Il Consiglio di Stato, in Francia, è il giudice di massimo grado per le contestazioni mosse contro
decisioni della pubblica amministrazione. Pane per i suoi denti, dunque, intervenire sui ricorsi avviati contro i provvedimenti presi da una trentina di amministrazioni comunali della Costa Azzurra per vietare il burkini. A proposito di quei provvedimenti il Consiglio di Stato ha decretato che rappresentano “una violazione grave e apertamente illegale delle libertà fondamentali, che sono quelle di movimento, coscienza e libertà personale”. E che non c’è alcun rischio di “turbamento dell’ordine pubblico”.
Fine delle discussioni.
Premetto una cosa: a me il burkini fa orrore, le donne costrette a usarlo mi fanno pena e quelle che lo usano per libera scelta mi risultano incomprensibili. Detto questo, penso che ora bisognerebbe prendere a calci nel sedere per tutta la Costa Azzurra quei trenta sindaci che hanno emesso i decreti. Perché una cosa stupida e ipocrita come questa non si era mai vista. Com’è possibile che un’abbigliamento come il burkini dia fastidio (anzi, sia pericoloso per la sicurezza generale) in spiaggia e il suo omologo non da spiaggia, il velo che lascia liberi solo gli occhi o solo il viso, non dia fastidio per le strade degli stessi centri, nel negozi, nei ristoranti, insomma ovunque ci sia un qualche modo di lucrare sui petrodollari? E
in costa Azzurra si vedono molti più hijab per strada che burkini in spiaggia. Non è certo un caso se a pronunciarsi a favore del divieto sia stato un politico come Nicolas Sarkozy, il demente che da presidente attaccò Muhammar Gheddafi (lo stesso da cui Sarkozy aveva ricevuto denaro per la campagna elettorale) spalancando le porte all’atomizzazione della Libia, al terrorismo e all’insediamento dell’Isis sulla costa rivolta verso l’Europa.
Il Consiglio di Stato di Francia, con il suo intervento, ha anche ricordato una cosa. Il burkini con la religione non c’entra un fico. Non c’è nulla, nel Corano, che imponga quell’abbigliamento. Sul tema dell’abbigliamento, il testo sacro dell’islam interviene nella sura XXIV (La Luce), suggerendo di dire “alle credenti che abbassino gli sguardi e custodiscano le loro vergogne e non mostrino troppo le loro parti
belle, eccetto quel che di fuori appare, e si coprano i seni d’un velo e non mostrino le loro parti belle ad altri che ai loro mariti o ai loro padri o ai loro suoceri o ai loro figli…”; e nella sura XXXIII (Le fazioni alleate), per consigliare «O Profeta! Di’ alle tue spose e alle tue figlie e alle donne dei credenti che si ricoprano dei loro mantelli. Questo sarà più atto a distinguerle dalle altre, e a che non vengano offese”.
Dove il secondo passo è chiaramente un’indicazione di protezione a favore di donne che, nel Settecento dopo Cristo, potevano essere oggetto di molestia o violenza, o diventare vittime collaterali di scontri tribali.Dare al burkini, vietandolo, la dignità del simbolo religioso che non ha, produce due effetti. Il primo, è legittimare ancor più i regimi e le “scuole” islamiche che fanno la stessa operazione, abusiva e tutta politica. Alla lunga, significa legittimare, riconoscendoli come veri interpreti della religione islamica,
persino i tagliagole dell’Isis. Il secondo, è umiliare ancor più le donne, sulle quali viene scaricato, vigliaccamente, il peso del provvedimento. Il tutto, peraltro, corrisponde perfettamente all’atteggiamento francese e occidentale (Italia compresa, ma per fortuna senza divieti imbecilli): massima comprensione,
anzi, riverenza nei confronti dei regimi che non solo del burkini ma dell’oppressione della donna fanno un manifesto politico (per esempio, le monarchie del Golfo Persico, alle quali per esempio ormai appartengono mezza Milano e mezza Parigi); e contro i simboli crociate che, nelle condizioni appena descritte, servono solo a rompere le scatole a un po’ di musulmani, a far guadagnare (forse) qualche
voto ai politicanti e a non cambiare assolutamente nulla nella realtà delle cose.
E infatti di questo si tratta: non vogliamo cambiare nulla, ma proprio nulla. Perché cambiare costa. Può farci perdere qualche buon affare, farci vendere meno armi, obbligarci a tirar fuori un minimo di palle.
Sappiamo da decenni quali Paesi e quali personaggi finanziano il radicalismo islamico in tutto il mondo, e anche i gruppi terroristici. Ma a parte strillare sullo scontro di civiltà dopo ogni attentato, che cosa abbiamo fatto? Nulla. La grande soluzione è rompere le scatole a qualche donna col burkini in spiaggia.
Calci nel sedere a quei trenta sindaci. E se sotto lo scarpone capita Sarkozy, meglio ancora.
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