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giovedì 5 settembre 2013

Israele nasconde alla palestina 300 milioni l'anno



Israele nasconde alla palestina 300 milioni l'anno

UNCTAD: Tel Aviv non trasferisce a Ramallah molte delle tasse doganali e dell'IVA palestinese. Una somma che corrisponde al 4% del PIL e a 10mila posti di lavoro.
Trecento milioni di dollari di proprietà palestinese rimasti chiusi nelle casse israeliane ogni anno. È il risultato di una stima preliminare dell'UNCTAD, Conferenza delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo: in media ogni anno l'ANP non si vede trasferire da Israele tasse doganali e IVA, imposte su tutti i beni di importazione destinati ai Territori.

A monte, di nuovo, sta il famigerato Protocollo di Parigi, accordo del 1995 firmato dalle autorità israeliane e dall'OLP per regolare le questioni economiche e finanziarie tra i due soggetti. Un accordo che negli anni ha subito durissime critiche: il sistema di relazioni economiche si fonda su una serie di normative che nel tempo hanno fatto l'esclusivo gioco israeliano, rendendo l'economia palestinese ancora più dipendente da quella di Tel Aviv. Tra le previsioni del Protocollo, c'è una normativa che prevede che sia Israele a raccogliere le tasse palestinesi - tra cui quelle doganali e del commercio - per poi rigirarle nelle casse di Ramallah. Molto spesso Tel Aviv ha usato tale prerogativa per fare pressioni politiche sull'ANP, ultimo in ordine di tempo il congelamento del trasferimento delle tasse dello scorso dicembre a seguito del riconoscimento della Palestina come Stato non membro dell'ONU.

E oggi proprio le Nazioni Unite calcolano le perdite palestinesi: circa 300 milioni di dollari ogni anno, il 14% delle tasse totali incassate dall'ANP, una somma ingente soprattutto per un'economia fragile e sempre alla caccia di finanziamenti esterni come quella di Ramallah. In termini economici, una simile perdita corrisponde al 4% del PIL palestinese, al 18% del budget previsto per i salari pubblici e a circa 10mila posti di lavoro, spiega l'agenzia ONU. Secondo l'UNCTAD, i 300 milioni di perdita sono dovuti ad un "trucco": il 39% delle importazioni verso i Territori Occupati - che necessariamente devono passare per Israele a causa del mancato controllo dei confini da parte dell'ANP - vengono fatte entrare in Cisgiordania e a Gaza come fossero beni prodotti in Israele e non in un Paese terzo.

Il valore calcolato dall'UNCTAD, spiega Mahmoud el-Khalif, co-autore del report preliminare, tiene conto solo delle importazioni, ovvero dei beni prodotti in Paesi terzi, importati in Israele e venduti in Palestina. Restano fuori le tasse pagate allo Stato di Israele dai lavoratori palestinesi residenti nei Territori, i redditi connessi alla mancanza di controllo del territorio, dei confini e delle risorse naturali, e le risorse finanziarie relative a beni e servizi importati attraverso il settore pubblico palestinese (come petrolio, energia ed acqua).

A risentirne, secondo il rapporto, è soprattutto la Striscia di Gaza, che ha subito un veloce declino negli ultimi anni sia nel settore agricolo che in quello della pesca a causa delle offensive militari israeliane e del blocco iniziato nel 2007. Ma le conseguenze si fanno sentire anche in Cisgiordania, dove la crescita economica si è ridotta della metà dal 2011 al 2012, attestandosi su un +6%. Le ragioni, secondo le Nazioni Unite, sono tutte legate alle politiche di occupazione israeliane: l'assedio di Gaza, le restrizioni al movimento, il Muro di Separazione e gli oltre 500 checkpoint, le 150 colonie israeliane in territorio palestinese e l'isolamento dell'economia palestinese dai mercati regionali ed internazionali.

Le conseguenze sono lampanti: un'impennata del tasso di disoccupazione (soprattutto di quello giovanile, che si aggira sul 50%) e del tasso di povertà (calcolato nel 2012 al 26%).

http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=85634
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