Le Carte Parlanti

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domenica 25 agosto 2019

Salvini NON Molla la Poltrona


Salvini NON Molla la Poltrona



"Da qualche giorno non si sta parlando di ong. Lo 'show' dell’immigrazione dove tutti - da destra a sinistra - recitano la loro parte costringendo gli africani al ruolo di comparsa, per qualche ora si è fermato. Oltretutto Salvini il bugiardo è impegnato a mentire (la sua difesa sul caso Russia-Savoini è ridicola)". Lo scrive su Facebook Alessandro Di Battista.


"Forse è il momento giusto per ricordare a tutti cosa hanno scoperto in Libia qualche giorno fa - prosegue l'esponente M5S -. A pochi km da Tripoli, in una base delle truppe di Haftar, sono stati trovati alcuni missili americani venduti alla Francia. Quelle armi non dovrebbero stare in Libia, è illegale vendere armi ai libici, eppure i francesi l’hanno fatto. Il dramma dell’immigrazione non verrà mai risolto senza prima affrontarne le cause. Da sinistra dicono 'fuggono dalle guerre' ma si fermano a questo slogan. Guai a spingersi oltre. Dovrebbero ammettere di aver avallato quelle guerre e di avere mani insanguinate seppur tenute nascoste. Da destra giocano al 'piccolo sovranismo'. Dicono 'prima l’Italia' ma lo dicono sottovoce. 
Non sia mai che qualcuno a Washington o a Parigi ci creda davvero".


"Nel frattempo, mentre i riflettori vengono rivolti verso le navi delle ong, in Libia si muore. E si muore anche perché la Libia è, per l’ennesima volta, il campo di battaglie dell’imperialismo. Oggi soprattutto quello francese. Facemmo bene ad attaccare il neo-colonialismo macroniano. La Francia arma Haftar sperando di poter poi controllare il petrolio libico", va avanti Di Battista.

"La Francia ha buttato giù Gheddafi perché con lui al potere non avrebbe mai controllato. In Italia ci occupiamo ore ed ore di ONG, di Carola, dei tweet salviniani evitando di andare al cuore del problema. Fino a quando il 'diritto ad emigrare' verrà considerato più importante del 'diritto a non emigrare' l’impero mediatico-finanziario-liberista trionferà. E morirà l’Africa, uccisa anche da chi crede di volerle bene quando in realtà vuole bene solo ad una ipocrita voglia di carità che serve soltanto a stringerle maggiormente il cappio al collo", conclude.


#Ostentazione #Blasfema dei #SimboliReligiosi da parte del ministro degli Interni


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sabato 24 agosto 2019

A Giudizio Salvini senza Poltrona

A Giudizio Salvini senza Poltrona


E' un uomo distrutto dal terrore di perdere la poltrona da ministro.
Sono giorni che fa dirette FB per pregare il M5S di tenerselo e non fargli perdere lo stipendio d'oro, pagato dagli italiani.

Da "pieni poteri" a "uomo zerbino" il passo è breve.



Poco importa che si vada al voto subito, che nasca un governo "giallorosso" o che Di Maio accetti la proposta della Lega per un Conte-bis: quello che è certo che nei prossimi mesi molti nodi giudiziari che riguardano Salvini e la Lega inizieranno a venire al pettine. Sarà la tempesta perfetta?
Che si vada al voto, come vuole la Lega, o che nasca un nuovo governo Matteo Salvini ha un problema. Anzi: numerosi problemi. Rappresentati da tutti quei fascicoli aperti nelle procure italiane che riguardano lui o altri esponenti del Carroccio. L’ultima novità è rappresentata dall’indagine aperta a Ravenna per l’episodio del giro sulla moto d’acqua della Polizia di Stato del figlio del vicepremier.

Salvini e la nuova indagine per sequestro di persona
Al momento l’inchiesta è contro ignoti, la Procura ha chiesto al Viminale i nomi de due uomini che con fare minaccioso avevano tentato di impedire al giornalista di Repubblica Valerio Lo Muzio di riprendere la scena. Non sono state ancora formulate ipotesi di reato ma secondo le indiscrezioni pubblicate oggi da Repubblica i filoni di indagine sarebbero due. Uno, quello principale, è quello
il reato di tentata violenza privata nei confronti di Lo Muzio perpetrato dai due anonimi agenti. Il secondo invece potrebbe invece essere quello che riguarda l’utilizzo improprio del mezzo della Polizia. In questo senso il reato ipotizzabile potrebbe essere quello di peculato.


Ci sono poi altre indagini che riguardano più direttamente Salvini e il suo operato al Viminale. Ad aprile il ministro è stato iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di sequestro di persona per la vicenda della Sea Watch 3. I fatti sono quelli che riguardano il divieto di sbarco dei migranti, costretti a bordo della nave della ONG dal 24 al 30 gennaio 2019. Il Procuratore di Catania Carmelo Zuccaro  ha inoltrato gli atti al Tribunale dei ministri che dovrà valutare se richiedere l’autorizzazione a procedere al Senato. L’ultima volta, con il caso Diciotti, l’Aula salvo il ministro dal processo. Ma se le condizioni politiche dovessero cambiare non è detto che Salvini potrà farla franca una seconda volta. C’è però da dire che anche in questo caso Salvini potrebbe tentare di tirare in ballo Conte e Toninelli e quindi mettere di nuovo il MoVimento 5 Stelle alle sue responsabilità. Sempre per quanto riguarda la Sea Watch 3 Salvini potrebbe trovarsi anche a doversi difendere dalla querela per diffamazione presentata dagli avvocati della comandante Carola Rackete. Ma qualora la querela non venisse archiviata il Capitano potrebbe rifugiarsi dietro l’insindacabilità.

I guai dei leghisti amici di Salvini: da Siri al Russiagate di Savoini

Ci sono poi vicende che rischiano di travolgere il partito. Al momento sono quasi una quarantina le inchieste aperte a a vario titolo a carico di amministratori ed esponenti del Carroccio. Non c’è solo la vicenda dei 49 milioni della Lega. I magistrati sono ancora alla ricerca dei soldi e stanno puntando l’attenzione verso il Lussemburgo dove potrebbero essere spariti tre milioni di euro. Di particolare interesse saranno gli sviluppi dell’indagine aperta dalla Procura di Genova sulle rivelazioni di Report. Il programma di Rai 3 ha infatti scoperto che nel maggio del 2018 la Lega ha pagato 480 mila euro (di soldi pubblici) per incarichi di comunicazione politica alla Vadolive Srl, una società la cui titolare è una barista di Clusone che incidentalmente è anche la cognata di uno dei collaboratori del tesoriere della Lega Giulio Centemero. E non sarebbe la sola transazione sospetta: all’attenzione delle procure è giunta anche quella del pagamento da un milione di euro in favore di Francesco Barachetti, ex consigliere del comune di Casnigo nel Bergamasco, 43 anni, è titolare di una società (Barachetti Service srl) che si occupa di impiantistica elettrica e idraulica,
 lattonerie, cartongessi e ristrutturazioni edile.


