Le Carte Parlanti

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domenica 30 giugno 2019

Vergogna sul Molo di Lampedusa

Vergogna sul Molo di Lampedusa

Carola Rackete, Capitana della Seawatch.

Laureata in conservazione ambientale alla Edge Hill University nel Lancashire, con una tesi sugli albatros, è stata al timone di una nave rompighiaccio nel Polo Nord per uno dei maggiori istituti oceanografici tedeschi, ufficiale di navigazione per l'Alfred Wegener Institute, presso il quale ha lavorato dal 2011 al 2013.
A 25 anni era secondo ufficiale a bordo della Ocean Diamond,
 a 27 anni stesso ruolo nella Arctic Sunrise di Greenpeace.

Appena trentenne pilotava piccole barche per escursioni nelle terre più a nord del pianeta, le isole Svalbard, nel mare Glaciale Artico. Ha lavorato anche con la flotta della British Antartic Survey.

 Per quanto possa sbalordire, uno dei motivi principali del razzismo verso gli immigrati africani è proprio la minaccia sessuale: è stato così negli Stati Uniti ed è così in Europa. Tutta la retorica razzista di Salvini sugli immigrati furbi invasori perché arrivano con corpi atletici e non sono scheletri affamati, nasconde un evidente complesso di inferiorità. Il «ti devono violentare» viene dalla bocca degli stessi che blaterano di violenza carnale ogni volta che discutono di immigrazione ciarlando con crassa ignoranza di mafia nigeriana, della quale non sanno nulla...


Da dove vengono (e quale scelta ci impongono) 
le minacce sessiste urlate alla capitana Carola dai 
contestatori che l’hanno insultata mentre scendeva a terra

di ROBERTO SAVIANO

GLI INSULTI urlati sulla banchina a Lampedusa a Carola Rackete sono rimbalzati contro il suo volto sereno, non hanno scalfito quella compostezza data dalla consapevolezza di aver messo il proprio 
corpo a disposizione della propria responsabilità, cosa non scontata. Non scontata, in un Paese in cui il ministro dell’Interno, spaventato da un’eventuale condanna, si è sottratto al processo per sequestro di persona nel caso Diciotti facendosi salvare dalla sua maggioranza.

Ma torniamo agli insulti. Sono stati abbastanza prevedibili. Nella parte non censurata di video che è 
stata postata, leghisti e grillini lampedusani urlano contro Carola: «Spero che ti violentino ’sti negri, a quattro a quattro te lo devono infilare». E ancora: «Ti piace il cazzo negro». La dinamica è tipica: da un lato il sesso visto come aberrazione, insulto, porcheria, vizio, e dall’altro il senso di inferiorità che 
qualcuno ha in questo campo verso l’africano.
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Per quanto possa sbalordire, uno dei motivi principali del razzismo verso gli immigrati africani è proprio la minaccia sessuale: è stato così negli Stati Uniti ed è così in Europa. Tutta la retorica razzista di Salvini sugli immigrati furbi invasori perché arrivano con corpi atletici e non sono scheletri affamati, nasconde un evidente complesso di inferiorità. Il «ti devono violentare» viene dalla bocca degli stessi che blaterano di violenza carnale ogni volta che discutono di immigrazione ciarlando con crassa ignoranza di mafia nigeriana, della quale non sanno nulla.

Nel video spunta a un certo punto una voce tenue che dice: «Piccio’, non parlate accussì». È una 
donna, e si sta vergognando. È interessante capire come il leader di questi balordi abbia intenzione di 
commentare l’accaduto e che provvedimenti intenda prendere nei loro confronti. Chissà se questi 
miserabili sono coscienti che i leghisti del Nord usavano gli stessi insulti contro le persone che 
cercavano di difendere i meridionali. La cantilena allora era: «Li difendi perché ti piace scopare con i 
terroni». Che rabbia deve generare in un leghista una donna giovane in grado di fare una scelta così 
forte, in grado di gestire una tale situazione con nervi saldi e con dichiarazioni piene di responsabilità, una donna in grado di vivere la propria vita con autonomia, che non viene definita in quanto fidanzata di, moglie di, amante di. Ecco, una donna così per i leghisti deve essere insopportabile anche solo da immaginare. Ed è naturale che insultare una donna attraverso il sesso sia la cosa più scontata e facile per vomitare la propria frustrazione.

Ma c’è una seconda parte degli insulti che raccontano bene il Paese. A urlare «le manette» e «venduta» è l’Italia forcaiola che conosco benissimo; l’Italia che sputa su Enzo Tortora perché se non puoi essere Enzo Tortora è un bene che lui cada e ti faccia sentire meno mediocre; l’Italia che lancia le monetine su Craxi avendolo temuto e blandito fino a un minuto prima (poco importa in queste dinamiche l’innocenza o la colpevolezza, ma conta il grado di frustrazione e di meschinità); che parteggia a favore o contro Raffaele Sollecito e Amanda Knox; che esulta per ogni arresto, per ogni avviso di garanzia, come se facesse sentire meno tollerabile la propria sofferenza.

