Gaeta, consegna di tre motovedette italiane alla Guardia costiera libica - Foto: Interno.it
L’Italia non solo è uno dei principali partner commerciali della Libia, ma è il maggiore esportatore europeo di armamenti al regime di Gheddafi. I Rapporti dell’Unione europea sulle esportazioni di materiali e sistemi militari (qui l'ultimo rapporto e un'analisi) certificano che nel biennio 2008-2009 l’Italia ha autorizzato alle proprie ditte l’invio di armamenti alla Libia per oltre 205 milioni di euro che ricoprono più di un terzo (il 34,5%) di tutte le autorizzazioni rilasciate dall’UE (circa 595 milioni di euro). Tra gli altri paesi europei che nel recente biennio hanno dato il via libera all’esportazione di armi agli apparati militari di Gheddafi, figurano la Francia (143 milioni di euro), la piccola Malta (quasi 80 milioni di euro), la Germania (57 milioni), il Regno Unito (53 milioni) e il Portogallo (21 milioni).
A differenza colleghi europei, il ministro degli Esteri Frattini si è guardato bene dal dichiarare anche solo la sospensione temporanea dei rifornimenti di armi a Gheddafi. Eppure da quando sono iniziate le manifestazioni di piazza in diversi paesi del nord Africa non sono mancate le dichiarazioni in tal senso delle principali cancellerie europee.
Ha cominciato la Francia annunciando la sospensione dell’invio all’Egitto non solo di sistemi militari ma anche di ogni materiale esplosivo o destinato al controllo dell’ordine pubblico tra cui i gas lacrimogeni. Ha proseguito la Germania dichiarando l’interruzione delle forniture di armi verso l'Egitto manifestando specifiche “preoccupazioni per le violazioni dei diritti umani nella risposta alle proteste” da parte delle forze dell’ordine vicine al presidente Mubarak. Il 17 febbraio la Francia ha quindi esteso lo stop alla vendita di armi anche al Bahrain e alla Libia. E lo stesso Foreign Office britannico, inizialmente poco propenso ad ammettere l’uso di armi inglesi contro la popolazione a Manama, il giorno successivo ha revocato numerose autorizzazioni all’esportazione di armi in Bahrain e Libia. Tra i principali esportatori europei di armamenti solo l’Italia tace.
Eppure non sono mancate le sollecitazioni. Dopo i primi tumulti nei paesi del nord Africa, Rete Disarmo e la Tavola della pace avevano chiesto esplicitamente al Governo italiano di sospendere ogni forma di cooperazione militare con Algeria, Egitto e Tunisia e di fatto con tutti i paesi dell’area. Simili richieste sono state inoltrate dalle associazioni pacifiste in Germania, in Francia e nel Regno Unito. I cui governi, inizialmente refrattari, hanno dovuto rispondere all’opinione pubblica. Solo il ministro Frattini è sordo ad ogni sollecitazione.
Non sono certo bruscolini gli affari in armi delle industrie militari italiane con il colonnello Gheddafi a cominciare da quelle controllate Finmeccanica. La holding italiana è partecipata per la quota di maggioranza (il 32,5%) dal Ministero dell’Economia, ma ha come secondo azionista proprio la Lybian Investment Authority (LIA), l’autorità governativa libica che detiene una quota del 2,01%: quota che Gheddafi mira ad espandere fino al 3% del capitale per imporre nel consiglio di amministrazione alcuni dei suoi uomini fidati e che comunque già adesso le permetterebbe di eleggere fino a quattro delegati.
Da quando nel 2004 l’Unione europea ha revocato l’embargo totale alla Libia, le esportazioni di armamenti italiani al regime del colonnello Gheddafi hanno visto un crescendo impressionante. Si è passati dai poco meno di 15 milioni di euro del 2006 ai quasi 57 milioni del 2007. Ma è soprattutto nell’ultimo biennio – anche a seguito del “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia” firmato a Bengasi nell’agosto del 2008 dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e dal leader della Rivoluzione, Muammar El Gheddafi – che le esportazioni di armamenti italiani verso le coste libiche hanno preso slancio. L’articolo 20 del Trattato prevede infatti “un forte ed ampio partenariato industriale nel settore della Difesa e delle industrie militari”, nonché lo sviluppo della “collaborazione nel settore della Difesa tra le rispettive Forze Armate”. Si è cominciato quindi con 93 milioni di euro nel 2008 e proseguito nel 2009 con quasi 112 milioni di euro che fanno oggi dell’Italia il principale fornitore europeo – e probabilmente mondiale – di armi al colonnello Gheddafi.
