La strage di Parigi, i conti non tornano
#CharlieHebdo
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#CharlieHebdo
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SCUSATE SE SONO CINICO
MA NON VEDO SANGUE DOPO LO SPARO RAVVICINATO
UN FUCILE DI QUEL CALIBRO SPARANDO
A DISTANZA RAVVICINATA
SPAPPOLA LA TESTA ALLA VITTIMA
QUI NON SUCCEDE NULLA TRANNE UN PO DI FUMO BIANCO
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ALCUNI DUBBI REALI .
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DA VEDERE
"Come in tutti i “grandi casi” (Kennedy, piazza Fontana, Palme, 11 settembre, morte di Osama bin Laden ecc. ec.), anche in questo di Parigi, i conti non tornano e ci sono un sacco di cose da spiegare:
1. Come mai un obiettivo sensibile -come la redazione di Charlie Hebdo- era così debolmente protetto? Vista da questo angolo visuale, la vignetta che presagiva l’attentato appare come una cosa più sinistra di un semplice presentimento.
2. I servizi francesi sono fra i migliori del mondo ed hanno una scuola di pensiero molto avanzata, ma poi si fanno fregare in questo modo da tre ragazzi che vanno in giro armati di kalashnikov a fare strage di giornalisti? A quanto pare, sembra che non abbiano alcun controllo dell’ambiente jihadista presente sul proprio territorio, al punto di non essere capaci di monitorare neppure i reduci dalle guerre mediorientali.
3. E le armi, gli attentatori, dove se le sono procurate? Portate appresso dalla Siria? E i francesi se le sono fatte passare sotto il naso? Bella groviera sono i controlli! La mala vita, come suggerisce Loretta Napoleoni sul Fatto? Ma, da sempre la malavita è la cosa più infiltrata dalla polizia, per cui, se anche la cosa è sfuggita prima, ora dovrebbe essere relativamente (dico relativamente) agevole risalire agli attentatori. 4. “Gli attentatori sono provetti professionisti del mitra”, anzi no, “sono principianti che fanno errori da recluta come intrecciarsi sulle rispettive traiettorie di tiro durante la ritirata” e sbagliano pure indirizzo al primo colpo. La maggioranza dei giornali è del primo parere (professionisti), il Corriere della sera (8 gennaio) invece mette in risalto i diversi errori che fanno pensare a persone di recente addestramento. Mi sembra più plausibile la seconda ipotesi.
5. A proposito di errori: ma voi dove avete mai visto dei terroristi che vanno a fare un’azione portandosi appresso la carta di identità che, poi, dimenticano in auto? L’unico caso che mi ricordo è quello dello “sventato” brigatista che smarrisce il borsello a Firenze con dentro le chiavi del covo milanese di Montenevoso. Ma non stava andando a fare un’azione e nel borsello non c’era un documento di identità. Non è che, per caso, qualcuno ha volontariamente lasciato la carta di identità di un altro per depistare le indagini?
6. Meno che mai si ricordano terroristi che agiscono perdendo tanto tempo durante la fuga e dopo aver avuto ben due scontri a fuoco con auto della polizia: si attardano a dare il colpo di grazia ad un agente, raccattano scarpe, poi lasciano un guanto….
7. E’ ragionevole supporre che i giornalisti della sovrastante agenzia, fuggiti sul tetto e che hanno registrato le immagini che vediamo, abbiano subito telefonato alla polizia avvisando di quel che stava accadendo. Ed altrettanto avranno fatto, via radio, le prime due auto della polizia direttesi in rue Appert. Considerando il tempo necessario al completamento dell’azione, alle manovre per risalire in macchina, sostenere due scontri a fuoco a distanza di poco (il primo in Alèé Verte, il secondo in boulvard Richard Lenoir), fare inversione di marcia, freddare l’agente, raccattare la scarpa, ecc. debbono essere passati diversi minuti (stimiamo non meno di 20-25) per arrivare in boulevard Voltaire e poi via sino a Porte de Pantin. E non è scattato alcun blocco della zona? Nel pieno centro di Parigi, non devono essere state poche le auto della polizia in zona. E Parigi non ha un traffico scorrevolissimo.
8. Poi il preteso autista del complotto è arrestato, cioè si è arreso, o meglio si è costituito e, peraltro, avrebbe un alibi: non si capisce niente. Ovviamente è possibile che il giovanotto sia effettivamente fra gli attentatori e che, vistosi perduto, si sia volutamente consegnato, dopo aver messo insieme un qualche alibi ovviamente da verificare. Ma potrebbe anche darsi che effettivamente non c’entri, il che farebbe traballare tutto l’impianto investigativo attuale dando fiato all’ipotesi della carta di identità lasciata per depistare.
Insomma, resto dell’idea che la pista della strage jihadista sia quella nettamente più probabile, perché coerente con tutto un quadro formatosi da 10 anni in qua, questo però non vuol dire che nella questione non possano esserci altre “manine” di ben altra qualità. E neppure che gli attentatori non siano stati lasciati fare, magari perché qualche sentore c’era, ma non ci si aspettava una cosa di questa gravità. O che gli organi inquirenti non abbiano altri scheletri nell’armadio, che non c’entrano con la strage, ma che qualche aspetto della strage potrebbe portare alla luce e che, invece, occorre tener nascosti. O anche che nella vicenda le mani che intervengono a vario titolo (mandanti, organizzatori, utilizzatori occasionali, infiltrati, esecutori, intervenuti marginali ecc.) siano decisamente più di due, quattro o sei… Insomma, la strage c'è stata, però… che gran puzza di bruciato!"
