Chernobyl day e la memoria corta dei presidenti
Il 26 aprile del 1986 esplodeva il reattore nucleare di Chernobyl, in Bielorussia, causando la più grave catastrofe atomica della storia. Oggi, facciamo ancora i conti con quei problemi.
Chernobyl
Probabilmente il tema del rischio nucleare lo hanno del tutto rimosso, altrimenti il presidente del consiglio Silvio Berlusconi e il premier russo Vladimir Putin non avrebbero scelto proprio oggi per sottoscrivere l’accordo di cooperazione nucleare fra i due paesi, nel giorno della tragedia di Chernobyl, ventiquattro anni fa in Bielorussia. O magari, invece, l’hanno fatto apposta. Comunque, l’intesa politica è stata raggiunta e il memorandum per la cooperazione nucleare fra Italia e Russia è stato materialmente firmato dall’amministratore delegato dell’Enel, Fulvio Conti, e dal presidente della società russa Inter Rao Ues, Boris Y. Kovalchuk. Fra i progetti, la realizzazione della centrale nucleare di Kaliningrad in Russia, ovviamente di terza generazione, mentre il presidente Berlusconi ha ri-annunciato l’avvio dei lavori della prima centrale nucleare in Italia entro tre anni, cioè prima della fine della legislatura. E però, nonostante i proclami, nessuno dei problemi legati all’uso del nucleare per produrre elettricità è stato risolto in questi ventiquattro anni, né è sciolto il legame che connette nucleare civile e nucleare militare.
Così a Villa Gernetto a Lesmo, il comune della Brianza dove si svolge il vertice bilaterale Italia Russia, mentre nel resto del paese e del mondo continuano le manifestazioni per ricordare la catastrofe nucleare con il Chernobyl Day, iniziato già sabato. Nel nostro paese, le iniziative sono state precedute da un appello promosso da sedici associazioni ambientaliste, comprese Wwf, Greenpeace e Legambiente, che inizia con: «Crediamo che la scelta del governo di far tornare il nucleare in Italia sia una scelta sbagliata e rischiosa, che non fa gli interessi dei cittadini e del paese». E poi seguono alcuni dati. «L’Italia ha una potenza elettrica installata di ormai quasi 100 mila megawatt, mentre il picco di consumi oggi non supera i 55 mila megawatt. Le recenti dichiarazioni di autosufficienza energetica dei presidenti di alcune Regioni italiane valgono anche per il resto del paese. Non abbiamo dunque bisogno di nuova energia ma di energia rinnovabile in sostituzione di quella fossile». Senza dimenticare che nessuno dei presidenti eletti ha dato esplicito assenso a costruire impianti sul proprio territorio, neppure quelli del Pdl o della Lega. Né si conoscono ancora i siti dove il governo, con soldi evidentemente pubblici, intenderebbe posare le prime pietre.
A ventitre anni dal referendum che, dopo la «lezione» di Chernobyl, determinò la chiusura della già fallimentare stagione nucleare italiana, ci ritroviamo a fare i conti con un programma governativo velleitario quanto pericoloso, senza che, nel frattempo, la scienza e la tecnologia abbiano fatto passi avanti significativi in materia di sicurezza, smaltimento delle scorie e degli impianti, approvvigionamento di combustibile, eccetera. Per questo da più parti si pensa a promuovere un nuovo referendum. L’Idv ha annunciato l’avvio della raccolta delle firme, mentre il Comitato «Sì alle energie rinnovabili, No al nucleare» sollecita le undici Regioni che hanno fatto ricorso alla Corte costituzionale contro la legge sullo sviluppo n. 99 del 2009 [che contiene la ripresa del nucleare] a promuovere un referendum per fermare la norma che fissa i criteri per i siti nucleari in Italia [decreto legislativo dell’8 marzo 2010]. Bastano cinque Regioni per chiederlo.
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