Se la giustizia che pretende, tempo, pacatezza e responsabilità è impossibile, allora meglio tifare per le disgrazie altrui, cosa che non mitigherà le proprie ma almeno servirà a sfogarsi. Io sono cresciuto in un Sud Italia in cui, quando veniva arrestato un boss, la gente applaudiva il criminale e insultava i 
carabinieri. Guardate su YouTube il video di Antonino Monteleone che ha ripreso l’arresto del boss 
Giovanni Tegano a Reggio Calabria: c’era una fitta folla fuori dalla questura ad inneggiarlo. Non solo parenti ma anche semplici concittadini grati per la sua strategia contraria agli atti sanguinari. Quando 
venne arrestato Cosimo di Lauro a Secondigliano, centinaia di persone lo applaudirono e difesero. In 
fondo è così, è il prezzo del sopravvivere: piegarsi al potente, temere la sua vendetta, blandirlo, sperare in una sua parola per poter cambiare la propria vita. Al contrario, è facile colpire Carola, non ti succede niente se lo fai, stai sputando addosso a una donna che ha solo il suo corpo e la sua dignità come simbolo e difesa. Non ti toglierà il lavoro, non verrà a minacciarti, 
non c’è nessun favore che potrai chiederle.

Carola non poteva che agire in questo modo: sbarcare a Malta, in Grecia o in Spagna significava 
compiere un atto fuorilegge, perché Lampedusa era molto più vicina e ciò rispondeva all’esigenza di 
mettere in sicurezza l’equipaggio. Se avesse deciso di andare verso altri porti, avrebbe messo in 
pericolo le persone salvate in mare violando la legge del mare. Urlano «venduta», ma Carola ha scelto di impegnarsi mettendo le sue competenze al servizio di un “ambulanza del mare” ed è una donna che prende onestamente il suo stipendio, 
più vicino a un rimborso spese che a un lauto guadagno.

È incredibile che tutto questo venga detto da un partito come la Lega, che non ha mai spiegato perché è andata a trattare con un’impresa di Stato russa per farsi finanziare la campagna elettorale; in un 
Paese dove il ministro dell’Interno finanziava post razzisti su Facebook con 5000 euro (500 quelli in cui annuncia i suoi comizi). In un Paese così, si dà addosso a una persona che salva con il proprio 
impegno dei disperati dall’agonia e si difende, invece, chi non mostra la minima trasparenza e chi ha 
alleanze torbide e partner politici criminali.
Il meccanismo è sempre lo stesso: se sei un bandito non puoi convincere gli altri che tu non lo sia, puoi però cercare di far credere che tutti gli altri siano peggio di te. Ecco il gioco sporco di Matteo Salvini e dei leghisti con Carola. Ascoltate quegli insulti perché lì c’è tutto il cuore marcio del nostro Paese. Bisogna capire da che parte stare. Con chi volete stare? Con chi chiede manette per chi ha salvato vite? Con chi augura a una donna una violenza carnale? Da che parte volete stare? Con questi 
insultatori o con chi considera la libertà 
e la solidarietà l’unica dimensione in cui vale la pena di vivere?



Vergogna sul Molo di Lampedusa

Angela Maraventano ha fatto parlare di sé anche perché si è portata i sostenitori della Lega a 
Lampedusa al porto dove è sbarcata la Sea Watch 3. L’ex senatrice del Carroccio ha urlato davanti alla nave chiedendo legalità in una terra che, a detta sua, non ne ha per colpa dei migranti. Eppure nelle ultime ore è stata tirata in ballo la sua condanna nel 2012 
per non aver versato quanto dovuto all’Inps. 

Si trattava dei contributi di un dipendente che lavorava nel suo ristorante, nello specifico di 4.200 euro, come riportato da Giornalettismo. Ma allora la legalità funziona a giorni alterni? Questa notte comunque si è messa in mostra urlando la sua ribellione contro i migranti e la Sea Watch: «Non fate scendere nessuno perché stasera ci scappa il morto», la minaccia davanti alle telecamere. «L’Italia è stata invasa da questi», ha continuato a urlare. Ma la “pasionaria” leghista salì agli onori della cronaca per la proposta di annettere Lampedusa alla provincia di Bergamo, un’idea riproposta in più occasione e che è stata sempre ignorata anche dal Carroccio stesso.

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venerdì 28 giugno 2019

Chi ha finanziato Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia per le ultime elezioni


Chi ha finanziato Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia per le ultime elezioni

Chi ha finanziato Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia per le ultime elezioni



Poltrone della Meloni : Deputato , consiglio comunale e Parlamento Europeo

Poltrone della Meloni : Deputato , consiglio comunale e Parlamento Europeo

Poltrone della Meloni : 
Deputato , consiglio comunale e Parlamento Europeo

A Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni il contributo di gran lunga più generoso è arrivato da nomi che riconducono a una multinazionale made in Usa: messi insieme Ylenjia Lucaselli, Daniel Hager e la Hc Consulting Srl hanno infatti regalato al piccolo partito nazionalista 200 mila euro. Hager e Lucaselli sono marito e moglie. La famiglia di Hager è azionista della Southern Glazer’s Wine and Spirits, la più grande azienda statunitense della distribuzione di vini e alcolici (secondo stime di Forbes nel 2016 ha fatturato 16,5 miliardi di dollari ?
e distribuito 60 milioni di bottiglie di vino italiane negli States).

Una multinazionale americana che finanzia un partito sovranista italiano? Succede anche questo nel tortuoso mondo del neonazionalismo. E non è l’unica contraddizione, perché la Southern Glazer’s è da poco entrata anche nel business della cannabis legale in Canada, settore che in teoria Meloni e i suoi vedono come fumo negli occhi. Ma d’altra parte come dire di no a 200 mila euro.

La leader di Fratelli d’Italia, da sempre in prima linea contro la burocrazia europea, ha fondato vicino a Bruxelles un movimento politico che potrà essere finanziato dall’Unione. Allo stesso indirizzo è stata registrata anche una fondazione amministrata da estremisti di destra indagati per spionaggio a favore della Russia. La stessa Lucaselli lavora per il gruppo americano: avvocato, appassionata di vino biologico e made in Italy, lo scorso 4 marzo è stata eletta 
alla Camera proprio con Fratelli d’Italia.

