Cosa c'è davvero dietro l'arresto degli operatori di Emergency
Emanuele Giordana Lettera22
da Lettera22.it. La recente vicenda di Emergency scoppia in un momento delicatissimo nei rapporti tra Kabul e Washington e, di riflesso, con tutti gli alleati occidentali dell'Afghanistan. Un momento in cui la corda è tesa, la tensione è alta, gli screzi all'ordine del giorno. I colpi bassi pure
L’esercito americano ha chiuso in Afghanistan il fortino nella valle di Korangal. In termini di vite umane era costato 42 soldati e centinaia di feriti. Molto sforzo per nulla perché la valle nella provincia di Kunar, desertica e spopolata, restava e resta saldamente in mano talebana nonostante l’impiego di risorse materiali e umane. Non è l’unico avamposto sigillato: nel 2007 e nel 2008, spiega il New York Times, due fortini e una base satellitare sono stati chiusi nella valle di Waygal in Nuristan e nel 2009 due ne son stati chiusi, sempre in Nuristan, nell’area di Kamdesh. Con la base di Korangal sono state abbandonate anche altre cinque basi satellitari. Qualcuno [oltre ai giornali americani] se n’è accorto?
La fortissima attenzione che abbiamo sul caso del personale di Emergency, giustificata dall’indignazione per il fatto che si tratta di italiani, umanitari e volontari probabilmente coinvolti in una oscura manovra, rischia di farci dimenticare la cornice in cui si dipana il quadro della vicenda. E in questo caso la cornice è quanto mai parte del quadro e lo condiziona pesantemente. Oltre la guerra, che ne è ovviamente lo sfondo naturale.
La recente vicenda di Emergency scoppia in un momento delicatissimo nei rapporti tra Kabul e Washington e, di riflesso, con tutti gli alleati occidentali dell’Afghanistan. Un momento in cui la corda è tesa, la tensione è alta, gli screzi all’ordine del giorno. I colpi bassi pure. Un quadro aggravato, come racconta la vicenda dell’avamposto di Korangal, da un discreto nervosismo che caratterizza i manovratori di Isaf Nato, il generale McChrystal in particolare, cui spetta il compito di dimostrare, entro sei-otto mesi, che aver portata i 1300 soldati americani del 2001 ai 70mila attuali (più o meno dispiegati e in crescita) è un’impresa con un senso.
Sul piano politico la corda si è sempre più tesa dopo gli attacchi sferrati a giorni alterni a Karzai dalla stampa americana, da mezze dichiarazioni ufficiali o di questo o quell’anonimo funzionario. Infine, quando a fine marzo il parlamento afgano ha bocciato la legge con cui Karzai voleva assicurarsi il pieno controllo di una commissione elettorale, il presidente è letteralmente esploso, coprendo i suoi alleati di insulti e pesantissime accuse. La recente visita di Obama in Afghanistan inoltre ha sgombrato il campo da nubi solo fino a un certo punto tanto che, a inizio aprile, la visita di Karzai a Washington del prossimo 12 maggio sembrava sul punto di saltare. Come insegna l’esperienza, quando la corda politica si tende troppo e quando il presidente si sente nell’angolo, partono i colpi di coda. Difficile escludere che quello contro Emergency non rientri in una strategia per alzare il prezzo: colpire Emergency per parlare a Roma [la nuora] perché, in ultima analisi, Washington [la suocera] intenda.
Sul piano militare la situazione non è meno tesa. Dopo che l’Operazione Moshtarak ha dato la prima spallata in febbraio ai comandi talebani dell’Helmand, ora McChrystal vuole prendere di petto la regione di Kandahar e rendere finalmente sicura la sua capitale. Il nuovo piano strategico è quello di abbandonare avamposti inutili e onerosi concentrandosi sulle aree dove il controllo del governo è debole e inesistente, «proteggendo» gli afgani dai talebani. Una scommessa forte. Ma la turbolenza politica non aiuta. Karzai ha fatto un giro di visite dai capi villaggio della zona [gli «elde» o anziani come si dice in gergo] rassicurandoli sul fatto che nulla si farà in futuro sul piano militare senza il loro accordo. McChrystal è in fibrillazione: deve assecondare due presidenti, il suo e quello afgano, ma fino a che punto? Il generale ha anche un’altra preoccupazione. Nonostante promesse, rassicurazioni e cambio delle regole d’ingaggio, i suoi ragazzi continuano a sbagliare: sparano sulle corriere, ai posti di blocco, lungo le strade come purtroppo avviene in ogni guerra. Nemmeno questo aiuterà un conflitto che, per arrivare a soluzione, ha puntato tutto, per l’ennesima volta, sull’opzione militare. Inevitabilmente prigioniera delle logiche perverse della guerra [vittime civili, consenso in calo, perdite] e di quelle altrettanto minate della politica. Di cui Emergency sembra pagare in parte il conto.
ARTICOLO REDATTO PRIMA DELLA LIBERAZIONE <-------------
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