Le asettiche Relazioni della Presidenza del Consiglio sulle esportazioni militari degli ultimi anni parlano di generici “aeromobili” (Rapporto 2006, Tabella P.), “veicoli terrestri” e ancora “aeromobili” (Rapporto 2007, Tabella 18), ma poi anche di “bombe, siluri,razzi, missili e accessori” e “apparecchiature per la direzione del tiro” e i soliti “aeromobili” (Rapporto 2008, Tabella 15) e più di recente anche di tutto quanto sopra con l’aggiunta di sempre generiche “apparecchiature elettroniche” e “apparecchiature per la visione di immagini” (Rapporto 2009, Tabella 15).
Spulciando le più corpose Relazioni annuali si scopre qualcosa di più: nel 2006 è stata autorizzata l’esportazione a Tripoli di due elicotteri AB109 militari dell’Agusta del valore di quasi 15 milioni di euro. Nel 2007 sempre l’Agusta ha incassato 54 milioni di euro per l’ ammodernamento degli aeromobili CH47. Nel 2008 è stato dato il via libera per l’esportazione di otto elicotteri A109 per 59,9 milioni di euro sempre dell’Agusta e all’Alenia Aeronautica per un aeromobile ATR42 Maritime Patrol del valore di 29,8 milioni di euro. Nel 2009 altri due elicotteri AW139 dell’Agusta per circa 24,9 milioni di euro e quasi 3 milioni per “ricambi e addestramento” per velivoli F260W della Alenia Aermacchi, ma anche una autorizzazione alla MBDA Italiana, azienda leader a livello mondiale nei sistemi missilistici, per materiali di cui non si rintraccia l’autorizzazione (se non il numero: MAE 18160) del valore di 2.519.771 euro.
Non sembrino poca cosa i poco più di 2,2 milioni di euro e per “ricambi e addestramento” dei velivoli F260W della Alenia Aermacchi: la Libia infatti possiede circa 250 aerei F260W, “un numero spropositato, anche considerando che si tratta del modello armabile” – notano gli analisti. “Questi velivoli in origine Siai Marchetti, che in Europa vengono utilizzati come addestratori, ma che in Africa e America latina sono spesso impiegati come bombardieri, sono stati venduti all'Aeronautica libica negli anni Settanta. Ne erano stati acquistati 240, oggi non si sa quanti siano in servizio. Nel 2006 un certo numero di questi velivoli sono stati ceduti alle forze armate ciadiane che li hanno utilizzati per bombardare i ribelli sulle frontiere con il Sudan” – ricorda Enrico Casale.
Nella sua approfondita inchiesta sulle esportazioni di armamenti italiani alla Libia dal titolo “Roma-Tripoli: compagni d’armi”, il giornalista del mensile Popoli, evidenzia inoltre che Finmeccanica e la Libyan Investment Authority hanno stretto ulteriormente i loro rapporti il 28 luglio 2009 con un nuovo accordo: si tratta di un’intesa generale attraverso la quale la holding di piazza Montegrappa e il fondo sovrano si impegnano a creare una nuova joint-venture (con capitale di 270 milioni di euro) attraverso la quale gestiranno gli investimenti industriali e commerciali in Libia, ma anche in altri Paesi africani. Il primo frutto è stato un accordo siglato da Selex Sistemi Integrati, società controllata da Finmeccanica, e dal governo libico: un contratto, del valore di 300 milioni di euro, che prevede la creazione di un sistema di “protezione e sicurezza” dei confini meridionali della Libia per frenare l'immigrazione.
Forse anche per questo il ministro Frattini è in difficoltà ad intervenire quando sente parlare di sanzioni contro il leader libico. Gli andrebbe ricordato che la legge 185 del 1990 e la Posizione Comune dell’Unione europea sulle esportazioni di armamenti chiedono di accertare il “rispetto dei diritti umani nel paese di destinazione finale e il rispetto del diritto internazionale umanitario da parte di detto paese” e di rifiutare le esportazione di armamenti “qualora esista un rischio evidente che la tecnologia o le attrezzature militari da esportare possano essere utilizzate a fini di repressione interna”.
Proprio per evitare questo tipo di utilizzo, Francia, Germania e Regno Unito hanno deciso nei giorni scorsi di sospendere le esportazioni militari a diversi paesi tra cui la Libia. Il ministro degli Esteri italiano, invece tace. Che sia all’oscuro delle dichiarazioni dei suoi colleghi?