Tutte inchieste che non riguardano direttamente Salvini ma che vedono come protagonisti uomini a lui vicino. Come quella che riguarda l’ex viceministro Armando Siri, coinvolto nel caso Arata per i presunti favori al re del mini eolico Vito Nicastri e indagato dalla procura di Milano per autoriciclaggio. Siri è tra le altre cose il direttore della scuola politica della Lega nonché uno dei “padri” della Flat Tax, uno dei cavalli di battaglia leghisti sui quali è caduto il governo Conte.

Last but not least come dimenticare il Russiagate e quella conversazione con cui l’ex braccio destro di Salvini Gianluca Savoini parlava della possibilità di ottenere finanziamenti russi per la campagna elettorale per le europee 2019? Martedì scorso in Senato Giuseppe Conte ha bacchettato Salvini perché non aveva voluto fare chiarezza sui suoi rapporti con Savoini e sul perché il presidente di Lombardia-Russia avesse svolto 17 missioni in Russia tra il 2014 e il 2019. Anche sul presunto tentativo di corruzione internazionale è stata aperta un’indagine. Inchiesta che potrebbe riservare delle brutte sorprese per il Capo della Lega.


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venerdì 23 agosto 2019

Salvini da Genio a Pippa Padana

Salvini da Genio a Pippa Padana

Salvini da Genio a Pippa Padana


LA PARABOLA DI SALVINI: 
DA “GENIO DELLA POLITICA” 
A PIPPA PADANA!

26 ANNI DI ANONIMATO E STIPENDIO NELLA LEGA SENZA NEANCHE RIUSCIRE A FARE L’ASSESSORE, SCARSO COMUNICATORE CON FRASI FATTE E SLOGAN, E’ UN MIX TRA L’AVVENTORE DI BAR E LA SIGNORA CHE STRAPARLA AL MERCATO, UN BUGIARDO CHE NON CONOSCE LA VERGOGNA!

Ieri pomeriggio guardando la diretta del Senato o la Maratona di Mentana molti si sono accorti che Matteo Salvini non è un grande politico (qualsiasi cosa voglia dire in questa terza o quarta repubblica).
Si sono accorti sentendolo parlare a Palazzo Madama che il ministro dell’Interno, Capitano e papà non è nemmeno un grande comunicatore.
E certo non serviva vederlo in azione in questi quindici giorni per accorgersi che politicamente Salvini vale poco o nulla
Salvini è pur sempre uno che ci ha messo ventisei anni per arrivare ad avere un ruolo di governo (non è mai stato nemmeno assessore, eppure è dal 1992 che fa il consigliere comunale a Milano).
Ora provate a pensare ad una persona che fa per ventisei anni lo stesso lavoro e non ottiene nessuna promozione, nessun avanzamento di carriera.
Non dice nulla sul valore della persona (può benissimo essere un grande lavoratore, magari con poca ambizione) ma difficilmente dall’oggi al domani l’addetto alle pulizie della megaditta si può trovare dietro al tavolo di megadirettore.
Ma, qualcuno dirà, la forza di Salvini non è tanto l’acume politico quanto la capacità di comunicare. Bene, non serviva nemmeno sentire il suo discorso al Senato (identico nei toni e nei temi ai comizi che tiene dal 2014) per capire che parla per frasi fatte, slogan, elenchi interminabili di nomi, cose, città. E insulti, ovviamente.
Non mancano le mirabolanti promesse, come quella di una manovra da 50 miliardi di euro.
Eppure da qualche parte Salvini deve aver un suo specifico punto di forza. Altrimenti non si spiega come mai sia considerato il leader politico più importante del Paese (anche per mancanza di contendenti). Dirannno che è tutto merito della Bestia, di Morisi, dello staff della Comunicazione eccetera. Morisi invece direbbe che Salvini è un che è “naturale” non ha bisogno di trucchetti. Ma non è nemmeno quello. O almeno non lo è in questa fase politica iniziata il 1 giugno 2018.
Ci sono due forze al governo: una è la Lega e l’altra una è un partito che è comparso nel 2013 in Parlamento (proprio mentre Salvini prendeva in mano il partito di Bossi) promettendo di parlare “per la gente, con la gente, come la gente”.
Una forza rappresentata nell’immaginario dai vari Taverna, Sibilia e Di Battista gente come noi che parla come noi e non si nasconde dietro a “politicismi” e “tatticismi”. 
Ma ben presto quel partito, è diventato altro.
Un corpo opaco dove comandano i burocrati della comunicazione (addio streaming e democrazia diretta), a loro modo “professoroni” della neolingua politica. Un partito con una struttura interna paradossale, ricca di bizantinismi, elevati, garanti, doppi codici etici, capi politici e tecnici informatici che votano su Rousseau
E per quanto si sforzino né Di Maio né Di Battista o Grillo (Casaleggio junior ha qualche difficoltà in più) sanno parlare “come la gente”. A questo aggiungete che quelli entrati in Parlamento per aprirlo come una scatola di tonno hanno ben presto assimilato lo stile dei politici di professione.
Il M5S che è un partito di “rottura” è stato incapace di essere di lotta e di governo, come chi? Come la Lega. E così i vari ministri pentastellati recitano, ma come sempre tra l’imitazione e l’originale l’elettore sceglie l’originale.
Tra un partito che finge di essere “dal basso” ma è diretto da un tizio non eletto e il partito del Capo per molti è meglio il secondo.
E Salvini il Capo del partito che sta con i pugni dentro al governo ed un piede fuori lo sa fare. Non certo per studio o per adattamento, è l’unica cosa che sa fare, da sempre. Usa un linguaggio tutto suo che è la sintesi della chiacchiera da bar, della signora che si lamenta al mercato (e viene intervistata dal Tg). Non è un parlare semplice e comprensibile, è un parlare vuoto e privo di contenuti ma ricco di suggestioni e violenza e paure.