Una new entry la cui unica esperienza in politica risale alle Regionali di Puglia nel 2010: candidata con il Pd a sostegno della sinistra con Nichi Vendola. All’epoca l’avvocato non ebbe grande successo. Oggi invece siede in Parlamento con i sovranisti che guardano ai dazi di Trump con ammirazione.

A suo nome ha versato 90 mila euro prima delle elezioni. Una cifra che fa impallidire un pezzo da novanta del partito qual è Ignazio La Russa, che ne ha versati molti meno nello stesso periodo. Ai denari firmati Lucaselli vanno poi aggiunti i restanti 110 mila euro: 95 mila euro donati a nome del marito e 15 mila arrivati dalla loro società italiana di logistica, la H.c. Consulting di Livorno.

Fratelli d’Italia ha inoltre ricevuto un bonifico da 20 mila euro, poco prima delle elezioni del 4 marzo, da Vincenzo Onorato. È l’armatore napoletano che controlla le compagnie Moby, Tirrenia e Toremar, punite dall’Antitrust con una multa da 29 milioni per abuso 
di posizione dominante sulle rotte verso la Sardegna.

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Giorgia Meloni ha un compagno e una figlia ma non è sposata.
Salvini è divorziato per ben 2 Volte. 
L'ex marito della Mussolini ha patteggiato una pena per prostituzione minorile. 
Su Berlusconi glisso perché ho la batteria al 30%
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Chi ha finanziato Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia per le ultime elezioni



"NON ha ragione Giorgia Meloni. La Sea Watch viola le regole. Bisogna affondare la nave e arrestare tutti, essere inflessibili con questa gentaglia qui che si è messa in testa di salvare vite violando le sacre leggi italiane. Le leggi di noi italiani, popolo che del rispetto della regole ha fatto la sua caratteristica più nota nel mondo.

Il Paese con la più alta evasione fiscale d'Europa. Il Paese con la corruzione più diffusa in Europa. Il Paese di Cosa Nostra, della Ndrangheta, della Scu, della Camorra. Il Paese dei falsi invalidi, dei furbetti del cartellino, del quartierino, del rimborsino.

Il Paese che vota in massa un partito che l'ha derubato di 49 milioni, dopo aver votato per 20 anni un padrone poi condannato per evasione fiscale, idolatrato e difeso se per salvarsi dai processi si eleggeva avvocati e si faceva le leggi.

Il Paese di Tangentopoli, di Bancopoli, di Rimborsopoli. Il Paese con talmente tanti processi che nella sola città di Roma ci sono più avvocati che in tutta la Francia. Il Paese del tengo famiglia, del lavoro nero, del "con o senza fattura?", dell'amnistia, dell'abuso, del condono fiscale, del condono edilizio, degli indultini, delle olgettine, degli Schettini.

Questo paese qui, oggi, si sveglia tutto d'un tratto legalitario. Inflessibile. Rigoroso. Intransigente. Inamovibile. In piedi sulla cattedra a dare lezioni di diritto e di rispetto delle regole.

Ci è venuto il torcicollo a furia di girarci dall'altra parte per non vedere tutto quello che ci succede attorno. Siamo diventati ciechi a furia di chiudere occhi davanti ai potenti, ai ricchi, ai padroni.

Però adesso co sti quattro disgraziati colpevoli di essere scampati alla morte ci mettiamo a invocare il rispetto della legge. Eh, Giorgia Meloni? La nostra legge, quella che ci conviene. Non quella del mare che stabilisce che le persone salvate in acqua vanno portate a terra. O quella dell'umanità, che stabilisce che non possono essere portate in un Paese in guerra dove è aperta "la caccia al nero" (la chiamano così, "caccia al nero"), per torturarli e farsi dare dalle famiglie i soldi del riscatto.

Sono italiano. E sono orgoglioso di esserlo. Il mondo ci diceva che eravamo furbi, ma anche che avevamo un cuore grande così. Gli italiani: il popolo dell'accoglienza e del sorriso. Del posto a tavola in più, perché dove si sta in quattro si sta anche in cinque.

Adesso cosa siamo invece? Cosa vediamo? Solo odio contro gli ultimi, vomitato da penultimi indottrinati da ricchi e potenti politici di professione che stanno devastando la nostra umanità nel nome del voto e del potere. Distraendoci con 4 disgraziati, 
per non vedere chi ci deruba veramente il futuro.

E adesso pure l'anima."

(Emilio Mola)

leggi anche

Giorgia Meloni ; Eurodeputata , Deputato, Consigliere Comunale a Roma,
La leader di Fratelli d’Italia va nelle piazze e parla di coerenza,
 coraggio, onore e appunto 
di qualità della colla che la tiene attaccata su tre poltrone ...


Giorgia Meloni ; Eurodeputata , Deputato, Consigliere Comunale a Roma,  La leader di Fratelli d’Italia va nelle piazze e parla di coerenza,   coraggio, onore e appunto   di qualità della colla che la tiene attaccata su tre poltrone ...