Intanto il ministro della Difesa, La Russa conferma da Abu Dhabi che la nave della marina militare Elettra è stata mobilitata per far fronte alla emergenza creata dalla crisi in Libia. La Russa si trova negli Emirati Arabi per una non ben specificata (dai media italiani) “visita ufficiale”. Guarda caso proprio nell’emirato dove è in corso l’International Defence Exhibition and Conference (IDEX 2011), “il più grande salone espositivo su difesa e sicurezza nel Medio Oriente e nel Nord Africa”. Al quale non potevano mancare tutte le maggiori industrie italiane di armamenti. Specialmente Finmeccanica che ha realizzato "un padiglione all'avanguardia in linea con i principi espressi nel suo Rapporto di sostenibilità". E per cercare nuovi acquirenti in un’area che è sicuramente di "interesse strategico" adesso che diversi dittatori sono in bilico.
Giorgio Beretta
giorgio.beretta@unimondo.org
A differenza colleghi europei, il ministro degli Esteri Frattini si è guardato bene dal dichiarare anche solo la sospensione temporanea dei rifornimenti di armi a Gheddafi. Eppure da quando sono iniziate le manifestazioni di piazza in diversi paesi del nord Africa non sono mancate le dichiarazioni in tal senso delle principali cancellerie europee.
Ha cominciato la Francia annunciando la sospensione dell’invio all’Egitto non solo di sistemi militari ma anche di ogni materiale esplosivo o destinato al controllo dell’ordine pubblico tra cui i gas lacrimogeni. Ha proseguito la Germania dichiarando l’interruzione delle forniture di armi verso l'Egitto manifestando specifiche “preoccupazioni per le violazioni dei diritti umani nella risposta alle proteste” da parte delle forze dell’ordine vicine al presidente Mubarak. Il 17 febbraio la Francia ha quindi esteso lo stop alla vendita di armi anche al Bahrain e alla Libia. E lo stesso Foreign Office britannico, inizialmente poco propenso ad ammettere l’uso di armi inglesi contro la popolazione a Manama, il giorno successivo ha revocato numerose autorizzazioni all’esportazione di armi in Bahrain e Libia. Tra i principali esportatori europei di armamenti solo l’Italia tace.
Eppure non sono mancate le sollecitazioni. Dopo i primi tumulti nei paesi del nord Africa, Rete Disarmo e la Tavola della pace avevano chiesto esplicitamente al Governo italiano di sospendere ogni forma di cooperazione militare con Algeria, Egitto e Tunisia e di fatto con tutti i paesi dell’area. Simili richieste sono state inoltrate dalle associazioni pacifiste in Germania, in Francia e nel Regno Unito. I cui governi, inizialmente refrattari, hanno dovuto rispondere all’opinione pubblica. Solo il ministro Frattini è sordo ad ogni sollecitazione.
Non sono certo bruscolini gli affari in armi delle industrie militari italiane con il colonnello Gheddafi a cominciare da quelle controllate Finmeccanica. La holding italiana è partecipata per la quota di maggioranza (il 32,5%) dal Ministero dell’Economia, ma ha come secondo azionista proprio la Lybian Investment Authority (LIA), l’autorità governativa libica che detiene una quota del 2,01%: quota che Gheddafi mira ad espandere fino al 3% del capitale per imporre nel consiglio di amministrazione alcuni dei suoi uomini fidati e che comunque già adesso le permetterebbe di eleggere fino a quattro delegati.
Da quando nel 2004 l’Unione europea ha revocato l’embargo totale alla Libia, le esportazioni di armamenti italiani al regime del colonnello Gheddafi hanno visto un crescendo impressionante. Si è passati dai poco meno di 15 milioni di euro del 2006 ai quasi 57 milioni del 2007. Ma è soprattutto nell’ultimo biennio – anche a seguito del “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia” firmato a Bengasi nell’agosto del 2008 dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e dal leader della Rivoluzione, Muammar El Gheddafi – che le esportazioni di armamenti italiani verso le coste libiche hanno preso slancio. L’articolo 20 del Trattato prevede infatti “un forte ed ampio partenariato industriale nel settore della Difesa e delle industrie militari”, nonché lo sviluppo della “collaborazione nel settore della Difesa tra le rispettive Forze Armate”. Si è cominciato quindi con 93 milioni di euro nel 2008 e proseguito nel 2009 con quasi 112 milioni di euro che fanno oggi dell’Italia il principale fornitore europeo – e probabilmente mondiale – di armi al colonnello Gheddafi.
Le asettiche Relazioni della Presidenza del Consiglio sulle esportazioni militari degli ultimi anni parlano di generici “aeromobili” (Rapporto 2006, Tabella P.), “veicoli terrestri” e ancora “aeromobili” (Rapporto 2007, Tabella 18), ma poi anche di “bombe, siluri,razzi, missili e accessori” e “apparecchiature per la direzione del tiro” e i soliti “aeromobili” (Rapporto 2008, Tabella 15) e più di recente anche di tutto quanto sopra con l’aggiunta di sempre generiche “apparecchiature elettroniche” e “apparecchiature per la visione di immagini” (Rapporto 2009, Tabella 15).