Salvini da Genio a Pippa Padana

Salvini da Genio a Pippa Padana


Salvini da Genio a Pippa Padana


Salvini non conosce la vergogna, non tanto quella di baciare rosari, ma di essere lo specchio di quello che ha deciso sono gli italiani (i suoi figli appunto).
Ma anche qui non si pensi che Salvini sia un genio per questo. Non ha inventato nulla, è esattamente il linguaggio e lo stile di Umberto Bossi (che diceva infatti che «la Lega sta con due piedi fuori dal palazzo, e con un pugno dentro»), appena appena reso attuale nei riferimenti spicci e ripulito dall’ideologia padana indipendentista.
Magari sono stati stretti nuovi rapporti politici (in Russia, ad esempio) ma è un po’ come se ogni volta che ci mettessimo alla guida di un’automobile pretendessimo di aver inventato noi la ruota,
 o il motore a scoppio.
Salvini ha avuto fortuna, che non guasta mai, perché il MoVimento chi gli ha messo contro? Giuseppe Conte, un avvocato, professorone (guardate i professori leghisti Bagnai e Borghi come si atteggiano invece), che parla come Don Abbondio e ne ha la stessa caratura morale.
E in più si crede un principe del foro quando
 doveva essere la badante di Di Maio e il domatore di Salvini.
 Anche il piccolo e mediocre Mussolini, imitato dallo squallido e misero personaggio in questione, è stato acclamato dalle folle. Dico che la scolarità degli italiani è a livello bassissimo. 


Salvini da Genio a Pippa Padana


#MatteoSalvini si ritrova, forse per la prima volta, in #Minoranza anche su #Facebook e #Twitter. Migliaia sono infatti i commenti sui profili del #Leghista che lo invitano ad "andare a casa sua in #Padania", decine e decine gli insulti, centinaia le proteste di quanti ci avevano "creduto", ma che ora si dicono "pentiti amaramente" dopo quello che giudicano "un #Tradimento"...


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mercoledì 21 agosto 2019

Rivolta Social Contro Salvini

Rivolta Social Contro Salvini

"Buffone", "falso", "sei finito". La discesa del 'Capitano' inizia dai social. Dopo la giornata di ieri - con il durissimo discorso di Conte e il tentativo di ricucire con il ritiro della mozione di sfiducia al premier -, Matteo Salvini si ritrova, forse per la prima volta, in minoranza anche su Facebook e Twitter. Migliaia sono infatti i commenti sui profili del leghista che lo invitano ad "andare a casa sua in Padania", decine e decine gli insulti, centinaia le proteste di quanti ci avevano "creduto", ma che ora si dicono "pentiti amaramente" dopo quello che giudicano "un tradimento".

Rivolta Social Contro Salvini


"Capitan Coniglio" lo chiamano, sperando "nell'oblio" del leader del Carroccio, colpevole di "incoerenza" ed "eccesso di protagonismo", incapace secondo alcuni di rinunciare al "ruolo di prima donna" per il bene di quegli italiani "che dicevi di voler mettere al primo posto. Tutte balle".

Migliaia i commenti indignati, insomma, che sorpassano, doppiandoli, quelli dei sostenitori irriducibili, ora impegnati a denunciare il complotto Pd-M5S contro il leader padano nell'ultimo post di Salvini. Una minoranza rumorosa, ma pur sempre minoranza per il leghista, che anche attraverso un sapiente uso dei social aveva costruito nel tempo l'immagine di politico 'pop', guadagnando consensi, voti e bagni di folla virtuali.

Oggi, invece, ecco arrivare il duro primo colpo per 'la Bestia', testimoniato anche dalle reazioni al tweet del social media manager del ministro, Luca Morisi, dopo il discorso di Salvini in Senato. Un intervento "stratosferico" per l'esperto social, che è stato però letteralmente massacrato nei commenti fra accuse di vivere "in una realtà paraLlella", battute e gif dal contenuto inequivocabile. Come quella, ad esempio, con il gesto ormai virale di un altro Capitano, il senatore ex 5S Gregorio De Falco, che a Palazzo Madama ha puntato il dito contro Salvini,
 invitandolo senza mezzi termini a tornare a casa in Padania.

Rivolta Social Contro Salvini

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Rivolta Social Contro Salvini

Tosi: «Salvini piccolo omino incapace e fannullone»
L’ex sindaco di Verona ed ex leghista pubblica su Facebook un post al vetriolo contro il ministro dell’Interno: «E questo nanetto politico disperato sarebbe un leader? 
I suoi alleati di centrodestra moriranno con lui»
Post Facebook al vetriolo quello dell’ex sindaco di Verona ed ex leghista Flavio Tosi a commento di quanto successo ieri al Senato. Un vero e proprio attacco a Matteo Salvini «a lezione da Giuseppe Conte che gli ha spiegato il senso delle istituzioni democratiche e di fronte al Paese lo ha inchiodato davanti alle sue responsabilità definendolo sleale, bugiardo, opportunista, assenteista e completamente ignaro dell’abc costituzionale». Tosi sottolinea che il premier, senza tanti giri di parole, ha definito il ministro dell’Interno «un incapace, un fannullone e un traditore, come chi scrive ha sempre sostenuto. Del resto chi tradisce una volta, tradisce sempre: e Salvini nella sua vita politica ha tradito nell’ordine Bossi, Maroni e il sottoscritto, 
ma soprattutto gli ideali federalisti e liberali della Lega».

Rivolta Social Contro Salvini

Poi Tosi si lancia in un elogio al premier: «Con onestà intellettuale riconosco oggi a Giuseppe Conte un’uscita di scena da uomo serio e perbene. Un gigante rispetto al nanetto politico ex comunista padano. Una grande dignità al confronto della miseria umana e politica di Salvini, che prima nudo in spiaggia faceva il gradasso e chiedeva “pieni poteri”, poi quando ha capito di aver fatto una cazzata ha cominciato a fare passi indietro e a mendicare la pace, sino ad arrivare a proporre premier Di Maio. Perfino oggi Salvini ha mostrato tutta la sua inadeguatezza come leader: non sapeva nemmeno dove sedersi e dove parlare, faceva le faccette isteriche come i ragazzini durante il rigoroso discorso di Conte. Poi ha utilizzato il Senato per dire le solite puttanate demagogiche, la più grande di tutte che era pronto a mettere 50 miliardi per tagliare le tasse quando sa che non c’è una lira (infatti ha fatto cadere il governo perché pensava di poter fare la manovra salata e anti-popolo solo dopo un voto che lo bullonasse alla sedia per 5 anni). Infine ha elemosinato a Di Maio un nuovo accordo. Un buffone! Un buffone senza dignità!».


