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venerdì 27 luglio 2018

L'autrice della Bufala su Josefa e le Unghie Curate

Lo smalto, come spiegato dalla Ong e da una giornalista che era a bordo al momento del salvataggio, è stato una “coccola” a Josefa. Una distrazione per passare il tempo mentre, sdraiata sul ponte della nave della Ong, si riprendeva dal trauma


L'autrice della bufala su Josefa spiega le sue ragioni
In una intervista a La Stampa Francesca T. si definisce una "patriota" e dice:
 mi limito a insinuare il dubbio

Si definisce “ricercatrice indipendente” e il suo tweet sullo smalto di Josefa, la donna camerunense salvata dal mare a ottanta miglia dalle coste libiche, ha totalizzato centinaia di visualizzazioni, condivisioni e commenti. Ma Francesca Totolo, 41 anni, non è così indipendente, come ammette lei stessa per La S. In un’intervista al quotidiano ha spiegato di collaborare principalmente con Il Primato Nazionale, testata online legata a CasaPound e punto 
di riferimento del mondo dell’estrema destra italiana.
Così l’influencer, che nella sua biografia sul social network vanta anche una collaborazione con il sito di Luca Do. (altro opinionista caro alle posizioni sovraniste), riconosce di avere “stretti legami” con account Twitter anonimi specializzati nel fare da amplificatore all’informazione che più si accanisce contro i migranti. “Uno di loro so chi è - spiega T. -,
 ma non posso dirlo per mantenere riservata la mia fonte”.


Francesca T.
 #Josefa con le unghie perfette laccate di rosso dopo 48 ore in mare.Quindi:
1 I #trafficanti mettono lo smalto alle migranti
2 Sulla nave di @openarms_fund ci si diletta con lo smalto,quindi le condizioni psico-fisiche di Josefa collidono con 48 ore in mare aggrappata al relitto


La storia sollevata da Totolo e da altri account riguarda il salvataggio di Josefa, una donna camerunense salvata da una nave della Ong Proactiva Open Arms. La colpa della donna sarebbe quella di aver avuto delle unghie curate e con tanto di smalto. Dimostrazione che il salvataggio sarebbe stato una messinscena a uso delle televisioni e della “propaganda no border”. Ma sono bastate poche veloci verifiche per dimostrare che durante il salvataggio Josepha non solo non aveva lo smalto, ma era anche segnata dai giorni passati immersa in acqua. A dircelo ci sono video e foto, come ricostruito da Valigia Blu.
Lo smalto, come spiegato dalla Ong e da una giornalista che era a bordo al momento del salvataggio, è stato una “coccola” a Josefa. Una distrazione per passare il tempo mentre, sdraiata sul ponte della nave della Ong, si riprendeva dal trauma.


 Josefa ha le unghie laccate perché nei quattro giorni di navigazione per raggiungere la Spagna le volontarie di Open Arms le hanno messo lo smalto per distrarla e farla parlare. Non aveva smalto quando è stata soccorsa. Serve dirlo?  

Lo smalto, come spiegato dalla Ong e da una giornalista che era a bordo al momento del salvataggio, è stato una “coccola” a Josefa. Una distrazione per passare il tempo mentre, sdraiata sul ponte della nave della Ong, si riprendeva dal trauma


Domande che Francesca T. non si è posta, pur definendosi ricercatrice. “Io ho visto il servizio al Tg, da cui ho preso lo screenshot delle unghie di Josefa con lo smalto. Ma nel primo tweet non ho mai detto quello che poi mi hanno contestato, parlavo di due ipotesi: o lo smalto lo aveva già o le è stato messo a bordo”.
Sarà proprio la seconda ipotesi a essere verificata, anche se l’impatto della verità su questa vicenda è stato molto minore rispetto alla diffusione della prima, falsa, versione. Quella che vedrebbe Josefa complice di una recita organizzata “dai soliti buonisti”, come scrive qualcuno.


Ci sono dei personaggi per i quali la donna sopravvissuta Dio solo sa come in mezzo al Mediterraneo aggrappata a un relitto, salvata in extremis dai volontari di una ONG, tragica testimone della morte di una madre e di suo figlio – suoi compagni di sventura – sarebbe interprete di una messinscena sbugiardata nientemeno che dallo smalto di cui sarebbero state 
vezzosamente laccate le unghie delle sue mani.

Solo un mostro può arrivare a profanare in modo così abietto la dignità di un proprio simile.

In questo episodio c’è tutto il peggio che può uscire dal cuore di un uomo o di una donna (perché, strano a dirsi, ma in questa faccenda della merda razzista talvolta le infamie peggiori escono da bocche femminili).

