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Lega Lombarda a Lega Nord 180 milioni di rimborsi spariti
Era il Carroccio a pagare tutti conti della famiglia Bossi. «Dopo la malattia di Umberto, non solo lui, ma la moglie e i figli erano interamente mantenuti dalla Lega e i “costi dei ragazzi” erano addirittura di gran lunga superiori a quelli che lo stesso segretario della Lega immaginava» scrive il giudice dell’ottava sezione penale di Milano Vincenzina Greco. Lo mette nero su bianco nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 14 marzo ha condannato con rito abbreviato Riccardo, primogenito del senatùr, a un anno e otto mesi per appropriazione indebita aggravata.
Il processo - il primo ad arrivare a sentenza dopo gli scandali del 2012 – ha al centro una serie di spese saldate con i fondi dei rimborsi elettorali destinati a via Bellerio. Le prove, per il giudice, che Bossi Jr siano andati ben 158mila euro sono «ponderose e granitiche». Soldi utilizzati per pagare tra il 2009 e il 2011 «debiti personali, noleggi auto, le rate dell’università dell’Insubria, l’affitto di casa, il mantenimento dell’ex moglie,
l’abbonamento alla pay-tv, luce e gas e anche il veterinario per il cane».
A provarlo ci sono le intercettazioni tra l’ex tesoriere Francesco Belsito (anche lui a processo in un altro filone dell’inchiesta) e Nadia Dagrada, storica segretaria di Bossi.
180 milioni di rimborsi: così la Lega ha spremuto “Roma ladrona”
Il Carroccio ha beneficiato di tutte le leggi sui contributi elettorali statali. Dal 1988 al 2013. Dal fondatore Umberto Bossi al nuovo leader Matteo Salvini. Passando per Roberto Maroni. Eppure il partito ora ha le casse vuote. E vari processi aperti per le spese pazze dei suoi vertici.
Dalla Lega Lombarda alla Lega Nord, transitando dalla prima alla seconda repubblica a suon di miliardi (di lire) prima e milioni (di euro) poi generosamente elargiti dallo Stato. Dal 1988 al 2013 sono finiti nelle casse del partito fondato da Umberto Bossi e oggi guidato da Matteo Salvini, dopo la parentesi di Roberto Maroni, 179 milioni 961 mila. L’equivalente di 348 miliardi 453 milioni 826 mila lire. Una cuccagna, sotto forma di finanziamento pubblico e rimborsi elettorali, durata oltre un quarto di secolo.
Ma nonostante l’ingente flusso di denaro versato nei conti della Lega oggi il piatto piange. Ne sanno
qualcosa i 71 dipendenti messi solo qualche mese fa gentilmente alla porta dal Carroccio. Sorte
condivisa anche dai giornalisti de “La Padania”, storico organo ufficiale del partito, che ha chiuso i
battenti a novembre dell’anno scorso non prima, però, di aver incassato oltre 60 milioni di euro in 17
anni. Insomma, almeno per ora, la crisi la pagano soprattutto i dipendenti. In attesa che la magistratura faccia piena luce anche su altre responsabilità. A cominciare da quelle relative allo scandalo della distrazione dei rimborsi elettorali, che l’ex amministratore della Lega Francesco Belsito avrebbe utilizzato in parte per acquistare diamanti, finanziare investimenti tra Cipro e la Tanzania e per comprare, secondo l’accusa, perfino una laurea in Albania al figlio prediletto del Senatùr, Renzo Bossi, detto il Trota. Vicenda sulla quale pendono due procedimenti penali, uno a Milano e l’altro a Genova.
