Cuba – Usa, dopo 54 anni Riapre l’Ambasciata degli Stati Uniti all’Avana.
John Kerry: “Mi sento a casa”
“Oggi mi sento veramente a casa”, perché gli Stati Uniti e Cuba “non sono più prigionieri della storia”. Chi parla è John Kerry, il primo segretario di Stato americano che dal 1945 viene accolto a l’Avana. Oggi, 54 anni dopo, riapre l’ambasciata Usa: il culmine di un progressivo processo di disgelo annunciato lo scorso dicembre da Raul Castro e Barack Obama. Kerry parla in spagnolo e in inglese durante la cerimonia dell’alzabandiera davanti alla nuova sede diplomatica e a centinaia di cubani, accorsi per seguire di persona l’evento. Spiega che Usa e Cuba sono “vicini, non più nemici” grazie alle “decisioni coraggiose” di Castro e Obama e ringrazia papa Francesco per l’importante contributo all’apertura di un nuovo capitolo nelle relazioni fra i due Paesi. Bergoglio a settembre 2015 prima di arrivare negli Stati Uniti, dove sarà il primo Pontefice a parlare al Congresso, farà tappa proprio nell’isola cubana, e già a maggio aveva accolto in Vaticano la visita di Raul Castro.
Un nuovo inizio di relazioni inaugurato con la bandiera americana issata nella capitale cubana segna la fine della guerra fredda tra Washington e l’Avana. “E’ in questo spirito – ha aggiunto il segretario di Stato, ricordando che si tratta di un “momento storico e memorabile” – che dico a nome del mio Paese che gli Usa sono veramente felice”. Una svolta politica che “non è un favore fatto da un Paese a un altro. Normali relazioni rendono più facile parlarsi. Il parlarsi fa sì che possiamo capirci meglio”. E pur precisando che il cammino verso la normalizzazione sarà lungo, specifica che “è proprio per questo che vogliamo cominciare ora. Non c’è nulla da temere”. “Le nostre politiche del passato – ha continuato – non hanno portato a una transizione democratica a Cuba. Sarebbe poco realistico sperare che la normalizzazione delle relazioni riesca a portare cambiamenti nel breve periodo“.
Kerry aggiunge che “i cubani potranno solo ricevere benefici dalla vera democrazia“, tra cui la possibilità di “eleggere liberamente i loro governanti”. Poi preme affinché il Paese di Castro onori gli obblighi sui diritti umani: “Il futuro di Cuba – ha detto – deve essere fatto dai cubani, non può venire da una entità esterna. Ma i leader cubani sappiano che gli Usa resteranno sempre un campione di principi democratici e riforme, continueranno a esortare il governo sul rispetto dei diritti umani“. “Il presidente Obama sostiene con forza che l’embargo possa essere tolto solo dal Congresso, sta facendo passi per diminuire i vincoli e rendere più facile la vita a imprese e famiglie. Ma vogliamo andare oltre, per collegare Cuba con il mondo. Facciamo la nostra parte, ma chiediamo al governo di Cuba di rendere più facile ai cittadini agire. Ambedue le parti devono togliere le restrizioni che hanno trattenuto Cuba“.
Le richieste dei due Paesi – Cuba chiede a Washington di porre fine all’embargo e restituire la base navale americana di Guantanamo. Gli americani premono invece sull’Avana per un miglioramento in materia di diritti umani, il ritorno dei profughi ai quali è stato concesso l’asilo politico e la restituzione delle proprietà dei cittadini statunitensi nazionalizzate dopo che Fidel Castro è salito al potere.
Il disgelo – E’ iniziato lo scorso dicembre, quanto il presidente cubano Raul Castro e il l’omologo statunitense Barack Obama hanno annunciato l’intenzione di ristabilire i rapporti diplomatici, riaprire le ambasciate e lavorare insieme per normalizzare le relazioni. Kerry ha dichiarato alla tv Univision, prima del suo viaggio: “Sempre più persone viaggeranno. Ci sarà più scambio. Più famiglie potranno ricongiungersi. E si spera che anche il governo di Cuba voglia prendere decisioni per iniziare a cambiare le cose”. Nel pomeriggio Kerry incontrerà alcuni dissidenti cubani, non invitati alla cerimonia dell’alzabandiera come segno di rispetto al governo dell’Avana, che li considera al pari di mercenari sponsorizzati dagli Stati Uniti.
