Secondo uno studio della Global Commission on the Economy and Climate,
la transizione ecologica sarà benefica anche per l'economia e il lavoro.
Basterebbe salvare il clima
Di Andrea Barolini
Che la transizione ecologica rappresenti un’opportunità di cambiamento e di crescita alternativa rispetto a quella dettata dal modello attuale è stato ribadito da università, istituti di ricerca, conferenze internazionali. Eppure in molti non sembrano ancora convinti dell’interesse non solo ambientale e climatico, ma anche economico del cambiamento.
Non lo sono i dirigenti delle major del petrolio o del carbone
(il che non sorprende). Ma non lo sono neppure numerosi governi
(probabilmente anche per via delle pressioni delle stesse lobby poco inclini a spendersi per il clima).
La lotta ai cambiamenti climatici più redditizia del business as usual
Un nuovo rapporto, pubblicato il 5 settembre, mostra – cifre alla mano – le enormi possibilità che la transizione apre al mondo intero. A redigerlo è stata la Global Commission on the Economy and Climate, organismo indipendente voluto da Regno Unito, Svezia, Indonesia, Norvegia, Corea del Sud, Colombia ed Etiopia. Il suo obiettivo è proprio di aiutare i governi a comprendere perché dovrebbero guardare al cambiamento eco-sostenibile come ad un volàno di crescita. Secondo i ricercatori della Commissione, la transizione potrebbe essere perfino più vantaggiosa del “business as usual”.
Lo studio descrive sottolinea dapprima come il contesto sia ormai «in evoluzione». Gli esperti indicano che il picco nella domanda di carbone, petrolio e gas entro i prossimi 20 anni è «probabile». Nel primo caso, la richiesta potrebbe cominciare a scendere nel mondo già nei prossimi 5-10 anni. Ciò ha già portato ad un importante cambiamento nell’allocazione dei capitali nel settore dell’energia. Basti pensare all’alleanza firmata alla Cop 23 di Bonn da oltre 60 tra governi, imprese e altre organizzazioni.
«Evitabili 700mila morti premature dovute allo smog»
Di fronte a tele scenario, una “nuova” economia garantirebbe un “guadagno” cumulato di 26mila miliardi di dollari, rispetto al risultato atteso con il vecchio modello. Stima che è stata giudicata «prudente» dagli stessi autori. Inoltre, si potrebbero creare, entro il 2030, 65 milioni di posti di lavoro verdi. E si potrebbero evitare 700mila morti premature dovute all’inquinamento dell’aria entro i prossimi dodici anni.
Tutto ciò sarebbe raggiungibile su cinque settori: energia, città, trattamento delle acque, settori industriali, agricoltura e utilizzo del suolo. Il rapporto spiega infatti che la bonifica di 160 milioni di ettari di terre degradate potrebbe far guadagnare 84 miliardi di dollari all’anno. Solo per i popoli autoctoni della foresta amazzonica, si potrebbero generare «fino a 10mila dollari per ettaro in termini di vantaggi per il sistema». Inoltre, una riforma delle sovvenzioni e del prezzo del carbone assicurerebbe un aumento delle entrate pubbliche pari a 2.800 miliardi di dollari all’anno nel 2030. L’equivalente del Pil di un Paese come l’India.
Servono investimenti verdi e uno stop ai finanziamenti alle fossili
Ciò a condizione, però, che si operino delle scelte precise. La Commissione spiega che un prezzo delle emissioni di CO2 compreso tra 40 e 80 dollari dovrebbe essere fissato da tutte le grandi potenze economiche. E che ciò dovrebbe essere fatto entro il 2020. I finanziamenti pubblici alle energie fossili e alle agroindustrie inquinanti dovrebbero essere cancellati. Si dovrebbe inoltre obbligare imprese e investitori a comunicare gli impatti dei loro business sul clima.
Occorre inoltre lanciare un grande programma di sostegno alle infrastrutture sostenibili. Le banche per lo sviluppo, poi, dovrebbero raddoppiare gli investimenti verdi. E, entro il 2020, tutte le imprese dell’indice Fortune 500 dovrebbero presentare obiettivi aziendali in linea con l’Accordo di Parigi.
In materia idrica, «delle buone politiche potrebbero far aumentare il Pil del 6% in alcune regioni, di qui al 2050». E ciò «malgrado i cambiamenti climatici e la crescita demografica». Ma occorrono circa 114 miliardi di dollari all’anno, soprattutto nelle economie emergenti, per garantire l’accesso universale all’acqua potabile. Mentre nei settori dell’industria pesante e dei trasporti, l’introduzione di tecnologie migliori potrebbe ridurre i consumi di energia del 26% nei prossimi 25 anni. Il che garantirebbe un calo delle emissioni di CO2 del 32% nello stesso periodo.
Il messaggio, dunque, è che è tutto fattibile. E che ne vale anche la pena: dal punto di vista del clima, della salute, del benessere e dello sviluppo. A mancare è soltanto la volontà politica di avviare seriamente il cambiamento. Basti pensare che è dal 2009 che il mondo ha promesso di stanziare 100 miliardi di dollari all’anno per opere di difesa del clima. Cifra che è stata ribadita nell’Accordo di Parigi del 2015. Ma che, ad oggi, non è ancora mai stata stanziata.
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