C’è innanzitutto la menzogna: non ci sarebbe neppure bisogno di dirlo, ma Josefa è stata ripescata in mare in fin di vita e le sue unghie erano tutt’altro che laccate. Piuttosto, il suo corpo era ustionato dalla nafta e arso dalla salsedine e dal sole. Le unghie dipinte allo sbarco erano solo il gesto pietoso delle volontarie che hanno cercato un modo per distrarre la donna da un incubo che nessuno potrà mai cancellarle dagli occhi per il resto dei suoi giorni.

C’è poi il sessismo, per il quale una donna con le unghie laccate è comunque un po’ mignotta e fare la mignotta in mezzo al mare non sta bene.

Lo smalto, come spiegato dalla Ong e da una giornalista che era a bordo al momento del salvataggio, è stato una “coccola” a Josefa. Una distrazione per passare il tempo mentre, sdraiata sul ponte della nave della Ong, si riprendeva dal trauma

C’è ovviamente tutto il razzismo del mondo, perché solo la cecità di un maledetto razzista può far accostare questa vicenda a una montatura; e questo accade perché al maledetto razzista la pelle nera fa perdere la ragione come il drappo rosso al toro.

C’è la malevolenza di chi sostiene posizioni manifestamente assurde e propala informazioni false, con l’unica finalità di mettere in comunicazione le pozzanghere di meschinità sparse nella nostra società e di farne un unico lago putrido nel quale sguazzare.

C’è la disumanità che impedisce a questi vermi di fissare i propri occhi in quelli di Josefa. Bastava quello sguardo, bastavano quegli occhi sbarrati a convincere chiunque della tragedia che sta vivendo un intero continente, della disperata richiesta di aiuto che ci viene da interi popoli. Loro non guardano gli occhi, evitano accuratamente tutto ciò che di umano c’è in quei corpi, vivi o morti che siano. Rovistano, rigirano e taroccano affannosamente i pixel di quelle foto per grattare da esse miserabili prove farlocche da servire ai bastardi come loro, 
perché la miseria vuole altra miseria per giustificare sé stessa.

C’è l’assoluta mancanza di pietà, di compassione, di fratellanza. C’è il rifiuto di accettare che il nostro destino è comune, e che l’uomo è fatto per l’uomo.

Con molta rabbia devo dire che questa schifezza dello smalto di Josefa l' hanno condivisa anche in tanti .Cercate ora di provare un po' di vergogna e ammettete il vostro razzismo......grazie!
Solo un mostro può arrivare a profanare in modo così abietto la dignità di un proprio simile.

In questo episodio c’è tutto il peggio che può uscire dal cuore di un uomo o di una donna 
(perché, strano a dirsi, ma in questa faccenda della merda razzista talvolta le infamie peggiori escono da bocche femminili).

C’è innanzitutto la menzogna: non ci sarebbe neppure bisogno di dirlo, ma Josefa è stata ripescata in mare in fin di vita e le sue unghie erano tutt’altro che laccate. Piuttosto, il suo corpo era ustionato dalla nafta e arso dalla salsedine e dal sole. Le unghie dipinte allo sbarco erano solo il gesto pietoso delle volontarie che hanno cercato un modo per distrarre la donna da un incubo che nessuno potrà mai cancellarle dagli occhi per il resto dei suoi giorni.

C’è poi il sessismo, per il quale una donna con le unghie laccate è comunque un po’ mignotta e fare la mignotta in mezzo al mare non sta bene.

C’è ovviamente tutto il razzismo del mondo, perché solo la cecità di un maledetto razzista può far accostare questa vicenda a una montatura; e questo accade perché al maledetto razzista la pelle nera fa perdere la ragione come il drappo rosso al toro.

C’è la malevolenza di chi sostiene posizioni manifestamente assurde e propala informazioni false, con l’unica finalità di mettere in comunicazione le pozzanghere di meschinità sparse nella nostra società e di farne un unico lago putrido nel quale sguazzare.

C’è la disumanità che impedisce a questi vermi di fissare i propri occhi in quelli di Josefa. Bastava quello sguardo, bastavano quegli occhi sbarrati a convincere chiunque della tragedia che sta vivendo un intero continente, della disperata richiesta di aiuto che ci viene da interi popoli. Loro non guardano gli occhi, evitano accuratamente tutto ciò che di umano c’è in quei corpi, vivi o morti che siano. Rovistano, rigirano e taroccano affannosamente i pixel di quelle foto per grattare da esse miserabili prove farlocche da servire ai bastardi come loro, perché la miseria 
vuole altra miseria per giustificare sé stessa.

C’è l’assoluta mancanza di pietà, di compassione, di fratellanza. C’è il rifiuto di accettare che il nostro destino è comune, e che l’uomo è fatto per l’uomo.



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