MANNA LOMBARDA Fondata nel 1982 da Umberto Bossi, è alle politiche del 1987 che la Lega
Lombarda, precursore della Lega Nord, conquista i primi due seggi in Parlamento. E nel 1988, anno per altro di elezioni amministrative, inizia a beneficiare del finanziamento pubblico: 128 milioni di lire (66 mila euro). Un inizio soft prima del balzo oltre la soglia del miliardo già nel 1989, quando riesce a spedire anche due eurodeputati a Strasburgo: 1,03 miliardi del vecchio conio (536 mila euro) di cui 906 milioni proprio come rimborso per le spese elettorali sostenute per le elezioni europee. Somma che sale a 1,8 miliardi lire (962 mila euro) nel 1990, per poi scendere a 162 milioni (83 mila euro) nel 1991 alla vigilia di Mani Pulite. Nel 1992 la Lega Lombarda, diventata proprio in quell’anno Lega Nord, piazza in Parlamento una pattuglia di 55 deputati e 25 senatori. E il finanziamento pubblico lievita a 2,7 miliardi di
lire (1,4 milioni di euro) prima di schizzare, l’anno successivo, a 7,1 miliardi (3,7 milioni di euro). Siamo nel 1993: sulla scia degli scandali di tangentopoli, con un referendum plebiscitario (il 90,3% dei consensi) gli italiani abrogano il finanziamento pubblico ai partiti. Che si adoperano immediatamente per aggirare il verdetto popolare, introducendo il nuovo meccanismo del fondo per le spese elettorale (1.600 lire per ogni cittadino italiano) da spartirsi in base ai voti ottenuti. Un sistema che resterà in vigore fino al 1997 e che consentirà alla Lega di incassare 11,8 miliardi di lire (6,1 milioni di euro) nel 1994, anno di elezioni politiche che fruttano al Carroccio, grazie all’alleanza con Forza Italia, una pattuglia parlamentare di 117 deputati e 60 senatori. Nel 1995 entrano in cassa 3,7 miliardi (1,9 milioni di euro) e altri 10 miliardi (5,2 milioni di euro) nel 1996.
RIMBORSI D’ORO
L’anno successivo, nuovo maquillage per il sistema di calcolo dei finanziamenti elettorali. Arriva «la contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici», che lascia ai contribuenti la possibilità di
destinare il 4 per mille dell’Irpef (Imposta sul reddito delle persone fisiche) al finanziamento di partiti e movimenti politici fino ad un massimo di 110 miliardi di lire (56,8 milioni di euro). Non solo, per il 1997, una norma transitoria ingrossa forfetariamente a 160 miliardi di lire (82,6 milioni di euro) la torta per l’anno in corso. E, proprio per il ’97, per la Lega arrivano 14,8 miliardi di lire (7,6 milioni di euro) che scendono però a 10,6 (5,5 milioni di euro) iscritti a bilancio nel 1998. Un campanello d’allarme che suggerisce ai partiti l’ennesimo blitz normativo che, puntualmente, arriva nel 1999: via il 4 per mille, arrivano i rimborsi elettorali (che entreranno in vigore dal 2001). In pratica, il totale ripristino del vecchio finanziamento pubblico abolito dal referendum del 1993 sotto mentite spoglie: contributo fisso di 4.000 lire per abitante e ben 5 diversi fondi (per le elezioni della Camera, del Senato, del Parlamento Europeo, dei Consigli regionali, e per i referendum) ai quali i partiti potranno attingere. Con un paletto: l’erogazione si interrompe in caso di fine anticipata della legislatura.
ELEZIONI, CHE CUCCAGNA
Intanto, sempre nel 1999, per la Lega arriva un assegno da 7,6 miliardi di lire (3,9 milioni di euro), cui se ne aggiungono altri due da 8,7 miliardi (4,5 milioni di euro) nel 2000 e nel 2001. E’ l’ultimo anno della lira che, dal 2002, lascia il posto all’euro. E, come per effetto dell’inflazione, il contributo pubblico si adegua alla nuova valuta: da 4.000 lire a 5 euro, un euro per ogni voto ottenuto per ogni anno di legislatura, da corrispondere in 5 rate annuali. E per la Lega, tornata di nuovo al governo nel 2001, è un’escalation senza sosta: 3,6 milioni di euro nel 2002, 4,2 nel 2003, 6,5 nel 2004 e 8,9 nel 2005. Una corsa che non si arresta nemmeno nel 2006, quando il centrodestra viene battuto alle politiche per la seconda volta dal centrosinistra guidato da Romano Prodi: nonostante la sconfitta, il Carroccio incassa 9,5 milioni e altri 9,6 nel 2007. Niente a confronto della cuccagna che inizierà nel 2008, quando nelle casse delle camicie verdi finiscono la bellezza di 17,1 milioni di euro.