Il post continua con altre parole velenose: «Eccolo lì, Salvini, tanto tracotante nel suo ennesimo vuoto e isterico comizio, quanto piccolo piccolo nella valenza politica e strategica. Eccolo lì, Salvini: un pallone che si sta sgonfiando nelle contraddizioni della sua miserabilità. Guardatelo: è affannato, paonazzo, straparla, perde il filo, mentre il Conte tradito lo umilia e lo mette con le spalle al muro. Il piccolo Salvini è talmente sfatto, disperato e impaurito da mendicare ancora, fino all’ultimo. Cosa non si farebbe per salvare la poltrona! Ha la faccia di tolla Salvini e in un visibile gioco di specchi afferma il contrario di ciò che pensa. Dice che non ha paura perché ha una fifa blu di perdere il potere. Afferma che rifarebbe tutto perché sa di essersi fregato da solo. Dice che la Lega è compatta perché si rende conto che anche con molti dei suoi ha perso credibilità (Giorgetti in primis). Invoca le piazze perché è consapevole che fra qualche mese non lo seguirà più nessuno. E questo piccolo omino disperato sarebbe un leader?»
«Purtroppo i suoi alleati di centrodestra non riescono a capire a chi si sono messi in mano. Registro infatti ancora oggi il totale asservimento di un parte di Forza Italia e di Fratelli d’Italia a questo piccolo “guappetto” ridicolo. Sono appiattiti, senza nessun slancio e nessuna visione. Il centrodestra vuole morire con Salvini. Ma la gran parte dei suoi elettori, che sono liberali, 
popolari e riformisti, no», conclude.

Rivolta Social Contro Salvini

Proclama dal Papeete la sfiducia al suo governo che controlla in ogni modo, ballando sul cubo l'inno nazionale e sbavando sulle cubiste come Cetto Laqualunque. 
Invita i parlamentari ad "alzare il culo e tornare in parlamento" - chiuso per sua volontà per le ferie più lunghe della storia - a votare la sua mozione di sfiducia a Conte, 
manco fosse il presidente della Repubblica.
Annuncia le sue dimissioni da ministro mentre incolla il suo culo alla poltrona con l'Attack per gli elefanti e da lì giura di non schiodarsi per non dare il suo ministero ai "compagni".
Evoca il ricorso alla piazza in caso nasca un governo PD-M5S perfettamente
 legittimo secondo il dettato costituzionale.
Si becca un cazziatone epocale dal presidente Conte che fino alla sfiducia aveva approvato qualsiasi carognata proposta da Salvini e dalla Lega, compreso il decreto sicurezza bis.
Ritira la sua mozione di sfiducia mentre Conte va da Mattarella a rassegnare le dimissioni e si becca pure del vigliacco.
Il fatto che il 40% di quelli che ancora vanno a votare si identifichino in uno stronzo simile, è la prova più solida e incontestabile del fatto che se l'Italia è ridotta in questo stato, la colpa non è dell'Europa, della crisi economica e dei migranti, ma solo dell'ignoranza abissale in cui questo paese è precipitato da Berlusconi in poi.


209.736 Hanno Firmato Obiettivo 300Mila ...
Continua ad #Evocare la #VergineMaria come fanno i #Mafiosi
ma era la #Cubista Non la #Madonna #Sfiducia #Selfini #FIRMAQUI'...

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domenica 18 agosto 2019

In Venezuela Embargo e Sanzioni , gli USA lo Boicottano


In Venezuela Embargo e Sanzioni , gli USA lo Boicottano


Il Venezuela è sottoposto da 2 anni ad un criminale embargo e sanzioni. Lo dicono tutti i giorni i tg. Sai cosa sono le sanzioni? Significa che lo Stato ha i conti correnti bloccati, non può pagare e quindi importare. Non solo, se una ditta vende qualcosa al Venezuela gli Stati Uniti la sanzionano con multe o impedendole di esportare negli Stati Uniti. Il Venezuela non ha fabbriche, ha sempre importato tutto con i soldi del petrolio. A questo devi aggiungere la guerra economica portata avanti con la svalutazione alla moneta (che all'estero le banche non accettano), il blocco dei crediti, il blocco dei titoli di stato emessi, i quali non vengono più accettati all'estero, i sabotaggi alle linee elettriche e l'infiltrazione di paramilitari di destra dalla Colombia per generare caos e disordini. Pensa, nonostante tutto ciò in Venezuela si continua a studiare gratis fino alla laurea, si consegnano oltre 5.000 case popolari già arredate e gratuite a settimana (500.000 in un anno), non esistono tasse sulla casa e su auto e moto, benzina, bollette e trasporti pubblici sono pressoché gratis, parliamo di pochi centesimi. Anche la sanità pubblica è gratuita, con il supporto di 20.000 medici cubani presenti nel paese, purtroppo la sanità è enormemente danneggiata dall'embargo, il Venezuela non può comprare medicine e prodotti sanitari nei paesi che le producono. Lo sapevi tutto ciò?
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ALTRO CHE DITTATURA IN VENEZUELA


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sabato 17 agosto 2019

Blessing Okoedion parla dell'Esodo dalla Nigeria


Blessing Okoedion parla dell'Esodo dalla Nigeria


Dovrebbero leggerlo Salvini, la Meloni e tutti i loro supporter. 
Niente è come viene raccontato da queste losche figure politiche.

Questi racconti fanno ben capire il legame che c'è, NON tra ONG e scafisti, come ci raccontano, ma tra scafisti e guardie libiche, che sono quelle che il nostro governo
 ha scelto di finanziare con nuove motovedette.

Nei villaggi africani i trafficanti si mostrano come "salvatori", promettono lavoro e una nuova vita dignitosa in cambio di 40 euro. Poi fanno arrivare i migranti nei lager libici, dove vengono torturati fino al pagamento di un riscatto. Una volta liberati dalle guardie (solo tramite pagamento e dopo lunghe torture) i migranti NON possono tornare indietro. I libici non li fanno tornare. Quindi sono costretti a partire sui gommoni dove: o muoiono o vengono salvati dalle ONG.