Cuba, Fidel Castro: «Gli Usa ci devono indennizzi per vari milioni dollari»
L’ex lider maximo, nel giorno del suo 89esimo compleanno, torna a scrivere su Granma: solo con i danni per l’embargo i rapporti si normalizzeranno Cuba, Fidel Castro: «Gli Usa ci devono indennizzi per vari milioni dollari»
Fidel Castro critica anche il ruolo americano come potenza mondiale, ricordando il lancio di bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, 70 anni fa: «L’impero giapponese era già sconfitto. Gli Stati Uniti, il paese il cui territorio e le cui industrie rimasero lontane dalla guerra, diventarono il paese più ricco e meglio armato della terra, a fronte di un mondo distrutto, pieno di morti, feriti e affamati».
La scarsa fiducia in Washington
Ritiratosi dal potere nel 2008 per motivi di salute, l’ex lider maximo è da allora intervenuto numerose volte sulla stampa ufficiale con lunghi articoli. Tuttavia finora si era pronunciato solo una volta sulla ripresa dei rapporti diplomatici con gli Stati Uniti, annunciata il 17 dicembre dal fratello e successore Raul Castro, assieme al presidente americano Barack Obama. «Difenderemo sempre la cooperazione e l’amicizia con tutti i popoli del mondo», aveva scritto Fidel in gennaio, aggiungendo di non aver grande fiducia negli Stati Uniti.
– Il giorno prima della riapertura dell'ambasciata statunitense a Cuba, Fidel Castro pubblica sul "Granma", l'organo del Partito Comunista Cubano, l'editoriale che segue, polemico nei confronti degli Stati Uniti.
Scrivere è una forma di essere utile se considera che la nostra rassegnata umanità deve essere educata di più e meglio di fronte all'incredibile ignoranza che ci avvolge tutti, ad eccezione dei ricercatori che cercano nella scienza una risposta soddisfacente. È una parola che implica in poche lettere il suo infinito contenuto.
Tutti nella nostra gioventù abbiamo sentito parlare qualche volta di Einstein e, soprattutto, dopo l'esplosione delle bombe atomiche a Hiroshima e Nagasaki, che ha posto fine alla crudele guerra scatenata tra Giappone e Stati Uniti. Quando quelle bombe furono lanciate, dopo la guerra scatenata dall'attacco alla base degli Stati Uniti a Pearl Harbor, l'impero giapponese era già vinto. Gli Stati Uniti, il paese il cui territorio e le cui industrie rimasero estranei alla guerra, passò a essere quello con la maggiore ricchezza e meglio armato della terra, di fronte a un mondo andato in pezzi, strapieno di morti, feriti e affamati. Insieme, URSS e Cina avevano perso più di 50 milioni di vite, sommate a un'enorme distruzione materiale. Quasi tutto l'oro del mondo andò a finire nei forzieri degli Stati Uniti. Oggi si calcola che la totalità dell'oro come riserva monetaria di quella nazione raggiunge 8.133,5 tonnellate di quel metallo. Nonostante ciò, stracciando gli impegni sottoscritti a Bretton Woods, Stati Uniti hanno dichiarato unilateralmente che non avrebbero rispettato il dovere di appoggiare l'oncia Troy con il valore in oro della loro carta moneta.
Tale misura decretata dar Nixon violava gli impegni contratti dal presidente Franklin Delano Roosevelt. Secondo un grande numero di esperti in quella materia, crearono così le basi di una crisi che tra altri disastri minaccia di colpire con forza l'economia di quel modello di paese. Intanto, a Cuba sono dovute le indennità equivalenti ai danni che ascendono a svariati milioni di dollari, come ha denunciato il nostro paese con argomenti e dati irrefutabili durante i suoi interventi alle Nazioni Unite.
Come è stato espresso con ogni chiarezza dal Partito e dal Governo di Cuba, in segno di buona volontà e di pace tra tutti i paesi di questo emisfero e dell'insieme dei paesi che compongono la famiglia umana, e così contribuire a garantire la sopravvivenza della nostra specie nel modesto spazio che ci spetta nell'universo, non smetteremo mai di lottare per la pace e per il benessere di tutti gli esseri umani, indipendentemente dal colore della pelle e dal paese d’origine di ogni abitante del pianeta, così come per il pieno diritto di tutti di avere o no una credenza religiosa.
L'uguaglianza di tutti i cittadini riguardo alla salute, all'educazione, al lavoro, all'alimentazione, alla sicurezza, alla cultura, alla scienza, e al benessere, cioè, agli stessi diritti che abbiamo proclamato quando abbiamo iniziato la nostra lotta, più quelli che sorgono dai nostri sogni di giustizia e di uguaglianza per gli abitanti del nostro mondo, è quella che auguro a tutti; quelli che condividono in tutto o in parte le stesse idee, o molto superiori ma nella stessa direzione, li ringrazio, cari compatrioti.
Fidel Castro Ruz
13 agosto 2015
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