CARROCCIO AL VERDE E’ l’effetto moltiplicatore di un decreto voluto dal governo Berlusconi in base al quale l’erogazione dei rimborsi elettorali è dovuta per tutti i 5 anni di legislatura, anche in caso di scioglimento anticipato delle Camere.
Proprio a partire dal 2008, quindi, i partiti iniziano a percepire un doppio rimborso, incassando
contemporaneamente i ratei annuali della XV e della XVI legislatura. Nel 2009 il partito di Bossi sale così a 18,4 milioni per toccare il record storico con i 22,5 milioni del 2010. Anno in cui, sempre il governo Berlusconi, abrogherà il precedente decreto ponendo fine allo scandalo del doppio rimborso. E anche i conti della Lega ne risentiranno: 17,6 milioni nel 2011. La cuccagna finisce nel 2012 quando il governo Monti taglia il fondo per i rimborsi elettorali del 50%. Poi la spallata finale inferta dall’esecutivo di Enrico Letta che fissa al 2017 l’ultimo anno di erogazione dei rimborsi elettorali prima della definitiva scomparsa. Per il Carroccio c’è ancora tempo per incassare 8,8 milioni nel 2012 e 6,5 nel 2013. Mentre “La Padania” chiude i battenti e i dipendenti finiscono in cassa integrazione.
FINANZIAMENTI E RIMBORSI ELETTORALI ALLA LEGA NORD
(1988-2013)
1988 € 66.249,25 (128.276.429 lire)
1989 € 536.646,25 (1.039.092.041 lire)
1990 € 962.919,55 (1.864.472.246 lire)
1991 € 83.903,87 (162.460.547 lire)
1992 € 1.416.991,83 (2.743.678.776 lire)
1993 € 3.707.939,87 (7.179.572.723 lire)
1994 € 6.125.180,49 (11.860.003.225 lire)
1995 € 1.915.697,39 (3.709.307.393 lire)
1996 € 5.207.659,00 (10.083.433.932 lire)
1997 € 7.648.834,36 (14.810.208.519 lire)
1998 € 5.518.448,11 (10.685.205.533 lire)
1999 € 3.947.619,62 (7.643.657.442 lire)
2000 € 4.539.118,41 (8.788.958.807 lire)
2001 € 4.511.422,19 (8.735.332.610)
2002 € 3.693.849,60
2003 € 4.284.061,62
2004 € 6.515.891,41
2005 € 8.918.628,37
2006 € 9.533.054,95
2007 € 9.605.470,43
2008 € 17.184.833,91
2009 € 18.498.092,86
2010 € 22.506.486.93
2011 € 17.613.520,09
2012 € 8.884.218,85
2013 € 6.534.643,57
TOTALE 179.961.382,78
Le spese per l’affitto, per il canone della tv a pagamento, per il veterinario, e pure le rate dell’università: coi soldi del Carroccio, che arrivavano dai rimborsi elettorali, ci viveva tutta la famiglia Bossi.
Lo rivelano le motivazioni della sentenza.