Racconto la tratta, perché nei villaggi della Nigeria nessuno sa la verità
di Sara De Carli  




Blessing Okoedion è nigeriana, ha trent'anni ed è una mediatrice culturale. È stata vittima della tratta, ingannata, nonostante la sua laurea. In Italia sono 70mila le donne vittime della tratta, di cui la metà giovani nigeriane. «Nei villaggi i trafficanti appaiono come salvatori, con 40 euro si prendono una ragazza. Ma è forse una colpa vivere in un villaggio e non sapere l'inglese?». Lei si è liberata e ha raccontato la sua storia in un libro
Come ho fatto ad essere così stupida? Come ho fatto a fidarmi e a non accorgermene? Inizia con queste domande la testimonianza di Blessing Okoedion, una ragazza di trent’anni, nigeriana. Oggi è una mediatrice culturale, nel suo passato ci sono la strada e la prostituzione. Blessing è una ex vittima della tratta. È arrivata in Italia nel 2013, ingannata da una donna che lei ora definisce un «lupo travestito da agnello». Ha una laurea in informatica Blessing, ma non è bastato a riconoscere l’inganno, tanto era studiato il “travestimento”: «appena ho capito quale lavoro avrei dovuto fare, qui in Italia, non facevo altro che ripetermi “come ho fatto”, “come può essermi successa questa cosa”». La catena di Blessing era un debito da 65mila euro, così le disse quella donna che l’aveva ingannata. Lei ha avuto la forza di romperla, denunciando e ricominciando una nuova vita. E raccontando la sua storia in un libro appena pubblicato, 
Il coraggio della libertà (edizioni Paoline) scritto insieme alla giornalista Anna Pozzi.

Blessing Okoedion parla dell'Esodo dalla Nigeria



Nel mondo sono almeno 21 milioni le persone vittime di tratta, per il 70% donne e bambini. “Tratta” significa persone trafficate e sfruttate, prevalentemente per sesso e lavoro servile: ogni due minuti, nel mondo, c’è un bambino che viene sfruttato sessualmente. È un giro d’affari che vale 32 miliardi di dollari l’anno e che in Europa vale più del traffico di droga o d’armi. Se ne è parlato nel convegno “Migrazioni e traffico di persone”, a Milano. È un fenomeno che tocca anche l’Italia, in ogni sua zona. Solo in Italia sono 50-70mila le donne vittime della tratta, circa la metà giovani nigeriane: ogni mese qui in Italia da loro si acquistano 9-10 milioni di prestazioni sessuali. Lo sfruttamento del lavoro riguarda invece 150mila persone: lavoro schiavo, non semplicemente lavoro nero, con sottrazione di documenti, salario di poche decine di euro per 12 ore di lavoro, condizioni abitative disumane, fornitura di beni di prima necessità obbligatoria e a caro presso. Basta un dato per capire quanto la tratta ci riguardi: le donne nigeriane sbarcate in Italia nel 2016 sono state 11mila: erano la metà (5.600) l’anno prima. Molte di loro, come Blessing, si chiedono “come è possibile”.

Come è possibile? «Tante persone in Nigeria hanno sentito parlare della tratta. Ma nelle città. Nessuno va nei villaggi a raccontare. I trafficanti sanno che non possono più prendere ragazze in città, ma nei villaggi questi appaiono come gli unici salvatori. I nostri villaggi sono abbandonati dalle autorità, i trafficanti arrivano, promettono un lavoro, magari come baby sitter. Sono una mano tesa per persone abbandonate a loro stesse, l’unica mano tesa. Con quaranta euro si prendono una ragazza», racconta Blessing. La sua voce si leva forte, potente: «Ma è forse un peccato vivere in un villaggio? Non parlare inglese? Perché lì nessuno racconta la verità? Perché nessuno spiega a queste ragazze e alle loro famiglie cosa sia la tratta?».

Blessing
Il problema che Blessing denuncia - tecnicamente lo chiamano "gap informativo" - è un nodo cruciale delle migrazioni odierne e dei tentativi di arginare i numeri del traffico di esseri umani, tant'è che l'OIM-Organizzazione Mondiale per le Migrazioni ha avviato una campagna informativa sui social chiedendo a migranti arrivati in Italia di registrare una brevissima testimonianza in cui raccontino la verità su ciò che hanno passato in Libia, perché «chi parte non sa cosa lo aspetta», afferma Flavio Di Giacomo, portavoce OIM. Il progetto si chiama Aware Migrants. Non sanno, dice Di Giacomo senza mezzi termini, che «la Libia è inferno. I migranti vengono picchiati, rinchiusi nei campi, gli viene chiesto di pagare un riscatto, a volte lavorano ma non vengono pagati. Molti vorrebbero tornare indietro, ma a i trafficanti non vogliono che chi vede le reali condizioni della migrazione e soprattutto della travbersata torni indietro per raccontarlo. Chi parte non sa, parla del Mediterraneo come di un fiume, the river, c'è una sorta di marketing incentrato sulla facilità della trasversata. Quando arrivano sulla spiaggia e vedono il mare e i gommoni con cui dovrebbero attraversarlo hanno paura e vorrebbero tornare indietro: ma non possono, una volta che hai pagato devi partire. Tanti hanno sul corpo i segni delle violenze, tagli su braccia e gambe, tanti hano raccontato di persone uccise perché non volevano più partire». Ecco perché la distinzione fra migranti economici e rifugiati è stata superata dalla storia: queste persone sono partite per motivi economici, tecnicamente non sono rifugiati e non hanno diritto alla protezione internazionale, però nel loro percorso nei fatti hanno subito una violazione dei loro diritti umani. E sono costretti a imbarcarsi. Questa è la realtà. «Non abbiamo il diritto di dire "non partite"», spiega Di Giacomo, tornando alla campagna sui social, «ma abbiamo il dovere di informare, perché tanti oggi ci dicono "non immaginavo"».

Una mano tesa Blessing l’ha trovata da suor Rita Giaretta, a Casa Rut, a Caserta. «Non volevo stare lì da loro. Altre donne, come quella che mi aveva tradita. Perché questa donna mi tende la mano? Cosa vuole da me? Io non avevo mai pensato prima che una donna e una donna cristiana potesse vendere un’altra donna: avevo paura. Non è facile avere fiducia quando sei stata tradita», racconta. Poi pian piano ha capito che Casa Rut «era una mano tesa vera, che non dà false speranze. Nelle parole delle suore di Casa Rut ho visto un messaggio, “siete capaci di cose belle, non siete condannate alla tristezza della morte, dentro di voi c’è la possibilità di una rinascita». Oggi è questo il messaggio che Blessing grida forte: «mi sto facendo voce per dire a tutte le ragazze trafficate che c’è una possibilità di rinascita. E di gioia».



#salvini #Dimettiti.
Informatelo che “la parola agli italiani” è stata data pochi mesi fa. Lui, 
probabilmente non lo sa, ma la Costituzione recita all'articolo 60...


