Un danno allo Stato di oltre 4,6 milioni e nessuna emergenza abitativa
di Valeria Di Corrado e Andrea Ossino
“Non è tollerabile in uno Stato di diritto una sorta di “espropriazione al contrario”, che ha finito per sottrarre per oltre tre lustri un immobile di ben sei piani, sede storica di uffici pubblici, al patrimonio (indisponibile) dello Stato, causando in tal modo un danno certo e cospicuo all’erario”. Per questo motivo i magistrati contabili del Lazio, chiamati a indagare sull’occupazione del centralissimo palazzo a opera di CasaPound, hanno chiesto il conto a 9 dirigenti dell’Agenzia del Demanio e del ministero dell’Istruzione, ovvero ai funzionari che avrebbero arrecato "il danno al patrimonio immobiliare pubblico", causato dall'omessa disponibilità del bene per oltre 15 anni e dalla mancata riscossione dei canoni di affitto che, secondo l’accusa, avrebbero fruttato alle casse dello Stato oltre 4 milioni e 600 mila euro. È tutto contenuto nelle 26 pagine che compongono l’invito a dedurre firmato dal Vice Procuratore Generale, Massimiliano Minerva, e dal capo dei magistrati
contabili del Lazio, Andrea Lupi.
La mala gestio dell’amministrazione pubblica
Gli atti, stilati grazie al lavoro del Nucleo di polizia economica e finanziaria della Guardia di Finanza, non si limitano esclusivamente a narrare la storia dell’immobile di via Napoleone III, affidato tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 al ministero dell’Istruzione e occupato da CasaPound a partire dal 2003, a seguito di uno sgombero e di un trasloco dei vecchi uffici. “La vicenda in questione – scrivono infatti i pm - manifesta, con tutta l’evidenza della semplice narrazione dei fatti, la gravissima negligenza e la scarsissima cura (mala gestio) che l’amministrazione pubblica ha mostrato nei confronti di un intero edificio di proprietà pubblica di ben sei piani che per oltre 15 anni è stato sottratto allo Stato ed alle finalità pubbliche in palese violazione delle più elementari regole della (sana) gestione della cosa pubblica e in contrasto con il particolare regime vincolato cui sono soggetti i beni del patrimonio indisponibile dello Stato”. In altre parole lo Stato non avrebbe fatto molto per riappropriarsi dello stabile gestito dall’associazione di estrema destra e abitato da diverse famiglie. “Il palazzo, situato nella centrale via Napoleone III, nel cuore dello storico rione Esquilino di Roma, sede di importanti uffici della pubblica istruzione fin dagli anni ’60 – spiegano i magistrati - è stato abbandonato, a titolo gratuito, nell’esclusiva disponibilità di soggetti privati (una associazione e circa 40 persone, poi divenute circa 60), senza peraltro avviare le azioni amministrative, civili e penali del caso, finalizzate allo sgombero e al risarcimento dei danni o quanto meno, e nel frattempo, in attesa che lo sgombero venisse realizzato, senza richiedere agli occupanti il pagamento dell’indennità di occupazione”. Nessuna richiesta di risarcimento danni, nessuna azione legale, nessun atto di autotutela. Il ministero dell’Istruzione e l’Agenzia del Demanio avrebbero “trascurato compiti fondamentali”. Perché?
Gli occupanti abusivi non sono economicamente fragili
Sicuramente non si trattava della “prevalenza delle esigenze abitative degli occupanti abusivi in quanto caratterizzati da presunta fragilità economica o da situazioni di disagio sociale”. Secondo i pm infatti un “semplice incrocio dei dati anagrafici dei residenti nell’immobile in questione con le banche dati finanziarie, è emerso che le condizioni reddituali che caratterizzano gli occupanti abusivi dell’edificio di proprietà pubblica, lungi dal presentare le connotazioni tipiche dell’emarginazione economica o sociale, non consentono di annoverare gli occupanti tra le famiglie in stato di emergenza abitativa”. Tra gli occupanti ci sono infatti “dipendenti di società private, della Cotral spa, di società a partecipazione pubblica (Zetema Progetto Cultura srl), del Policlinico Gemelli, o, addirittura, in un caso, del comune di Roma”.
È stato garantito il “disordine pubblico”
L’occupazione, era stato detto, “fu tollerata per evitare più gravi proteste”. Un’affermazione che ai magistrati contabili appare “sconcertante”: significherebbe che per ragioni di ordine pubblico si può tollerare la violazione dell’ordine pubblico”, quando la strada dovrebbe essere quella del ripristino della “legalità violata”. In altre parole i pubblici funzionari non avrebbero garantito “l'ordine, ma il disordine pubblico”, causando “al patrimonio (indisponibile) dello Stato, causando in tal modo un danno certo e cospicuo all’Erario”. Per questo motivo “si intima sin d’ora ai destinatari del presente atto (l’invito a dedurre notificato dai magistrati contabili ndr) di provvedere al risarcimento del danno di che trattasi, nella misura indicata”: 4.642.363,10 euro
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