e che sarà stimolo per tutti i nativi dell’America Latina la cui vita viene messa a rischio, in nome del progresso.
I Sarayaku sono indigeni Kichwa che vivono in una zona remota di un lembo dell’Amazzonia in Ecuador, nella provincia di Mostaza, lungo il rio Bobonaza.
Dal 2002 la vita di questo gruppo indigeno, impostata totalmente in armonia con la natura, è stata bruscamente disturbata dall’arrivo di compagnie petrolifere multinazionali che, senza aver pre-consultato i leader della comunità indigena, hanno dato il via ad attività di ricerca di petrolio, mettendo a repentaglio la vita stessa degli indigeni.
In realtà la lotta dei Sarayaku era iniziata già nel 1996 contro l’azienda argentina Compania General de Combustibles (CGC) che aveva collocato nella foresta una quantità enorme di materiale esplosivo (1.400 kg). Esplosivo fortunatamente mai attivato, ma che ha causato danni ad alberi, siti sacri e sorgenti d’acqua.
I Sarayaku, con l’appoggio del loro legale Mario Melo e di associazioni umanitarie, come Amnesty International, hanno portato il loro caso davanti alla corte Interamericana, affrontando umiliazioni, violazioni, minacce di morte e pressioni psicologiche.
Il loro coraggio e la loro perseveranza sono state premiate: la sentenza della Corte Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) si è conclusa a favore dei nativi.
I Sarayaku riceveranno un’indennità pari a 1 milione e quattrocento dollari e il riconoscimento che nessuna attività di esplorazione del territorio potrà essere portata avanti senza che la comunità sia prima consultata e abbia fatto parte del comitato decisionale.
I Sarayaku appartengono ad una comunità esemplare, continueremo a seguirli e sostenerli nella loro lotta per la salvaguardia dei loro diritti e della loro Madre Terra.
di Rosi Penna
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