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Giacomo Matteotti

Giacomo Matteotti


Il 16 agosto del 1924, 95 anni fa, a Riano in provincia di Roma viene trovato il cadavere di Giacomo Matteotti, il deputato socialista rapito il 10 giugno precedente dalle squadracce fasciste e probabilmente ucciso lo stesso giorno. Ricordarlo oggi è un esercizio di dolore eppure necessario nella democrazia che è nata dopo quella terribile fase della Storia di questo Paese. E ricordarlo è inevitabile, per certi versi, viste le moltissime (troppe) analogie sparse qui e lì ogni giorno che ci ricordano come il fascismo sia dietro l’angolo delle aggressioni, dell’intolleranza sui social e nella vita reale, nell’atteggiamento razzista e nelle frasi di alcuni ministri e politici pericolosamente simili a quelle dell’epoca in cui visse Giacomo Matteotti e nella quale fu “fatto sparire”. Fu lui stesso a comprendere la portata della sua denuncia in Parlamento quando in un duro intervento elencò i brogli che avevano portato al risultato elettorale, con la vittoria schiacciante del fascismo. E aveva detto e fatto anche dell’altro, come la ricostruzione del primo anno del regime, pubblicando il dossier “Un anno di dominazione fascista”. Ce lo ha ricordato su Internazionale Christian Raimo. Raccogliere dati con pazienza e puntualità certosina e poi renderli noti è un’attività che non va bene in dittatura e in quel momento storico si poteva essere duramente puniti per quel tipo di attività. E’ probabilmente per questa ragione che nella Costituzione antifascista nata dopo la guerra si è pensato e scritto un articolo ad hoc, l’articolo 21, che tutela la libertà di espressione anche quella sgradita e scomoda. Più diventa difficile difendere quell’articolo, più il ricordo di Giacomo Matteotti è indispensabile.

Giacomo Matteotti


Biografia

Giacomo Matteotti nasce a Fratta Polesine (Rovigo) il giorno 22 maggio 1885. Entrambi i genitori sono di modeste origini, che a prezzo di duri sacrifici e grande capacità di risparmio e oculati investimenti, riescono in breve tempo ad arrivare a possedere una vasta proprietà terriera nella bassa valle del fiume Po. Cresce nella sua terra e, proprio perché colpito dalle umili condizioni di vita della popolazione polesana, si avvicina alla politica molto giovane, quando ha solo 16 anni.

Forte su di lui è l'influenza esercitata dalla madre - Giacomo ha solo 17 anni quando perde il padre - mentre il fratello maggiore Matteo l'aveva avviato appena tredicenne alle idee del socialismo, spinto anche da un forte sentimento di solidarietà verso i contadini del Polesine, condannati come detto ad una vita di estrema miseria e sfruttamento.

Da adolescente frequenta il ginnasio di Rovigo, 
dove tra i suoi compagni di classe si trova Umberto Merlin, suo futuro avversario politico.


Nel 1907 consegue la laurea in giurisprudenza presso l'università di Bologna. Tre anni dopo è eletto al consiglio provinciale di Rovigo; da qui in poi Giacomo Matteotti inizierà il suo percorso politico che lo porterà ad assumere una dedizione a tempo pieno in questo ambito. Matteotti è un socialista riformista: non crede nei cambiamenti violenti e rivoluzionari, bensì in quelli più democratici da realizzarsi gradualmente nelle amministrazioni locali e nell'impegno sindacale. Dimostra di essere un amministratore competente e un abile organizzatore sia nell'attività politica, 
sia nel suo pubblico servizio.

Allo scoppio della prima guerra mondiale, si schiera contro la partecipazione italiana e , venendo

Durante la prima guerra mondiale è un convinto sostenitore della neutralità italiana, lanciando appelli alla pace: questa posizione porta Matteotti a essere minacciato dai nazionalisti, poi per un discorso tenuto al consiglio provinciale di Rovigo, contro la guerra (1916) 
viene condannato e internato in Sicilia.

Sempre nel 1916 sposa Velia, la donna che gli darà tre figli. Nel 1918 nasce il figlio Giancarlo il quale seguirà le orme del padre Giacomo, dedicandosi all'attività politica.

Terminato il conflitto mondiale continua a dedicarsi all'attività politica: i suoi successi lo portano ad essere eletto deputato al parlamento italiano nel 1919. Matteotti ha così l'opportunità di denunciare la violenza squadrista del fascismo (fin dai suoi inizi), subendo di conseguenza attacchi dalla stampa nonché aggressioni alla sua persona. Nel 1921 accade che a Castelguglielmo venga sequestrato e duramente percosso all'interno di un camion di fascisti.

Costretto dalle violenze abbandona il polesano per trasferirsi a Padova: anche qui subisce le persecuzioni del fascismo tanto che nella notte del 16 agosto sfugge a stento ad un agguato.

Matteotti prosegue la sua attività di denuncia accusando i governi Giolitti e Bonomi di tolleranza e complicità con i fascisti. Denuncia inoltre all'estero il fascismo come imminente pericolo non solo italiano, che si sta affacciando sulla realtà storica europea.

Nel 1923 Matteotti scrive "Un anno di dominazione fascista", con cui dimostra i fallimenti fascisti sui temi del risanamento economico e finanziario e della restaurazione dell'ordine e dell'autorità dello Stato. L'accusa al governo fascista è quella di aver sostituito in dodici mesi l'arbitrio alla legge, asservito lo Stato ad una fazione, e di avere diviso il paese in dominatori e sudditi. Un anno dopo l'Italia si trova alla vigilia delle ultime elezioni e il polesano denuncia l'assenza di legalità e democrazia dal clima politico. Nel corso della campagna elettorale subisce aggressioni da parte dei fascisti prima a Cefalù e poi a Siena.

Il 30 maggio 1924 in Parlamento si vota la convalida degli eletti formalizzando la legalità e la regolarità delle elezioni: Matteotti con un celebre discorso contesta i risultati, accusando i fascisti di brogli elettorali; denunzia inoltre le violenze contro i cittadini e contro i candidati socialisti, comunisti, repubblicani e liberali progressisti. E' al termine di questo celebre discorso, dopo le congratulazioni dei suoi compagni di partito, che Giacomo Matteotti risponde con le parole: "Io il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me".

Sul giornale "Il Popolo d'Italia" compaiono le parole di Mussolini, il quale scrive che si rende necessario "dare una lezione al deputato del Polesine"; l'invito del leader fascista viene prontamente accolto. Il giorno 10 giugno 1924 a Roma, sul Lungotevere Arnaldo da Brescia, un gruppo di fascisti aggredisce e rapisce Giacomo Matteotti, mentre si stava recando in Parlamento. Caricato a forza su una macchina, viene ripetutamente percosso e infine ucciso a coltellate. Il corpo verrà occultato e ritrovato in stato di decomposizione in un boschetto di Riano Flaminio (la macchia della Quartarella) solo sei giorni più tardi.

Il delitto Matteotti susciterà una profonda emozione nazionale, costituendo di fatto la crisi più grave affrontata dal fascismo, che ad ogni modo riuscirà ad imporre alla nazione la sua dittatura per il ventennio successivo.

