L'ex pm di Palermo:
«Furono provati i rapporti coi boss mafiosi».
Il rispetto per un morto non va confuso con «il giudizio storico e giudiziario». Su cui, tra l'altro, le «carte parlano chiaro». Giancarlo Caselli, che come procuratore di Palermo portò in tribunale per associazione mafiosa Giulio Andreotti - scomparso il 6 maggio all'età di 94 anni - in un'intervista a Repubblica è tornato sui rapporti tra il leader Dc e senatore a vita e Cosa Nostra.
«AVEVAMO ELEMENTI DI PROVA». «La storia di Andreotti scagionato è una pagina non bella nella vicenda politica e giornalistica italiana», ha spiegato Caselli. «Portammo a processo il senatore Andreotti in base a plurimi elementi di prova», ha aggiunto difendendo l'operato dei pm palermitani, al tempo accusati di aver attaccato un politico di primo piano senza elementi sufficienti.
Elementi che secondo Caselli c'erano eccome. A partire dalle «dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, Francesco Marino Mannoia, che narrò di due incontri, di uno era stato testimone oculare, avvenuti in Sicilia tra lo stesso Andreotti e Stefano Bontade».
LA VICENDA DI PIERSANTI MATTARELLA. Incontri che, come è scritto nella sentenza di appello confermata in Cassazione, avevano per oggetto «la discussione di fatti gravissimi in relazione alla delicatissima questione di Piersanti Mattarella», il capo della Dc siciliana freddato dalla mafia. «Mannoia raccontò che il senatore», ha ricordato Caselli, «era andato una prima volta da Bontade per far cessare le intimidazioni mafiose contro Mattarella. E una seconda volta Andreotti incontrò Bontade per chiedere la ragione dell'assassinio. In nessuno dei due casi Andreotti, che era a conoscenza di circostanze gravissime sull'assassinio di Mattarella, informò mai magistratura e inquirenti».
LA PRIMA ASSOLUZIONE. Nonostante questo, il leader Dc fu assolto. Assoluzione che però, ha tenuto a precisare il pm, riguarda solo i fatti successivi al 1980. Per i reati commessi fino a quella data, infatti, Andreotti è stato riconosciuto colpevole di associazione per delinquere con la mafia. Reati che, però, vennero prescritti. «Tant'è che lo stesso Andreotti fece ricorso contro la sentenza di appello. In 50 anni di magistratura», ha fatto notare Caselli, «non ho mai visto un imputato ricorrere contro la sua assoluzione».
IL BACIO CON RIINA. Un'altra ombra sul passato del sette volte presidente del Consiglio fu senza dubbio il presunto bacio con Totò Riina. Un episodio che venne raccontato dal collaboratore Balduccio Di Maggio, ma che «non venne ritenuto sufficientemente riscontrato dai magistrati giudicanti che però non giudicarono mai Di Maggio per calunnia».
Dopo il processo, Caselli non incontrò più il senatore. Che inviò al pm solo un messaggio. Si tratta della dichiarazione «per cui sarebbe stato meglio», ha concluso Caselli, «che il sottoscritto e Luciano Violante non fossimo mai nati».
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