Giorgia Cacciata con Insulti e Sputi



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Donazioni per Carola, la comandante che sfida Salvini

Donazioni per Carola, la comandante

A soli 31 anni Carola Rackete ha già dimostrato di avere una volontà di ferro. "Ho deciso di entrare in porto a Lampedusa. So cosa rischio ma i 42 naufraghi a bordo sono allo stremo. Li porto in salvo" ha annunciato la comandante della Sea Watch via Twitter, prima di forzare il blocco della Guardia di finanza entrando nelle acque territoriali italiane.
Chi è Carola, la comandante che sfida Salvini

Tedesca, dal 2016 volontaria di Sea Watch, la capitana sa bene il rischio che corre: l'incriminazione per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, la confisca della nave e una multa. Eppure è disposta a tutto pur di mettere fine all'agonia dei 42 migranti a bordo della nave. Persino sfidare il ministro dell'Interno Matteo Salvini. Carola non si piega e non si fa piegare. Neanche la decisione di Strasburgo di rigettare il ricorso della sua ong è riuscito a fermarla.

Per lei parla il suo curriculum. Nata in Bassa Sassonia, Carola - che parla cinque lingue - ha studiato alla Jade University in Germania, poi ha ottenuto un master in scienze naturali alla Edge Hill in Inghilterra con una tesi sugli albatros della Georgia del Sud. La prima volta che è salita su una nave aveva 23 anni e da allora la sua vita è cambiata. A 25 è diventata secondo ufficiale della Ocean Diamond, poi è salita a bordo della Silver Explorer, e ancora Greenpeace. Nel 2016 l'approdo alla Sea Watch. "Perderò la Sea Watch ma per ora forzo il blocco" aveva annunciato lei stessa ieri in un'intervista a 'la Repubblica'. E oggi ha dato seguito alle sue intenzioni.

Salvini l'ha definita "una sbruffoncella che fa politica sulla pelle dei migranti", annunciando conseguenze. "Adesso chi se ne frega ne risponde, chi sbaglia paga" ha ribadito Salvini. Carola però sembra fregarsene. "In 14 giorni nessuna soluzione politica e giuridica è stata possibile. L'Europa ci ha abbandonati. La nostra Comandante non ha scelta".


Questo ignorante e sbruffone detto ministro è molto arrabbiato perché una vera capitana lo sfida! In questa Italia senza opposizione ci voleva una donna europea a mettere in moto questi mediocri e senza spina dorsale. E la Meloni che al suo interno ha mafiosi chiama all'affondamento di Sea Watch! GLI UMANI SONO CON LA CAPITANA.

La Sea Watch fa il pieno di donazioni: in un giorno raccolti 150mila euro per Carola Rackete

Una raccolta fondi su Facebook in favore della Sea Watch ha raggiunto oltre 130mila euro in un solo giorno. Il ricavato servirà a pagare le spese legali a Carola Rackete, la comandante dell’imbarcazione con a bordo 42 migranti che ha sfidato il blocco imposto dal ministro dell’interno Salvini. “Abbiamo deciso di aiutare Carola – spiegano gli organizzatori dell’iniziativa – perché ha avuto il coraggio di entrare in porto a Lampedusa, nonostante quello che rischiava”.



“La raccolta fondi è a favore di Carola, per darle un sostegno, non solo finanziario, ma anche morale. Vogliamo farle capire che non è sola”. Con questo spirito è partita una sottoscrizione su Facebook a favore di Carola Rackete, la giovane capitana della Sea Watch 3. Dopo aver infranto il divieto del ministro dell’interno Salvini di entrare in acque territoriali italiane, Rackete rischia ora una multa fino a 50.000 euro. Per pagare le eventuali spese legali, in solo un giorno sono stati raccolti oltre 130mila euro, mentre scriviamo che facilmente arriveranno all'obiettivo finale di 150mila euro. Più di 7mila persone si sono mobilitate per la 31enne tedesca che si trova al comando della nave al largo di Lampedusa con a bordo 42 migranti, salvati due settimane fa nel Mediterraneo. Fanpage.it ha parlato con Fabio Cavallo, uno degli amministratori di Rete italiana antifascista, una delle pagina social ideatrice della campagna (le altre sono: 
Il Partigiano, Padri e Madri della Libertà e Il razzismo non ci piace) .

“Quando abbiamo visto quello che stava succedendo, Franco Matteotti della pagina Il razzismo non ci piace, ha proposto l’idea di aprire la sottoscrizione su Facebook”, spiega Cavallo. “Siamo in contatto con la Sea Watch ed è tutto controllato dallo studio legale”. “Abbiamo deciso di aiutare la Ong – continua – perché Carola ha avuto coraggio quando ha scelto di entrare in porto a Lampedusa, nonostante quello che rischiava. 
Ha dimostrato che ad un certo punto che è più importante la vita umana della politica”.

Le donazioni sono di diverso importo e in alcuni casi c’è chi ha deciso di contribuire con centinaia di euro. “Il nostro obiettivo è di arrivare a 150mila euro, intanto però voglio ringraziare tutti per l’aiuto – conclude Cavallo – è un risultato straordinario, che nemmeno noi ci aspettavamo”. “La raccolta fondi finirà tra 7 giorni – spiegano gli organizzatori – e nel caso non fosse necessario usare il ricavato questi soldi rimarranno a disposizione di Sea Watch per la prossima missione”. E se l’imbarcazione dovesse essere posta sotto sequestro?
 “Allora faremmo un’altra campagna per acquistare una nuova barca”.



Sea-Watch Italy
@SeaWatchItaly
  Per tutti coloro che ce lo stanno chiedendo: ecco come potete sostenerci.