Spulciando le più corpose Relazioni annuali si scopre qualcosa di più: nel 2006 è stata autorizzata l’esportazione a Tripoli di due elicotteri AB109 militari dell’Agusta del valore di quasi 15 milioni di euro. Nel 2007 sempre l’Agusta ha incassato 54 milioni di euro per l’ ammodernamento degli aeromobili CH47. Nel 2008 è stato dato il via libera per l’esportazione di otto elicotteri A109 per 59,9 milioni di euro sempre dell’Agusta e all’Alenia Aeronautica per un aeromobile ATR42 Maritime Patrol del valore di 29,8 milioni di euro. Nel 2009 altri due elicotteri AW139 dell’Agusta per circa 24,9 milioni di euro e quasi 3 milioni per “ricambi e addestramento” per velivoli F260W della Alenia Aermacchi, ma anche una autorizzazione alla MBDA Italiana, azienda leader a livello mondiale nei sistemi missilistici, per materiali di cui non si rintraccia l’autorizzazione (se non il numero: MAE 18160) del valore di 2.519.771 euro.
Non sembrino poca cosa i poco più di 2,2 milioni di euro e per “ricambi e addestramento” dei velivoli F260W della Alenia Aermacchi: la Libia infatti possiede circa 250 aerei F260W, “un numero spropositato, anche considerando che si tratta del modello armabile” – notano gli analisti. “Questi velivoli in origine Siai Marchetti, che in Europa vengono utilizzati come addestratori, ma che in Africa e America latina sono spesso impiegati come bombardieri, sono stati venduti all'Aeronautica libica negli anni Settanta. Ne erano stati acquistati 240, oggi non si sa quanti siano in servizio. Nel 2006 un certo numero di questi velivoli sono stati ceduti alle forze armate ciadiane che li hanno utilizzati per bombardare i ribelli sulle frontiere con il Sudan” – ricorda Enrico Casale.
Nella sua approfondita inchiesta sulle esportazioni di armamenti italiani alla Libia dal titolo “Roma-Tripoli: compagni d’armi”, il giornalista del mensile Popoli, evidenzia inoltre che Finmeccanica e la Libyan Investment Authority hanno stretto ulteriormente i loro rapporti il 28 luglio 2009 con un nuovo accordo: si tratta di un’intesa generale attraverso la quale la holding di piazza Montegrappa e il fondo sovrano si impegnano a creare una nuova joint-venture (con capitale di 270 milioni di euro) attraverso la quale gestiranno gli investimenti industriali e commerciali in Libia, ma anche in altri Paesi africani. Il primo frutto è stato un accordo siglato da Selex Sistemi Integrati, società controllata da Finmeccanica, e dal governo libico: un contratto, del valore di 300 milioni di euro, che prevede la creazione di un sistema di “protezione e sicurezza” dei confini meridionali della Libia per frenare l'immigrazione.
Forse anche per questo il ministro Frattini è in difficoltà ad intervenire quando sente parlare di sanzioni contro il leader libico. Gli andrebbe ricordato che la legge 185 del 1990 e la Posizione Comune dell’Unione europea sulle esportazioni di armamenti chiedono di accertare il “rispetto dei diritti umani nel paese di destinazione finale e il rispetto del diritto internazionale umanitario da parte di detto paese” e di rifiutare le esportazione di armamenti “qualora esista un rischio evidente che la tecnologia o le attrezzature militari da esportare possano essere utilizzate a fini di repressione interna”.
Proprio per evitare questo tipo di utilizzo, Francia, Germania e Regno Unito hanno deciso nei giorni scorsi di sospendere le esportazioni militari a diversi paesi tra cui la Libia. Il ministro degli Esteri italiano, invece tace. Che sia all’oscuro delle dichiarazioni dei suoi colleghi?
Intanto il ministro della Difesa, La Russa conferma da Abu Dhabi che la nave della marina militare Elettra è stata mobilitata per far fronte alla emergenza creata dalla crisi in Libia. La Russa si trova negli Emirati Arabi per una non ben specificata (dai media italiani) “visita ufficiale”. Guarda caso proprio nell’emirato dove è in corso l’International Defence Exhibition and Conference (IDEX 2011), “il più grande salone espositivo su difesa e sicurezza nel Medio Oriente e nel Nord Africa”. Al quale non potevano mancare tutte le maggiori industrie italiane di armamenti. Specialmente Finmeccanica che ha realizzato "un padiglione all'avanguardia in linea con i principi espressi nel suo Rapporto di sostenibilità". E per cercare nuovi acquirenti in un’area che è sicuramente di "interesse strategico" adesso che diversi dittatori sono in bilico.
Giorgio Beretta
giorgio.beretta@unimondo.org
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