Direttori musei, Daverio: «Allora dateci anche i ministri stranieri»
Sette sovrintendenti su 20 vengono dall'estero. Lo storico dell'arte «Come faranno a districarsi nel nostro diritto amministrativo? Siamo dei pressapochisti. Politica inadeguata».
I 20 musei più importanti d'Italia sono per il 35% gestiti da stranieri.
Il ministro Dario Franceschini ha fatto le sue scelte.
Ha preso in mano le terne proposte dalla commissione guidata da Paolo Baratta e ha tirato fuori i nomi dei direttori.
NATALI LASCIA GLI UFFIZI. Sette sono stranieri, non una percentuale irrilevante, e se la Galleria Borghese di Roma è rimasta sotto la guida di Anna Coliva, che la dirige dal 2006, gli Uffizi sono costretti a salutare Antonio Natali.
Al suo posto arriva Eike Schmidt, un esperto tedesco di arte fiorentina.
A Brera c'è James Bradburne, un passato recente a Palazzo Strozzi a Firenze, alla Galleria dell'Accademia, a custodire il David di Michelangelo, un'altra tedesca, Cecile Hollberg.
«SISTEMA DA BOCCIARE IN TOTO». «Si vede che in Italia non abbiamo più gli intellettuali di una volta», commenta ironicamente lo storico dell'arte Philippe Daverio a Lettera43.it, «o magari è colpa di qualcun altro, non lo sappiamo».
In realtà lui ha le idee piuttosto chiare: «Personalmente ritengo che questo sistema vada bocciato in toto. Come fa uno straniero a orientarsi col diritto amministrativo italiano?».
DOMANDA. L'Italia non è in grado di produrre i suoi direttori di museo?
RISPOSTA. Prima abbiamo scoperto che non eravamo capaci di avere sovrintendenti di teatro, ora impariamo che non abbiamo personale adatto per dirigere i musei. Io mi auguro che il prossimo passo sia scoprire che non abbiamo personale politico adeguato e che andiamo a prendere anche un po' di ministri sul mercato internazionale.
D. C'è del sarcasmo nelle sue parole.
R. Sarebbe la scelta più opportuna, perché alcuni sovrintendenti sono stati sicuramente più abili di tanti ministri. Quindi perché non andare all'estero a cercare anche questi?
D. Molto chiaro. Quindi è colpa della politica?
R. Be', riflettiamo: un ministero che non in grado di produrre una propria dirigenza andrebbe radicalmente riformato.
D. Come mai è così tranciante?
R. Perché il sistema amministrativo della nostra struttura museale è talmente complesso che uno che viene da fuori, e non ha idea del diritto amministrativo italiano, non sarà in grado di fare niente.
D. I nuovi direttori non le piacciono?
R. Alcuni di loro li ho già visti operare in Italia, e devo dire che non sono stati brillanti.
D. Vuole fare i nomi?
R. Ma no, poveretti, dai. La mia è una scelta umanitaria... Poveretti.
D. In Italia c'è di meglio?
R. Se li paragono ai sovrintendenti di una volta, a Nicola Spinosa, a Raffaello Causa, questi a confronto sono dei nani. Scientificamente sono dei nani.
D. In che senso?
R. Nessuno di loro ha alle spalle un percorso di titoli che li abiliti ad affrontare un compito difficile come la gestione intellettuale di questi musei.
D. E dal punto di vista amministrativo?
R. Se nella gestione intellettuale non sono brillanti, in quella amministrativa sono nulli.
D. Si aspettava che questo processo di nomine sarebbe andato a finire tanto male?
R. Devo dire di sì, perché in questo campo, ormai, non esiste più autorevolezza. Quindi anche l'opinione dell'ultimo arrivato va bene.
D. Nemmeno la presenza di intellettuali di rilievo nella commissione che doveva scegliere i 20 direttori la faceva ben sperare?
R. Scusi, ma chi c'era di competente?
D. C'era Nicholas Penny, per esempio, ex direttore della National Gallery di Londra.
R. E che ne sa Penny dell'Italia? Sa che ci sono la pizza, gli spaghetti e la pittura antica. Cosa sa della struttura complessa e del diritto amministrativo italiano, dei rapporti tra lo Stato e il patrimonio? Niente.
D. Insomma, l'Italia è un Paese esterofilo e incapace di riconoscere il talento al suo interno.
R. Siamo un Paese di pressapochisti. Ci piace dire che l'Italia ha i giacimenti mondiali del petrolio naturale, dopodiché speriamo che, come fanno gli arabi, si possa chiamare la Shell a pomparli. Un'immagine di una tristezza imbarazzante. Una delle più meste della storia recente d'Italia. Deprimente.
D. Per sette stranieri ci sono anche 13 italiani.
R. Alcuni sono bravissimi. Anna Coliva è sempre stata alla Galleria Borghese e lavora benissimo. La Galleria Borghese è Anna Coliva.
D. Gli altri?
R. Paola Marini, scelta per la Galleria dell'Accademia di Venezia, ha fatto un gran lavoro a Verona. Mauro Felicori, a Caserta, lo voglio vedere all'opera con quelli che gli rubano l'acqua dai giardini. Auguri.
D. Una delle sostituzioni che fanno più rumore è quella di Antonio Natali che lascia gli Uffizi. Al suo posto arriva dalla Germania Eike Schimdt.
R. Non lo conosco, ma sono curioso di vederlo alle prese con una delle parti più importanti del suo lavoro: il dialogo col personale. Immaginare un tedesco che dialoga col personale italiano è interessante.
D. L'addio di Natali chiude una pagina importante di storia agli Uffizi.
R. Sì, Natali era molto bravo. Prima di lui c'era stato Paolucci. Parliamo di due persone che hanno un peso intellettuale di grande rispetto. Si vede che non ci sono più intellettuali, o sarà colpa di qualcuno, non lo sappiamo.
D. Il nostro è un antico vizietto?
R. Si faceva così anche in passato, quando si chiamava qualcuno da fuori a dirimere le questioni tra Guelfi e Ghibellini per evitare problemi interni col papa.
D. Salvatore Settis si è espresso in passato in maniera molto negativa sui manager alla guida dei musei. Tra i 20 scelti ce ne sono due.
R. Chi sono?
D. Uno è James Bradburne, alla Pinacoteca di Brera.
R. O mamma mia, ma è quello che è stato a Firenze per un po' di anni? Non ha dato prova di grande abilità. Dal punto di vista strettamente scientifico le sue mostre sono molto diafane. Da un punto di vista gestionale e amministrativo che non potrà non affrontare a Brera, gli faccio tanti auguri.
D. Ma i manager a dirigere i musei funzionano o no?
R. Nel sistema americano c'è da un lato il manager, un consiglio d'amministrazione che media e dei curatori per far le mostre. Se uno toglie uno dei tre elementi, il sistema implode. Noi abbiamo scimmiottato una cosa senza farla uguale. Come fare un'auto da corsa senza motore: apparentemente è uguale, vista in vetrina, basta non metterla su strada.
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