Non solo Bossi, ma anche sua moglie e i suoi figli, venivano mantenuti dalla Lega dopo l’ictus del
fondatore, che lo aveva reso parzialmente inabile. È quanto emerge dalle intercettazioni tra l’ex
tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito e l’ex segretaria di via Bellerio Nadia Dagrada, riportate
nelle motivazioni della sentenza con cui, lo scorso 14 marzo, il giudice dell’ottava sezione penale di
Milano, Vincenzina Greco, ha condannato con rito abbreviato Riccardo Bossi, primogenito del `Senatur´, a un anno e otto mesi per appropriazione indebita aggravata.
I rimborsi elettorali per le spese personali
Il processo - il primo arrivato a sentenza dopo lo scoppio dello scandalo sui fondi del partito, emerso nel 2012 - vedeva al centro le presunte spese personali con i soldi nelle casse del Carroccio e, in
particolare, con i contributi pubblici derivanti dai rimborsi elettorali.
Per il giudice «l’impianto probatorio»
a carico di Riccardo Bossi, imputato per spese con i fondi della Lega per circa 158mila euro, «è
ponderoso e granitico». E tra gli elementi che hanno portato alla condanna del figlio dell’ex segretario del Carroccio, il magistrato in una quarantina di pagine di motivazioni richiama proprio le intercettazioni tra Belsito e Dagrada, finite agli atti dell’inchiesta milanese coordinata all’epoca dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo e dai pm Paolo Filippini e Roberto Pellicano.
Il giudice, condannando Riccardo Bossi a un anno e 8 mesi, con la sospensione condizionale della
pena e il riconoscimento delle attenuanti generiche, è andato oltre la richiesta di 1 anno del pm Filippini.I soldi del Carroccio per pay-tv, veterinario e rate
Il figlio di Umberto Bossi era imputato per una serie di spese con soldi pubblici che avrebbe usato, tra il 2009 e il 2011, per pagare «debiti personali», «noleggi auto», le rate dell’università dell’Insubria, l’affitto di casa, il «mantenimento dell’ex moglie», l’abbonamento alla pay-tv, «luce e gas» e anche il «veterinario per il cane». Per il giudice, tra l’altro, Riccardo Bossi nel suo interrogatorio in aula «è
incorso in una palese contraddizione»: dopo «aver sostenuto la sua convinzione che le elargizioni di
denaro provenissero dai conti correnti del padre» ha «di fatto, ammesso (...) la sua piena
consapevolezza che le somme di cui beneficiava erano prelevate dalle casse del Movimento,
sostenendo che compensava tali esborsi non percependo gli emolumenti ai quali aveva diritto».
Il vitalizio di 3 mila euro Non solo: nelle motivazioni, il magistrato richiama alcune dichiarazioni di Belsito, il quale ha raccontato a verbale che il precedente tesoriere «Balocchi e Umberto Bossi stabilirono di dare all’imputato un vitalizio di circa tremila euro, sotto forma di rimborso spese in relazione a un contratto che non è stato registrato». E sempre Belsito «ha precisato che decine di persone percepivano compensi dalla Lega in conformità a tipologie di contratti di tal fatta, pur non rivestendo alcun ruolo e non svolgendo alcuna prestazione». Nessuna «attività concreta in favore della Lega faceva Riccardo Bossi - scrive il giudice - come tanti altri familiari di Umberto, ai quali Belsito era tenuto a versare un rimborso forfettario delle spese».
La cartella «The family»
Belsito, spiega ancora il giudice, «intendeva utilizzare» la ormai famosa cartella chiamata The Family «come arma di ricatto con Umberto Bossi per scongiurare la sue destituzione» da tesoriere. Belsito,
Umberto Bossi e l’altro figlio Renzo, detto il Trota, sono anche loro imputati per appropriazione indebita ma con rito ordinario e il processo è ancora in corso a Milano. La parte principale dell’inchiesta che nel 2012 ha travolto il Senatur e la sua famiglia è stata trasferita, invece, tempo fa a Genova dove è in corso il processo per la presunta truffa ai danni dello Stato sui rimborsi elettorali che vede imputati di nuovo Umberto Bossi, Belsito e tre ex revisori del partito.
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