“Vi racconto quel giorno in cui i Carabinieri uccisero mio figlio”,
parla il papà di Carlo Giuliani a 17 anni dal G8
Giuliano Giuliani, padre di Carlo, racconta a TPI di quel 20 luglio 2001 in cui il figlio 23enne moriva per un colpo di pistola sparato con l’arma di ordinanza dal carabiniere Mario Placanica
Di Lara Tomasetta
“La polizia venne a prenderci alle 11 di sera e ci portò in Questura. Lì ci dissero che nostro figlio Carlo era morto. Era lui il ragazzo ucciso negli scontri. Ma loro lo sapevano già da tempo”.
Il 20 luglio 2001, in piazza Alimonda, quella piazza rettangolare tagliata da due lingue di strada, moriva Carlo Giuliani, 23 anni, durante i giorni di guerriglia urbana in cui si trasformò il G8 di Genova. A ucciderlo, un colpo di pistola sparato con l’arma di ordinanza dal carabiniere Mario Placanica. I giudici stabilirono che Placanica aveva sparato per legittima difesa e il procedimento aperto nei suoi confronti fu archiviato nel 2003.
Giuliano Giuliani, padre di Carlo Giuliani, racconta a TPI di quei tragici giorni di 17 anni fa che hanno segnato la storia recente del nostro paese a partire da giovedì 19 luglio sino a domenica 22 luglio 2001, contestualmente allo svolgimento della riunione del G8.
“Avevo sentito Carlo intorno alle tre di pomeriggio, era in piazza Manin, gli avevo raccomandato di stare attento, mi disse ‘stai tranquillo’. Poi più niente. Mi aveva raccontato di aver già assistito a scene di violenza sempre in piazza Manin: c’era stato un intervento molto brutto da parte di un reparto di polizia su un gruppo di manifestanti che erano addirittura l’esempio massimo del pacifismo, l’ala cattolica del movimento no-global, quelli incapaci di manifestare alcun atteggiamento violento. Eppure vennero picchiati duramente, senza nessuno motivo”,
racconta Giuliano.
“Fu forse la cosa più brutta fatta dalla Polizia nella giornata di venerdì”, prosegue Giuliano. “Perché invece gli atti che poi portarono progressivamente all’appesantimento della vicenda, fino all’omicidio di Carlo, furono compiuti da indegni reparti dei Carabinieri con cariche violente e ingiustificate nei confronti dei manifestanti”.
Qui il papà di Carlo tiene a precisare: “Dico indegni perché mi sorregge una sentenza della Corte di Cassazione genovese che relativamente al processo contro 25 manifestanti accusati di associazione per delinque finalizzata alla devastazione e al saccheggio, alla fine ne ha assolti 15, e per altri 10 ha disposto una riduzione della pena. Verrà scritto che il loro reato era stato prevalentemente di resistenza a pubblico ufficiale. Avevano resistito a cariche violente, indiscriminate, e ingiustificate di un reparto di Carabinieri. Naturalmente nessun reparto dei Carabinieri
è stato incriminato per gli atti commessi”.
Giuliano va avanti nel racconto di quella tragica giornata: “Nel corso del pomeriggio io e mia moglie avevamo sentito che il clima si stava facendo man mano più pesante, ma dalle informazioni che trapelavano in tv non si capiva bene, lo capimmo dopo, sulla base della documentazione che ci diedero. L’informazione che per la gran parte era ruffiana al servizio del potere, parlava solo di manifestanti violenti, nemmeno una volta ha parlato di Carabinieri violenti”.
“Dopo la telefonata delle tre eravamo ancora lì ad aspettarlo”, ricorda Giuliano.
“Rispetto a quanto si è detto, mio figlio non andava in giro incappucciato, aveva indossato il cappuccio per ripararsi da quei maledetti seimila candelotti lacrimogeni col gas. Ci sono scene in cui si vede Carlo che cerca di difendere se stesso e gli altri dall’attacco più bestiale che sia stato fatto da un reparto dei Carabinieri contro un corteo autorizzato che non aveva fatto assolutamente niente”.