IBAN: DE77 1002 0500 0002 0222 88 



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mercoledì 26 giugno 2019

Salvini e la balla del taglio delle tasse che aiuta i poveri

Perché la Flat Tax non aiuta i poveri  Il punto è che lo Stato italiano non sta chiedendo di poter fare più deficit per dare da mangiare agli italiani ma per abbassare le tasse. Salvini qui non si sta certo rivolgendo all’Europa o alla Commissione ma agli italiani. Il suo problema è quello di far passare un taglio delle tasse per i redditi più alti come se fosse un favore e un aiuto ai ceti meno abbienti o addirittura ai poveri.



Ieri sera a Carta Bianca il ministro dell’Interno Matteo Salvini è tornato a raccontare alcune delle sue favole preferite. La prima è quella dell’Europa che ci vuole tutti morti di fame perché ci nega i soldi per comprarci da mangiare. La seconda è quella della Flat Tax che aiuta i poveri e quelli che hanno bisogno. Naturalmente si tratta di due balle.

Salvini e l’Europa che ci vuole far morire di fame
Partiamo con la storia della UE che ci impedirebbe di usare i nostri soldi come vogliamo. Salvini ha prima detto che lui non vuole chiedere più soldi (ma non è che la Commissione ci dà la paghetta) ma solo di poter usare quelli che noi versiamo al bilancio comunitario. Il che è un po’ come pretendere di entrare in piscina senza pagare l’abbonamento solo perché noi il mese precedente abbiamo pagato l’abbonamento ma siamo andati poche volte a nuotare.



C’è poi la questione della procedura d’infrazione per debito eccessivo. Le regole comunitarie per Salvini non sono poi così importanti di fronte a quella che considera una vera e propria emergenza: «Se mio figlio ha fame e mi chiede “papà mi dai quel panino” e l’Europa mi dice “non puoi dare il panino a tuo figlio”. Secondo lei cosa faccio? Do il panino a mio figlio o rispetto quelle regole che mi dicono che mio figlio deve morire di fame?». Il vicepremier semplifica molto, e soprattutto mistifica, la situazione. Usando la stessa metafora di Salvini la versione corretta sarebbe più o meno così: “se mio figlio vuole mangiare solo Nutella e il medico mi dice che gli fa male io gliela do lo stesso perché sono un bravo papà. Le verdure? Fanno male”. In questa situazione Salvini non ha ancora detto dove troverà i 10 o 15 miliardi di euro necessari per la sua riforma fiscale. Qualche giorno fa il viceministro Garavaglia ha detto che le coperture ci sono ma che non le può dire 
“altrimenti Di Maio ce le ruba“.

Perché la Flat Tax non aiuta i poveri  Il punto è che lo Stato italiano non sta chiedendo di poter fare più deficit per dare da mangiare agli italiani ma per abbassare le tasse. Salvini qui non si sta certo rivolgendo all’Europa o alla Commissione ma agli italiani. Il suo problema è quello di far passare un taglio delle tasse per i redditi più alti come se fosse un favore e un aiuto ai ceti meno abbienti o addirittura ai poveri.



Perché la Flat Tax non aiuta i poveri
Il punto è che lo Stato italiano non sta chiedendo di poter fare più deficit per dare da mangiare agli italiani ma per abbassare le tasse. Salvini qui non si sta certo rivolgendo all’Europa o alla Commissione ma agli italiani. Il suo problema è quello di far passare un taglio delle tasse per i redditi più alti come se fosse un favore e un aiuto ai ceti meno abbienti o addirittura ai poveri. Ed infatti Salvini dichiara con orgoglio dopo la tirata del ministro-papà che «non ho il minimo dubbio con 5 milioni di italiani al di sotto della soglia di povertà che abbassare le tasse e aiutare chi ha bisogno sia una priorità e quindi lo faremo».



Ma davvero abbassare le tasse aiuterà chi vive sotto la soglia di povertà? La risposta è no. Perché quei 5 milioni di persone che vivono in povertà assoluta non pagano le tasse. L’Istat stima che siano oltre 1,8 milioni le famiglie in condizioni di povertà assoluta per un numero complessivo di 5 milioni di individui. Le famiglie in condizioni di povertà relativa nel 2018 sono poco più di 3 milioni, vale a dire quasi 9 milioni di persone. Inoltre già oggi (così come negli anni passati) anche per chi percepisce un minimo di reddito esiste la cosiddetta no tax area. Fino agli ottomila euro l’anno il contribuente non è infatti tenuto al pagamento dell’IRPEF. I dati del MEF dicono che quasi 13 milioni nel 2017 non hanno versato un euro di Irpef mentre oltre 10,5 milioni di soggetti hanno un’imposta netta pari a zero. Contrariamente a quanto dice Salvini quindi l’abbassamento delle tasse non sarà di alcun aiuto per coloro che sono poveri o che guadagnano meno di 8mila euro l’anno, per il semplice motivo che costoro non pagano già le tasse. Di fatto il ministro dell’Interno sta cercando di far passare una misura che aiuta i più ricchi come se fosse un regalo ed un aiuto ai più poveri. 

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Sull’abbassamento delle tasse poi Salvini fornisce pochi dettagli. Ad esempio non dice con quali soldi lo vorrebbe fare, c’è chi dice che il Governo potrebbe utilizzare i dieci miliardi che servono per erogare il bonus IRPEF degli 80 euro. Anche qui si toglie una misura che dà una mano ai redditi più bassi (quelli tra gli 8mila e i 25mila euro l’anno) per aiutare quelli più alti (ovvero quelli fino a 55mila euro l’anno). Secondo il Forum Famiglie con la tassa piatta le famiglie perderebbero detrazioni importanti, ovvero finirebbero per pagare più tasse. Allo stesso modo Salvini, che racconta di voler aiutare i più poveri, sembra aver completamente dimenticato che mentre pensa al “panino” della Flat Tax che vuole dare a suo figlio ci sono anche da trovare i 23 miliardi per evitare di far aumentare l’Iva al 25,2% nel 2020. Un governo che volesse aiutare davvero i più poveri concentrerebbe tutti i suoi sforzi sullo scongiurare l’aumento di una tassa che pesa  di più nelle tasche di chi guadagna meno.




