La Fiat tace e non commenta la sentenza del giudice del lavoro che reintegra al loro posto i tre lavoratori ingiustamente licenziati. Probabilmente sta zitta per le ragioni che sospetta legittimamente Luciano Gallino su "Repubblica" di oggi e cioè che abbia deliberatamente voluto provocare una sentenza che era fatale per dimostrare una inidoneità giuridica e sociale dell'Italia agli investimenti,
una realtà ingovernabile dal punto di vista delle imprese e della loro tranquillità gestionale. Ma, io credo invece che la Fiat con Confindustria, Governo, Sindacati firmatari a Pomigliano, aspetti la prima decade di ottobre quando il collegato lavoro sarà blindato ed approvato dal Parlamento. Spera in norme che aboliscano il reintegro e lo sostituiscano con una manciata di spiccioli. Il lavoratore potrà avere ragione: non c'è giusta causa nei licenziamenti ma, come si dice in Sicilia, "avi ragiuni e sa mancia squadata", ( ha ragione ma non gli serve a niente), perché non tornerà mai più nella azienda che lo ha allontanato e dove magari lavorava da venti anni e forse era dirigente sindacale nel reparto.
Sono convinto che si giocherà pesante contro il diritto vitale del reintegro e magari si coagulerà una maggioranza che non sarà soltanto del centro-destra. Spezzoni importanti del PD sono "maturi" ad infliggere questa coltellata al cuore della classe operaia, magari invocando l'ormai nauseante e ritrito
richiamo alle riforme, alla modernità, alla flessibilità.
Questa convinzione è in me corroborata dalle dichiarazioni della Cisl e della Fim Cisl i quali dicono di condividere la sentenza del giudice e attribuiscono il licenziamento ad un errore della Fiat indotto dal "clima di esasperazione" creato dalla Fiom. La Fim si spinge fino a parlare di opposti estremismi della Fiat e della Fiom lodando la propria moderazione, il proprio senso di responsabilità.
Sappiamo tutti che non è così e che la Fiom non ha creato nessun clima di esasperazione. L'allarme è stato generato da Marchionne con il suo "prendere o me ne vado in Polonia" accompagnato da toni sprezzanti di grande alterigia che questo signore sempre più megalomico sfoggia. Ai lavoratori ed ai siciliani preoccupati per la sorte dello stabilimento di Termini Imerese rispose che non poteva staccare Termini da dove è ed incollarla al Piemonte! Ai lavoratori di Torino ha chiuso la porta in faccia dicendo che i Serbi e gli americani della Chrysler (controllati da un sindacato di stampo mafioso) lo garantivano di più. Lo squallido ceto politico italiano non lo ha mai rimbeccato e si è prosternato ai suoi piedi a cominciare dal sindaco di Torino e dai massimi dirigenti del PD. Ceto politico che non risponde in modo serio alle delocalizzazioni realizzate in spregio ad ogni obbligo delle aziende verso l'Italia dove per decenni hanno fatto i soldi, inquinato, si sono espanse.
Non ho dubbi che Cisl ed Uil continueranno a collaborare alla definizione di un "collegato lavoro" gradito da Marchionne e dalla Confindustria. Non ho dubbi che la CGIL cercherà di ridurre il danno e se non ci riuscirà si limiterà a non firmare e magari chiederà quattro ore di sciopero agli italiani.
Mi inquieta molto il fatto che la FIOM che ancora oggi è un sindacato molto amato dai lavoratori abbia fissato lo sciopero generale per il 16 ottobre quando il collegato sarà certamente già stato varato dal Parlamento. Si tratta di un errore di calendario o ci prepariamo a fare sfogare la rabbia, il risentimento, la frustrazione dei lavoratori piuttosto che giocare d'anticipo e prevenire il danno?
Per questo credo che, data la condizione alla quale siamo giunti, non resti ai lavoratori che una sola arma. Dare vita alla revoca di almeno un milione di deleghe sindacali subito! A settembre chi vuole difendere la sua esistenza, chi non vuole farsi liquidare da quattro spiccioli e magari a cinquanta anni essere costretto a cercarsi un lavoro che non troverà, dovrà dare un segnale pesante, duro, al suo sindacato. Fargli capire che non può continuare ad agire assecondando lo sfoglio del carciofo che
in questi ultimi anni lo ha privato di moltissimi suoi diritti. Non esiste un solo accordo sindacale nello ultimo decennio che gli abbia dato qualcosa! Tutti hanno sottratto diritti e salario.
Non esistono molti organismi sindacali disponibili ad una vera discussione delle spinosissime questioni che il padronato italiano ha messo al centro della realtà. Quando questi organismi si riuniscono è quasi sempre "dopo" e mai prima che i fatti avvengano.
Se si vuole rinnovare e fare rivivere il sindacalismo italiano bisogna dare una lezione durissima a quello oggi esistente. Fare ragionare, fare riflettere, usando la sola arma di condizionamento che abbia oggi la base: il ritiro in massa delle deleghe.
A CURA di PIETRO ANCONA
sindacalista CGIL in pensione già consigliere CNEL-
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