La mattina del 20 luglio ci furono i primi cortei della giornata, che cominciarono senza violenze. Poi la situazione cambiò in fretta: iniziarono a verificarsi degli incidenti e gli scontri tra manifestanti e polizia si fecero molto duri. Le immagini riprese in quei momenti, e in generale nei giorni del G8, furono trasmesse da molte televisioni in giro per il mondo, anche perché mostravano episodi di reazioni molto dure della polizia contro i manifestanti.
“Mio figlio è morto perché vittima di chi voleva eliminare un progetto che dava fastidio, questa è la verità”, ripete Giuliano che dopo 17 anni, e vari procedimenti archiviati, è ancora deciso nel far emergere la verità su quei giorni.
“Genova è stata gestita nel modo peggiore, o nel modo migliore, dipende dai punti di vista. L’obiettivo che si erano preposti era quello di distruggere quel movimento che dava grande fastidio perché aveva grandissime idee, quello lo hanno realizzato e raggiunto. Lo hanno raggiunto perché sono riusciti a far passare l’idea – tramite un’informazione che ha fatto abbastanza schifo in molti aspetti – che davvero ci fossero i violenti. E così hanno convinto l’opinione pubblica. Mentre al più i violenti potevano essere pochi gruppi di imbecilli con dentro un po’ di poliziotti e carabinieri in borghese, che hanno rotto e spaccato le cose per avallare la repressione del movimento vero”.
Dalle ricostruzioni di quei giorni emerse che le forze di sicurezza si trovarono in grande difficoltà nel gestire la situazione, sia causa della disorganizzazione che della conformazione della città di Genova, intersecata da strade spesso strette e ripide. Poliziotti e carabinieri furono anche accusati di aver lasciato liberi i vandali e di aver attaccato i grossi cortei più pacifici.
“Ricordiamocelo sempre, l’operazione più schifosa non fu nemmeno il massacro di quegli innocenti alla Diaz, ma il tentativo dei più alti vertici della Polizia di insinuare che i ragazzi fossero colpevoli di terrorismo. Fu il tentativo di far introdurre nella scuola le molotov da un sottoposto, con l’intenzione di far condannare i ragazzi che erano dentro”.
“In questi anni mi sono battuto molto per far emergere la verità ma è stata una lotta impari perché ho dovuto fronteggiare magistrati assolutamente inadeguati che hanno deciso l’archiviazione”,
ripete Giuliano.
“Non ignoro che Enrico Zucca, Cardona Albini e Petruzzella si sono occupati delle inchieste sulla scuola Diaz e su Bolzaneto, anche a rischio della propria esistenza. Questi magistrati hanno sconfitto il primo giudizio emesso nel 2008, che definiva quelle alla Diaz ‘perquisizioni legittime’ e Bolzaneto ‘distribuzione di caramelle e cioccolatini’. Sono ricorsi in appello e poi in Cassazione, fino ad arrivare a dire che alla Diaz si è commessa una delle più grandi porcherie di questo Paese, una vera ‘macelleria messicana’”.
“C’era la voglia da parte del governo di destra di sconfiggere questa opera, questo movimento”, insiste Giuliano.
C’è una telefonata incredibile tra alti ufficiali dei Carabinieri – che poi è stata resa pubblica – nella quale uno dice: ‘ci avete garantito quel reparto (parla della folgore) e i due alti ufficiali si dicono ‘no, stanno discutendo perché se escono quelli non si sa che ca**o succede. Quindi lo sapevano che all’interno delle cosiddette ‘forze dell’ordine’, c’era della gente pronta
a picchiare e non a fare ordine pubblico”.
Poi Giuliano conclude: “Io continuo a cercare di spiegare alla gente che le istituzioni sono una cosa seria e importante, quello che rovina le istituzioni sono gli individui inadeguati che occupano posti di comando e sono quelli che bisogna riuscire a cacciare via”.
“L’errore più grosso che possiamo fare è generalizzare, i termini collettivi cerco di non usarli più”.
A 17 anni di distanza, rimangono diversi dettagli poco chiari, tra cui due particolarmente importanti: gli agenti sul posto tentarono un goffo depistaggio delle indagini? E come venne ferito esattamente Carlo Giuliani?
Nessun ufficiale è stato indagato o processato per la conduzione dell’azione in piazza Alimonda o per il presunto depistaggio delle indagini. Nel 2011 la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha assolto completamente il governo da tutte le accuse di aver contribuito indirettamente alla morte di Giuliani.
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