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Un coraggioso militante socialista, qual è stato Giacomo Matteotti, che per l’impegno “professionale” profuso nella difesa della democrazia e degli interessi dei gruppi sociali più deboli è, com’è appropriato affermare, caduto sul campo per mano della violenza fascista.

Giacomo Matteotti nacque il 22 maggio del 1885 a Fratta Polesine; nel 1919 venne eletto al Parlamento nelle liste del Partito Socialista Italiano e fu confermato parlamentare nel 1921 e nel 1924. Nel 1922 venne espulso dal partito, per la fermezza con cui, negli anni Venti, egli si era opposto alla decisione della direzione massimalista del PSI di inoltrare domanda di ammissione del partito a fare parte della Terza Internazionale, motivando il suo dissenso per via del fatto che l’”Internazionale” poneva ai partiti che ne chiedevano l’adesione condizioni tanto rigide da cancellarne ogni autonomia decisionale.

Per questo motivo, la maggioranza massimalista chiese l’espulsione dei riformisti (tra i quali era schierato Matteotti), per indisciplina rispetto alle decisioni del partito; espulsione poi ratificata dal XIX Congresso che il partito tenne a Roma nel 1922. All’espulsione, Matteotti rispose, assieme a Filippo Turati, con la fondazione, il 4 ottobre dello stesso anno, del Partito Socialista Unitario, dal cui Congresso costitutivo, svoltosi a Milano, venne eletta la prima Direzione e, come segretario, lo stesso Matteotti.
Dall’interno del nuovo partito, il neosegretario Matteotti proseguì le sue battaglie di denuncia dei brogli elettorali, della violenza e degli atti di corruzione del fascismo, con un impegno ed una forza che gli sono valsi l’attribuzione dell’epiteto di “Tempesta”, da parte dei suoi compagni di partito. La gravità delle denunce valse a costargli la vita; su mandato morale di Mussolini (come dimostra il discorso che il capo del fascismo tenne alla Camera il 3 gennaio del 1925 – per porre termine alle critiche che il delitto era valso a sollevare nei confronti del Governo – in chiusura del quale, con spregiudicatezza, non esitò ad affermare che se il fascismo “è stato ed è un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere. Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità, perché questo clima storico, politici e morale io l’ho creato”. Insomma, anche negli ambienti informati sulla storia d’Italia della prima metà del secolo scorso, ad essere prevalentemente conosciute sarebbero le ragioni più immediate dell’uccisione di Matteotti, ma non quelle che dovrebbero indurre tutti a ricordare il martire come fulgido esempio di responsabile difensore della democrazia.

Giacomo Matteotti


Il 10 giugno del 1924 (lo stesso giorno nel corso del quale Mussolini dal balcone di Piazza Venezia informava il popolo italiano dell’entrata in guerra contro Francia e Inghilterra), mentre si recava in Parlamento a denunciare le “tangenti” corrisposte dalla compagnia americana “Sinclair Oil” al regime fascista, Matteotti fu rapito da un gruppo di sicari fascisti (Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveruomo) che lo attendeva a bordo di una vettura in prossimità del lungotevere Arnaldo da Brescia, per poi ucciderlo ed occultarne il cadavere, facendo sparire la borsa che il parlamentare socialista portava con sé e tutti i
 documenti compromettenti in essa contenuti.
Aver sacrificato la vita per la causa delle democrazia e dei gruppi sociali più deboli, è valso a Matteotti solo l’oblio; nell’Italia di oggi, come giustamente osserva Sergio Luzzato nella Prefazione al libro “Matteotti contro il fascismo” (contenente i due discorsi pronunciati dal martire, rispettivamente, il 31 gennaio 1921 e il 30 maggio 1924, contro i brogli elettorali, il primo, e contro la violenza delle squadre fasciste, il secondo), “il nome di Giacomo Matteotti vive unicamente nelle toponomastiche: Viale Matteotti, Corso Matteotti, Largo Matteotti, Piazza Matteotti, non c’è quasi città italiana dove non si sia voluto rendere omaggio, da subito dopo la Liberazione, alla figura del martire antifascista”; oppure, nella migliore delle ipotesi, come afferma Walter Veltroni nell’Introduzione al libro di Giacomo Matteotti “Un anno di dominazione fascista” (pubblicato clandestinamente nel 1924, per denunciare come l’arbitrio fascista si fosse sostituito alla legge), se si affrontasse, in ambiente mediamente informato sulla storia italiana, il tema “vita e morte di Giacomo Matteotti”, quasi sicuramente si finirebbe col “parlare più della seconda che della prima”, nonostante si sappia ormai quasi tutto della morte e quasi niente della sua vita da parlamentare.

Se non fosse per i postini e per le tragiche modalità con cui Matteotti è stato ucciso, il ricordo del martire sarebbe scomparso del tutto dalla memoria collettiva, nonostante che – come sottolinea Luzzatto – la sua figura ed il suo esempio appaiano particolarmente appropriati “per servire all’Italia contemporanea”. Perché?
Luzzatto indica due motivi che la classe politica attuale dovrebbe costantemente tenere a mente nello svolgimento del mandato ad essa conferito, quello di rappresentare il popolo italiano nell’assumere le decisioni più conformi alla soluzione dei problemi che lo angustiano: innanzitutto il “radicamento nel territorio”, col quale ogni parlamentare dovrebbe legittimare la propria candidatura a rappresentante popolare, e in secondo luogo il coraggio del quale disporre, al fine di difendere, anche al costo della vita, le istituzioni democratiche.

Il “radicamento” del quale a volte si lamenta la totale assenza, Matteotti lo interpretò – afferma Luzzatto – “in modo esemplare, dapprima quale amministratore locale di vari comuni del Polesine, poi, quale deputato di Rovigo al Parlamento nazionale”. Il “radicamento” del parlamentare Matteotti fu, oltre che economico e sociale, anche intellettuale. Sul piano economico e sociale, il deputato di Fratta Polesine non si stancò mai di denunciare le misere condizioni di vita dei braccianti del delta del Po; proprio per assolvere correttamente la sua funzione nell’illustrare le condizioni economiche e sociali del territorio che lo esprimeva come rappresentante parlamentare, allorché tornava al luogo natio, Matteotti non mancò mai di studiare ed approfondire la storia locale, senza escludere il costante aggiornamento sui problemi nazionali. A dimostrazione del senso di responsabilità con cui Matteotti svolgeva il suo ruolo di parlamentare possono ben valere le parole con le quali un suo compagno di partito lo descriveva, sottolineando che il deputato socialista “passava ore e ore nella biblioteca della Camera a sfogliare libri, relazioni, statistiche, da cui attingeva i dati che gli occorrevano per lottare con la parole e con la penna, badando di restare sempre sulle cose”.

