Il coraggio dei ragazzi del web contro Ahmadinejad
di Rachele Gonnelli
Chiusi i siti, espulsi i giornalisti esteri, incarcerati quelli iraniani - se ne contano 33, l’Iran è diventato il primo della lista per repressione di giornalisti, sorpassando la Cina -, intercettati e poi bloccati gli sms e ora i blogger. L’ultima mannaia che si abbatte sull’ondata di contestazione al regime che ha su Facebook il volto di Saeed Valadbaygi, con i capelli tirati dal gel e il suo amore dichiarato per la pizza. Sparito. Non è certo il primo. È l’ultimo.
La prima vittima acclarata è stata la reporter iraniano-canadese Zara Kazemi, torturata e uccisa nel carcere di Evin. Un caso che ebbe molto risalto perché il fratello si impuntò di chiedere il corpo indietro - un diritto per ogni musulmano - e poi sottoporlo ad autopsia. Era il 2003. Sei anni dopo, il 19 marzo scorso, è stata certificata la morte di Omidreza Mir Sayafi, venticinquenne cybergiornalista. «Morto per troppi farmaci antidepressivi, un suicidio», è stato detto dalle autorità. Era in carcere per quello che scriveva.
Si spera che siano vivi, ma mancano tuttora all’appello anche Hossein Derakhshan e Ali Mazroui. Il primo è il papà della galassia blogger in Iran. Iraniano-canadese anche lui. Arrestato nel novembre scorso appena sceso all’aeroporto Ayatollah Khomeini. Non si hanno più sue notizie da allora, neanche se è stato arrestato e con quali capi d’imputazione. Il secondo, Ali Mazroui, è il presidente dell’associazione giornalisti iraniani. Anche di lui non si hanno notizie da parecchie settimane. Il giro di vite si è nel frattempo stretto ancor di più.
Prima delle elezioni il regime ha oscurato Facebook. Un gesto che, paradossalmente, ha attirato invece che respinto i giovani iraniani verso i social network e la comunicazione via web. Messaggi, video, reportage dalle piazze, foto scattate col cellulare. I testi in lingua farsi vengono poi tradotti in inglese da blogger iraniani espatriati negli Stati Uniti o altrove e rimbalzati sulla Rete. Censurato Facebook, il fiume di notizie si è incanalato sul più agile Twitter. Lì è stato anche trasmesso un sistema per aggirare i controlli: settando i propri interventi, tutti da ogni parte del mondo, sull’ora di Teheran, sembrando cioè tutti iraniani. Messaggi brevi, appuntamenti e uno stringato diario di avvenimenti. L’Onda verde trova ogni canale, ogni fessura nel muro del sistema, per andare avanti. Per darsi appuntamento per le manifestazioni e non correre il rischio di essere intercettati i giovani iraniani ricorrono persino alle scritte sulle banconote. «Oggi tutti a piazza Baharestan», «lo sciopero è andato bene». Certo, niente ha il crisma della verità nel passaparola. Neanche l’identità di Saeed e degli altri. Finché riemergono dalla galera.
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