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venerdì 21 giugno 2019

Lega, 80 anni per restituire 49 milioni: una presa in giro agli italiani


 Lega, 80 anni per restituire 49 milioni: una presa in giro agli italiani


La maxirateizzazione con la procura di Genova, 
che terminerà quando Matteo Salvini
 spegnerà la 120esima candelina,
 è davvero negli "interessi" del Paese?

 Lega, 80 anni per restituire 49 milioni: 
una presa in giro agli italiani

Quasi ottant’anni per ripagare una delle truffe ai danni dello Stato, cioè di noi tutti, più surreali e grottesche della storia della povera repubblica italiana. Si tratta dell’intricata vicenda giudiziaria sui rimborsi elettorali utilizzati impropriamente (per usare un eufemismo) dalle passate gestioni leghiste ma con delle ombre anche sulle più recenti di Maroni e Salvini . Il tribunale di Genova ha ordinato il sequestro degli importi corrispondenti alla frode portata avanti fra 2008 e 2010, cioè 49 milioni di euro. Tre sono stati individuati e prelevati dalle casse della Lega Nord, sui restanti 46 pare si sia trovato un accordo con i pubblici ministeri genovesi. Un accordo che fa masticare amaro tutti gli italiani, leghisti inclusi anche se lo negano. Se loro saltano un paio di rate del mutuo, infatti, la banca si riprende casa con tutti gli interessi. A Salvini e compagnia viene riservato un trattamento di favore. Quello stesso trattamento che, in altri contesti, avevano sonoramente contestato. 
Col tempo, si sa, si cambia.

Secondo il compromesso, infatti, la Lega dovrà versare 600mila euro all’anno. Senza interessi. Ed è un compromesso al ribasso perché, stando alle parole dei pm Francesco Cozzi e Francesco Pinto, lo si è accettato considerando l’impiego di risorse che sarebbe stato necessario per dare la caccia ai quattrini dei lumbard: “L’opzione era quella di impegnare molti finanzieri nelle ricerche, spendendo soldi dello Stato, sequestrare tutto quello che avremmo trovato nelle casse del partito, certo una cifra minima rispetto al totale, e così facendo azzerare la Lega con la prospettiva di non incamerare più nulla” hanno detto i due magistrati. Insomma, i pm dicono fra le righe: se uccidiamo il partito e lo conduciamo a cambiare nome e organizzazione non recuperiamo più nulla e anzi ci rimettiamo nei costi delle indagini. Senza contare che andare a scavare nei conti di associazioni e onlus che ruotano intorno alla Lega avrebbe comportato molti rischi di ricorsi. Un bel circolo vizioso e anche un’ammissione di debolezza.

L’unica consolazione, ma c’è da scommettere che non si verificherà mai, è che l’importo potrà essere rivisto e nel caso aumentato in virtù di eventuali avanzi di esercizio o dell’affitto dei locali della sede di via Bellerio. In pratica, oltre alla quota fissa annuale, la differenza fra entrate e uscite dovrebbe comunque finire allo Stato. Beato chi ci crede. Tuttavia c’è anche un altro elemento da considerare: rimane ovviamente aperta la pista che segue i 10 milioni (fra quei 49) investiti in un fondo lussemburghese tramite complessi incroci bancari.

L’altra (mezza) consolazione è che la Lega – pur a condizioni di assoluto vantaggio, impossibili per chiunque altro in questo Paese dove una multa diventa un calvario – è costretta ad ammettere le truffe che per mesi ha negato, cercando di minimizzare e allontanandole dall’attuale segreteria. Niente da fare: l’accordo con la procura genovese appone un marchio indelebile sul partito che mette davanti a tutto e tutti gli italiani. In questo caso gli italiani sono serenamente in seconda fila, spettatori amareggiati di una farsesca rateizzazione in stile fantozziano.

Per concludere: davvero sono stati perseguiti “gli interessi dello Stato” con questo “punto di equilibrio“? Ma che Stato è quello che accetta di farsi restituire una grossa somma a scadenza 2049, quando l’attuale (e giovane) segretario del partito debitore potrebbe avere circa 120 anni?







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martedì 18 giugno 2019

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Casapound, 9 dirigenti nei guai per il palazzo okkupato


Casapound, 9 dirigenti nei guai per il palazzo okkupato  Un danno allo Stato di oltre 4,6 milioni e nessuna emergenza abitativa

Un danno allo Stato di oltre 4,6 milioni e nessuna emergenza abitativa
di Valeria Di Corrado e Andrea Ossino


“Non è tollerabile in uno Stato di diritto una sorta di “espropriazione al contrario”, che ha finito per sottrarre per oltre tre lustri un immobile di ben sei piani, sede storica di uffici pubblici, al patrimonio (indisponibile) dello Stato, causando in tal modo un danno certo e cospicuo all’erario”. Per questo motivo i magistrati contabili del Lazio, chiamati a indagare sull’occupazione del centralissimo palazzo a opera di CasaPound, hanno chiesto il conto a 9 dirigenti dell’Agenzia del Demanio e del ministero dell’Istruzione, ovvero ai funzionari che avrebbero arrecato "il danno al patrimonio immobiliare pubblico", causato dall'omessa disponibilità del bene per oltre 15 anni e dalla mancata riscossione dei canoni di affitto che, secondo l’accusa, avrebbero fruttato alle casse dello Stato oltre 4 milioni e 600 mila euro. È tutto contenuto nelle 26 pagine che compongono l’invito a dedurre firmato dal Vice Procuratore Generale, Massimiliano Minerva, e dal capo dei magistrati 

contabili del Lazio, Andrea Lupi.

