Per i Bossi non c’è stata la querela di Salvini
Fondi Lega, «non luogo a procedere» per i Bossi: non c’è stata querela. Renzo: «Grazie Salvini»
Al processo per appropriazione indebita il partito non aveva presentato querela nei confronti del Senatur e del figlio, ma solo dell’ex tesoriere Francesco Belsito, la cui condanna è stata ridotta a un anno e 8 mesi. Il suo commento: «Sono rimasto con il cerino in mano»
Il trucchetto della Lega di Matteo Salvini, ovvero la furbizia legale di sporgere sì querela contro l’ex tesoriere Francesco Belsito ma solo per le imputazioni di «appropriazione indebita» dalla n.86 fino alla n.297, e non anche per gli utilizzi di denaro contestati a Belsito dal capo 1 al capo 85 nei quali il fondatore ed ex segretario Umberto Bossi figurava come diretto coimputato di Belsito, centra il risultato voluto di scongiurare giuridicamente l’effettivo estensivo a Bossi della querela contro Belsito nel processo milanese sull’uso privato di fondi del partito nel 2009-2011: e poiché da ottobre 2017 la legge Gentiloni-Orlando sulle depenalizzazioni aveva reso procedibile il reato di «appropriazione indebita» non più d’ufficio ma solo a condizione che la parte offesa sporgesse querela, in assenza ieri di querela leghista contro Bossi la IV Corte d’Appello (presidente Martini, relatrice Lai) prende atto del sopravvenuto «non doversi procedere» nei confronti di Bossi padre e figlio, cancellandone le rispettive condanne di primo grado
nel luglio 2017 a 2 anni e 3 mesi e a 1 anno e mezzo.
Se ne giova anche Belsito, la cui condanna in primo grado a 2 anni e 6 mesi perde la corrispondente quota di sanzione e scende - anche in forza dell’assoluzione da 12 imputazioni «perché il fatto non sussiste» e della prescrizione che ne divora altre 42 - a 1 anno e 8 mesi di pena sospesa e senza menzione. Mentre il solitamente loquace Salvini ieri non twitta o non fa dirette Facebook sul tema della non-querela a Umberto Bossi, il figlio Renzo in aula dice «grazie a Salvini e alla Lega, i quali hanno valutato i documenti e visto che le spese imputatemi non furono pagate dal partito». Belsito lamenta: «Sono rimasto io col cerino in mano, pago lo scotto di aver eseguito determinati ordini». Il meccanismo del verdetto pare invece non ben compreso da Umberto Bossi: «Meno male, i giudici sono stati competenti, finalmente c’è stata una sentenza giuridica e non politica».
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Dall’inchiesta milanese — che per il 2009-2011 contestava a Belsito l’appropriazione di 2,4 milioni, a Umberto Bossi di 208.000 e a Renzo Bossi di 145.000 — si sviluppò poi il collegato processo di Genova sinora approdato alle condanne in Appello di Bossi (1 anno e 10 mesi) e Belsito (3 anni e 9 mesi) per «truffa allo Stato», reato presupposto della confisca al partito di Salvini di 49 milioni di finanziamento pubblico. Cioè dei soldi che la Lega, facendo intanto valere il proprio peso politico, ha ottenuto dai magistrati genovesi di poter restituire allo Stato in tutt’altro che esose rate di 600.000 euro l’anno per 76 anni. Dopo l’evaporazione ieri della condanna milanese per «appropriazione indebita», Bossi può inoltre confidare che la prescrizione (imminente proprio in questi giorni e ben prima della Cassazione) passi la spugna pure sulla condanna genovese per «truffa allo Stato», fonte del sequestro (appena confermatogli) di 1/5 del suo vitalizio.
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