Nell’Italia a noi contemporanea, osserva Luzzatto, l’immagine di un rappresentante del popolo impegnato a studiare i problemi della circoscrizione elettorale che lo esprime “può apparire tanto eccentrica da riuscire surreale”. Come possono gli attuali rappresentanti del popolo essere sempre portatori dei problemi economici e sociali delle loro circoscrizioni elettorali, se le regole in base alle quali vengono espressi fanno spesso strame del principio del radicamento territoriale?
La democrazia è fondata sul suffragio universale, e il suo corretto funzionamento pone il problema del come distribuire i parlamentari tra i diversi territori in cui è suddiviso un Paese. Apparentemente la soluzione del problema sembra facile; ma non è così. In linea di principio, il Parlamento di una vera democrazia dovrebbe essere, al pari di una mappa geografica, una fotografia fedele degli dell’articolazione territoriale del Paese, per esprimere le criticità e le problematiche economiche e sociali di tutto l’elettorato, quindi realizzare in pieno il principio della rappresentatività di tutti gli orientamenti politici, grandi e piccoli, presenti in ogni territorio.

Esistono due sistemi di regole per risolvere il problema della distribuzione territoriale dei rappresentanti del popolo: quello proporzionale e quello maggioritario. Con il sistema proporzionale, ad ogni partito (esprimente un dato orientamento politico) è assegnato un numero di parlamentari proporzionale ai voti ricevuti dagli elettori. Per contro, con il sistema maggioritario vengono, invece, premiati i partiti maggiori assegnando loro una rappresentanza in Parlamento superiore al consenso elettorale ricevuto e, dunque, penalizzando i piccoli partiti; situazione, questa, spesso aggravata dall’introduzione di “soglie di sbarramento”, cioè di un livello al di sotto del quale l’accesso in Parlamento viene negato.
Con la scusa che il sistema proporzionale favorisca la frammentazione delle forze politiche che ostacolano la stabilità dei governi, i partiti presenti in Italia dopo la Liberazione, pur varando una Costituzione democratica tra le più avanzate del mondo, hanno teso a privilegiare l’esistenza di Parlamenti “maggioritari”, sulla scia della “famigerata” legge Acerbo che, introducendo il sistema maggioritario, aveva garantito a Mussolini, negli anni Venti, una vittoria schiacciante che assegnava al Partito Fascista i due terzi dei deputati eletti.

Come allora, anche dopo la ricostituita democrazia, grazie a regole elettorali maggioritarie, è accaduto spesso che le circoscrizioni territoriali del Paese si siano viste assegnare dei rappresentanti del tutto estranei ai territori, e perciò del tutto ignari dei problemi economici e sociali propri di ciascuno di essi. La conseguenza di ciò è stata spesso un ricorrente deradicamento territoriale dei rappresentanti del popolo, nonché una grave afflizione della democrazia, in quanto molti strati sociali del Paese sono risultati privati di una rappresentanza parlamentare dotata delle necessarie informazioni utili ai fini della formulazione di proposte adeguate alla soluzione dei loro problemi, con la determinazione e la competenza che, invece, hanno caratterizzato l’azione di Giacomo Matteotti. Si è trattato di una determinazione e competenza che, grazie allo stretto legame col territorio d’origine che esse presupponevano, hanno consentito al deputato di Fratta Polesine di “non fare sconti” a nessuno, sia quando si trattava di discutere i problemi economici e sociali del proprio territorio, sia quando si trattava di denunciare le violenze fasciste.
Ad esempio, in occasione della discussione sulla necessità di maggiori finanziamenti pubblici in edilizia scolastica, biblioteche popolari e corsi serali per lavoratori, quando il Ministro della Pubblica istruzione, Benedetto Croce, parve “discutere dei problemi della scuola restando sempre nel vago senza padroneggiare i dossier”, dallo scranno di Montecitorio – ricorda Luzzatto – il deputato di Fratta Polesine rivolgendosi all’autorevole Ministro non ebbe remore nel rispondergli per le rime: “Voi state speculando filosoficamente sulle nuvole. Qui non si viene con i libri di estetica, ma con dei programmi pratici e questi si ha il dovere di assolvere”.

Ma il meglio di sé Matteotti lo diede nel discorso tenuto alla Camera dei deputati il 30 maggio del 1924, allorché denunciò le violenze ed i brogli elettorali consumati sotto la “regia del Governo fascista” in occasione delle lezioni politiche del 5 aprile precedente. Dura e puntuale fu la sua denuncia, consapevole che avrebbe esposto a rischio la sua stessa vita. “L’elezione, secondo noi – affermò Matteotti – è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni”: ciò perché il governo, per sua esplicita dichiarazione, considerava “le elezioni prive di valore”, in quanto “avrebbe mantenuto il potere con la forza”, 
se il responso elettorale non gli fosse stato favorevole.

A fronte delle violente contestazioni indirizzategli dalla destra, dal centro e dal Presidente del Consiglio, Matteotti così concluse: “Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l’autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente, rovinate quella che è l’intima essenza, la ragione morale della Nazione. […] Voi volete cacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano […] e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni”. La sua richiesta di invalidare le elezioni venne respinta dalla Camera e, rivolgendosi ai suoi compagni di partito, Matteotti, presagendo la reazione di Mussolini, dichiarò: “Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”. Puntualmente, dieci giorni dopo, il gruppo di sicari della cosiddetta CEKA (la seconda polizia politica fascista, dopo l’OVRA, che Mussolini aveva creato ispirandosi alla polizia segreta sovietica) procedette al suo sequestro e alla sua successiva uccisione.
Considerato lo stato al quale è oggi ridotta la politica italiana, è giusto chiedersi, come fa Luzzatto, “se non ci sarebbe un gran bisogno, qui e adesso”, di un politico come Matteotti, della sua idea di militanza quale servizio in pro dell’interesse pubblico anziché di quello privato, nonché della sua fede nella socialdemocrazia per il futuro di un mondo “più giusto e meno diseguale”.

E’ per questo motivo che la figura di Matteotti merita di essere ricordata, non solo dai “postini” e dagli appassionati di cronaca nera, ma dall’intera società civile, perché lo si traduca in valore condiviso da tutti, riscattando la memoria del martire dall’ombra che su di essa i partiti democratici del dopoguerra, non disinteressatamente, hanno concorso a fare calare, dimenticando chi ha avuto il coraggio di sacrificare la propria vita in difesa delle democrazia.


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