La mala gestio dell’amministrazione pubblica
Gli atti, stilati grazie al lavoro del Nucleo di polizia economica e finanziaria della Guardia di Finanza, non si limitano esclusivamente a narrare la storia dell’immobile di via Napoleone III, affidato tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 al ministero dell’Istruzione e occupato da CasaPound a partire dal 2003, a seguito di uno sgombero e di un trasloco dei vecchi uffici. “La vicenda in questione – scrivono infatti i pm - manifesta, con tutta l’evidenza della semplice narrazione dei fatti, la gravissima negligenza e la scarsissima cura (mala gestio) che l’amministrazione pubblica ha mostrato nei confronti di un intero edificio di proprietà pubblica di ben sei piani che per oltre 15 anni è stato sottratto allo Stato ed alle finalità pubbliche in palese violazione delle più elementari regole della (sana) gestione della cosa pubblica e in contrasto con il particolare regime vincolato cui sono soggetti i beni del patrimonio indisponibile dello Stato”. In altre parole lo Stato non avrebbe fatto molto per riappropriarsi dello stabile gestito dall’associazione di estrema destra e abitato da diverse famiglie. “Il palazzo, situato nella centrale via Napoleone III, nel cuore dello storico rione Esquilino di Roma, sede di importanti uffici della pubblica istruzione fin dagli anni ’60 – spiegano i magistrati - è stato abbandonato, a titolo gratuito, nell’esclusiva disponibilità di soggetti privati (una associazione e circa 40 persone, poi divenute circa 60), senza peraltro avviare le azioni amministrative, civili e penali del caso, finalizzate allo sgombero e al risarcimento dei danni o quanto meno, e nel frattempo, in attesa che lo sgombero venisse realizzato, senza richiedere agli occupanti il pagamento dell’indennità di occupazione”. Nessuna richiesta di risarcimento danni, nessuna azione legale, nessun atto di autotutela. Il ministero dell’Istruzione e l’Agenzia del Demanio avrebbero “trascurato compiti fondamentali”. Perché?

Gli occupanti abusivi non sono economicamente fragili
Sicuramente non si trattava della “prevalenza delle esigenze abitative degli occupanti abusivi in quanto caratterizzati da presunta fragilità economica o da situazioni di disagio sociale”. Secondo i pm infatti un “semplice incrocio dei dati anagrafici dei residenti nell’immobile in questione con le banche dati finanziarie, è emerso che le condizioni reddituali che caratterizzano gli occupanti abusivi dell’edificio di proprietà pubblica, lungi dal presentare le connotazioni tipiche dell’emarginazione economica o sociale, non consentono di annoverare gli occupanti tra le famiglie in stato di emergenza abitativa”. Tra gli occupanti ci sono infatti “dipendenti di società private, della Cotral spa, di società a partecipazione pubblica (Zetema Progetto Cultura srl), del Policlinico Gemelli, o, addirittura, in un caso, del comune di Roma”.

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È stato garantito il “disordine pubblico”
L’occupazione, era stato detto, “fu tollerata per evitare più gravi proteste”. Un’affermazione che ai magistrati contabili appare “sconcertante”: significherebbe che per ragioni di ordine pubblico si può tollerare la violazione dell’ordine pubblico”, quando la strada dovrebbe essere quella del ripristino della “legalità violata”. In altre parole i pubblici funzionari non avrebbero garantito “l'ordine, ma il disordine pubblico”, causando “al patrimonio (indisponibile) dello Stato, causando in tal modo un danno certo e cospicuo all’Erario”. Per questo motivo “si intima sin d’ora ai destinatari del presente atto (l’invito a dedurre notificato dai magistrati contabili ndr) di provvedere al risarcimento del danno di che trattasi, nella misura indicata”: 4.642.363,10 euro



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venerdì 14 giugno 2019

Sardegna, Ripristinati i Vitalizi per i Consiglieri Regionali della Lega

Sardegna, Ripristinati i Vitalizi per i Consiglieri Regionali della Lega




"È la prima iniziativa 
legislativa del nuovo corso". 

di MONIA MELIS

A pochi giorni dal voto amministrativo in Sardegna riesplode il caso vitalizi in Consiglio regionale. A lanciare la palla infuocata è Massimo Zedda – ex sindaco di Cagliari - che guida l'opposizione di centrosinistra in Aula. Lo fa con un post su Facebook in cui allega le foto della bozza della prima proposta di legge del nuovo corso, con il presidente della Regione Christian Solinas (Psd'Az- Lega) che l'ha battuto alle regionali di febbraio. Il tema è, appunto, quello dei vitalizi. Vale a dire l'assegno di fine mandato per i sessanta onorevoli. Un tema spinoso e dibattuto, considerato simbolo dei privilegi della casta, additato come populista dai difensori. Di fatto ritenuto dalla Corte costituzionale "diritto inviolabile acquisito" per chi ha raggiunto l'agognato traguardo: una rendita a vita di 3-4mila euro al mese, abolita per gli eletti dal 2014 in poi. Sono invece pagati – attualmente – a chi ne ha appunto maturato il diritto fino a due legislature fa, circa trecento 
con una spesa annua pari a 17 milioni di euro.

