Ahmed Jaabari con il soldato dell'IDF Gilat Shalit
Chi era Ahmed Jaabari
Il capo delle Brigate Al Qassam di
Hamas: tredici anni in una prigione israeliana, scampato prima di ieri
ad altri quattro attentati israeliani
Nato nel 1960 nel quartiere orientale Shejaya di
Gaza, conosciuto come Abu Mohammed, Jaabari era a capo delle Brigate
'Ezz al-Din al Qassam, braccio armato di Hamas sebbene i suoi inizi
politici fossero tra le file di Fatah.
Imprigionato per tredici anni in una prigione israeliana, forse
influenzato da molti altri membri di Hamas presenti in carcere, decide
di unirsi ad Hamas. Sopravvissuto a quattro precedenti tentativi
israeliani di "uccisione mirata" (nel 2004 in uno di questi suo figlio,
suo fratello e altri tre familiari verranno uccisi), nel 2006 diviene il
comandante dell'ala militare di Hamas dopo che il suo predecessore
Mohammed Deif veniva seriamente ferito in un attacco israeliano. E'
stato protagonista della cattura e il rilascio di Ghilad Shalit. Nena
News
Israele diffonde VIDEO con uccisione Jaabari
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Le immagini mostrano il momento in cui il comandante militare di Hamas viene ucciso."Quello che ho appena visto è indescrivibile"
Riceviamo e pubblichiamo la traduzione
della testimonianza di Mohammed Malaka, studente 21enne, testimone
dell'omicidio di Ahmed al-Jabari
Gaza, 14 novembre 2012, Nena News - Mohammed Malaka era presente quando il missile israeliano ha colpito l'auto del capo delle forze armate di Hamas, Ahmed al-Jabari. Ecco la sua testimonianza:
"Quello che ho appena visto con i miei occhi, proprio pochi minuti fa è semplicemente indescrivibile. Due martiri, un fiume di sangue, persone ammassarsi e correre da tutte le parti, ambulanze, giornalisti, tutto era rosso.
Una delle ragazze che era vicino a me mentre guardavo il razzo israeliano in cielo, si è ammutolita quando lo stesso razzo è caduto vicino a noi. Non riusciva più né a parlare, né a camminare. L'ho aiutata a camminare, cercando di calmarla, e ho pensato di tranquillizzarla dicendole l'unica cosa che mi è venuta in mente: "questo è il nostro destino, dobbiamo essere più forti che possiamo. La Palestina ha bisogno di sacrificio per essere libera".
C'era parecchia strada da fare e lei continuava a non riuscire a parlare. Ci siamo fermati diverse volte perché non poteva camminare e il suo corpo tremava in maniera incontrollabile. Trovare una macchina per portarla a casa velocemente era quasi impossibile. Ogni cinque minuti, sentivamo esplodere una nuova bomba che la faceva gridare in mezzo alla strada.
La maniera in cui stava lì, ammutolita, il modo in cui il suo corpo tremava mi hanno fatto venire da piangere, dal profondo del cuore. Ho pregato, ogni singolo passo, perché riuscissimo a raggiungere casa e perché lei tornasse a parlare. Dopo aver camminato per mezz'ora, abbiamo trovato un'auto. La ragazza non smetteva di piangere e abbracciarmi. Ho ancora la sua faccia davanti agli occhi e quando ci penso non posso fare a meno di piangere. Quando finalmente arriviamo a casa sua, lei vede la madre, la abbraccia e comincia a piangere e urlare: - Non è giusto!
Mentre ero in macchina diretto a casa mia, a est del confine di Gaza City, cinque nuove bombe sono state sganciate proprio sul confine. Ho raggiunto casa mia e ho visto la mia sorellina piangere.
Dio mio, cos'altro dovrei fare in una situazione simile, se non essere forte? Noi non ci arrenderemo mai."
http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=41079
leggi anche http://cipiri.blogspot.it/2012/11/aiutateci-non-lasciare-gaza-da-sola.html
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