Intervento di Aldo Giannuli
Bernard Maris autore del volume «O la Borsa o la vita», uscito anche in lingua italiana, cosa di cui andava fiero. Adesso Bernard Maris non c’è più. È una delle dodici vittime dei criminali terroristi che hanno aggredito con i fucili mitragliatori la redazione di un settimanale satirico – Charlie Hébdo – di cui quell’intellettuale così simpatico e così anticonformista era fiero di essere un collaboratore regolare.
Bernard Maris un economista di valore, giornalista e umorista, uomo poliedrico capace di rientrare nella categoria dell’altermondialismo e, allo stesso tempo, di sedere nel Consiglio generale della Banca di Francia. Bernard Maris, Oncle Bernard (zio Bernard), come si firmava su Charlie Hebdo, economista nato nel 1946 a Tolosa, è tra le dodici vittime dell’attacco mortale al settimanale francese. Una morte che sa di beffa perché Maris è di quelli che non ha esitato a inchiodare l’economia occidentale, ed europea, alle proprie responsabilità.
Maris era fautore del “reddito minimo di esistenza” un “reddito da elargire a ciascun essere umano, ricco o povero, da conservare per tutta la vita e cumulare con qualsiasi altro reddito o patrimonio”. Un modo per sganciarsi dal lavoro
in una società che il lavoro non lo garantisce più.
DICEVA
Maris era fautore del “reddito minimo di esistenza” un “reddito da elargire a ciascun essere umano, ricco o povero, da conservare per tutta la vita e cumulare con qualsiasi altro reddito o patrimonio”. Un modo per sganciarsi dal lavoro
in una società che il lavoro non lo garantisce più.
DICEVA
“Tutti i paesi europei dovranno prima o poi rassegnarsi a cancellare parte del loro debito pubblico. Bisogna rinegoziarlo quando supera il 60% del PIL per potere rispettare di nuovo i criteri di Maastricht. I creditori e quindi le banche dovranno chiaramente fare uno sforzo importante. Anche i grandi paesi come Germania e Francia. E’ l’unico modo per consentire agli Stati dell’eurozona di rilanciare l’economia. Senza crescita non riusciranno ad affrontare il debito pubblico, come è successo ai paesi africani per diversi decenni, rimborseranno per l’eternità un debito che soffocherà l’Europa.”
“E’ pertanto l’unico modo per evitare anni di ristagno dell’economia come in Giappone o nel Portogallo. L’unico modo anche per evitare un grosso crollo del potere di acquisto delle famiglie e dei conflitti sociali principali. La scelta della Germania rovinerà anche la sua economia a lungo termine. Non è un circolo virtuoso ma un circolo vizioso. Preferisce ridurre il livello di vita dei tedeschi pur di essere competitiva. Questa politica come quella della Costa D’Avorio negli anni ’60, si chiama la “crescita che impoverisce”
Si firmava "Oncle Bernard" (Zio Bernard) ed era consigliere della Banca di Francia. Keynesiano convinto, era molto critico con l'austerità europea e proponeva una cancellazione di una parte del debito
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Con Bernard Maris sono morti alcuni dei più noti disegnatori satirici francesi, che con la loro verve tenevano in piedi questo settimanale vecchio di decenni, che nei propri lettori aveva la sua unica risorsa.Charlie Hébdo è quanto di più insolente (talvolta simpaticamente insolente e in altri casi con una buona dose di volgarità) si possa immaginare.Le sue copertine contro la religione sono proverbiali e la Chiesa cattolica è stata più volte (l’ultima in occasione dello scorso Natale) tirata pesantemente in ballo.Ma è bastato ironizzare su Maometto e si è scatenata la furia dei vendicatori, di cui hanno fatto le spese alcuni personaggi simbolo della sinistra francese e in particolare della sinistra radicale e antimondialista, come appunto Bernard Maris, morto ieri all’età di 68 anni.
Adesso sarà ovviamente il Front National di Marine Le Pen, che denuncia il «pericolo islamico» un giorno sì e l’altro pure, a trarre un vantaggio politico dalla morte del gruppo di intellettuali schierati apertamente contro l’estrema destra. Anche questo è un paradosso della Francia di oggi.Resta nella memoria il ricordo di quelle persone gentili e coraggiose, che hanno attraversato a modo loro tutte le fasi della recente politica francese.
Come il disegnatore Wolinski, uomo di ottant’anni, che è stato negli anni Settanta e Ottanta uno dei personaggi più in vista della stampa comunista transalpina.Era una sorta di Fortebraccio, solo che usava la matita invece della macchina da scrivere. Poi è entrato in rotta di collisione anche col Pcf e ha preferito andare a disegnare altrove. Adesso era una colonna del settimanale satirico parigino, per il quale è morto come se si trattasse di disegnare una vignetta satirica. C’è da scommettere che stesse sorridendo di fronte all’assassino terrorista che gli ha scaricato addosso i colpi del suo Kalashnikov.
In un discorso alla nazione francese, il presidente Francois Hollande ha proclamato il lutto nazionale. Ma il vero lutto lo hanno fatto decine di migliaia di parigini, che sono scesi in strada e che hanno affollato la Place de la République per inneggiare alla libertà di stampa e per ricordare quelle celebri matite di quei coraggiosi giornalisti di Charlie Hébdo. Oltre naturalmente agli articoli dell’economista anticonformista Bernard Maris, che credeva poco all’euro ma che aveva una gran voglia di discutere, finché gli assassini sono riusciti a farlo tacere per il solo fatto che il suo giornale aveva pubblicato qualche vignetta sul profeta Maometto.
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