Ora, tornano come novità. Ed è la prima iniziativa legislativa del nuovo corso, sottolinea Zedda. Portata avanti con procedura d'urgenza. Una bozza illustrata ai capigruppo dal presidente del Consiglio regionale, il leghista Michele Pais sul "Ripristino, - scrive nel post - comunque lo si voglia giustificare e definire, degli assegni vitalizi da riconoscere ai consiglieri regionali". Il confronto con l'attualità, soprattutto economica, è da brivido: "Non la continuità territoriale, non la vertenza latte, non il porto canale di Cagliari, ma dopo tre mesi la prima legge è per le pensioni dei consiglieri regionali". E non manca di citare tra i protagonisti proprio il candidato per il centrodestra alle comunali a Cagliari, già consigliere regionale per Fratelli d'Italia, Paolo Truzzu. C'è la sua firma sulla proposta – con tutti i colleghi di maggioranza - non quella dei capigruppo d'opposizione. Da qui l'appello al voto per Francesca Ghirra, considerata sua erede – già assessora all'Urbanistica della sua giunta – vincitrice alle primarie di coalizione.

Secondo la ricostruzione: "La spesa, a carico delle cittadine e dei cittadini, nel bilancio regionale, per il solo 2019 è pari a 1.149.984 euro, che si ripeterà per gli anni a venire di questa legislatura per un totale di 5.749.920 euro". Un tema caldo per Zedda che prima di diventare primo cittadino a 35 anni, era già stato consigliere regionale per Sel e, con un gesto simbolico aveva già rinunciato – con le dimissioni nel 2011– alla pensione da circa 1800 euro, diritto acquisito dopo appena due anni e mezzo tra i banchi. "Nella bozza – aggiunge Francesco Agus, capo gruppo di Campo Progressista – c'è pure il principio retroattivo. Finirebbe per avere il vitalizio anche chi resta tra i banchi tre, quattro mesi. Anche per chi è vittima dei ricorsi al Tar. Sembra proprio un assalto alla diligenza, prendiamo il possibile finché dura". Il riferimento è all'udienza del tribunale amministrativo chiamato a decidere sulla posizione di 15 consiglieri – di cui otto leghisti – che hanno usato l'adesione tecnica per la presentazione delle liste alle regionali. Un apparente cavillo che avrebbe potuto portare addirittura a nuovo voto in caso di approvazione. Ma i giudizi amministrativi si sono espressi per la bocciatura: tutto resterà così com'è.

L'asse più combattivo e in linea è quello del Movimento 5 stelle, guidato dalla capogruppo Desirè Manca. D'altronde lo stesso Zedda a marzo aveva lanciato un'apertura inaspettata proprio nei confronti dei grillini. "Non siamo qui per regalarci privilegi – afferma con energia Manca – si tratta di una cosiddetta ‘indennità differita’. Si reintroduce così il diritto alla maturazione per tutti con cinque anni e la possibilità di abbassare l'età necessaria a 60 anni. Una volontà di ritorno al passato nascosta tra le pieghe del provvedimento che punta ufficialmente a tagliare le cifre con il sistema contributivo. Ma ad allargare – allo stesso tempo – la platea agli attuali e futuri onorevoli.

A tarda serata la risposta della maggioranza, a nome del presidente del Consiglio regionale Pais è affidata a una nota istituzionale. Nessuna nuova proposta, sostiene. Bensì: "La proposta di legge che arriva all’esame della Prima commissione è la riproposizione letterale del testo che deriva dall’accordo Stato-Regioni in attuazione della Legge di Bilancio dello Stato e dalla Conferenza dei Presidenti dei Consigli regionali”. Eppure secondo Manca c'è una postilla che esclude proprio le regioni che hanno già tagliato. Sui tempi stretti cita il 30 giugno come data da rispettare per l'approvazione. E tenta di ribaltare la prospettiva, si tratterebbe di "equità sociale" per far rispettare: "Il principio di diritto in base al quale qualunque lavoratore, dall’operaio al professionista, e quindi anche il politico, debba ricevere un trattamento previdenziale in funzione a quanto versato". Tiepido il Pd, anche se non ha firmato. Mentre la maggioranza va avanti compatta:
 lunedì inizia l'iter in prima commissione.

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Intanto mentre si rincorrono i distinguo politici, ancora un annuncio su Facebook da parte di Massimo Zedda sull'utilizzo dei soldi pubblici. Nel cuore del post il tema della seconda proposta di legge illustrata sempre da Pais ai capigruppo: "il ripristino dei fondi ai gruppi". Quegli stessi fondi il cui utilizzo – non consono per la procura di Cagliari, ha portato all'apertura di due inchieste e il coinvolgimento di circa ottanta consiglieri, condanne e restituzione di denaro. "Non ci crederete, perché non potevo crederci neanche io e neanche i miei colleghi del gruppo, finché non ho visto il testo della seconda proposta di legge della XVI legislatura. La nuova bozza prevede il ripristino dei famigerati fondi ai gruppi". "la maggioranza di destra ritiene che la seconda priorità per la Sardegna sia quella di dare decine di milioni di euro ai gruppi consiliari". E i conti della serva: "La spesa? 60.000 euro circa a consigliere per 60 consiglieri, ogni anno, per 5 anni. Totale per la legislatura? 18 milioni di euro. Sommati ai vitalizi? Quasi 24 milioni di aumento di costi della politica".


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