Emigrazione dal sud Italia: un rubinetto mai chiuso
Lucia Alessi
L'ultimo rapporto della Svimez denuncia un sud Italia sempre più povero, da cui i giovani continuano a fuggire. E un nuovo primato: il paese con il tasso di disoccupazione giovanile più alto d'Europa
Quattro anni fa, il primo allarme: «L’emigrazione dal sud Italia torna ai livelli degli anni ‘60».
Il «Rapporto sull’economia del Mezzogiorno 2009» presentato oggi dalla Svimez, osserva invece il fenomeno nell’arco degli ultimi dieci anni, delineando un quadro a tinte fosche.
Tra il 1997 e il 2008 circa 700mila persone risultano infatti aver abbandonato il Mezzogiorno.
«Caso unico in Europa – sottolinea l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno – l’Italia continua a presentarsi come un paese spaccato in due sul fronte migratorio: a un Centro-nord che attira e smista flussi al suo interno corrisponde un Sud che espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla con pensionati, stranieri o individui provenienti da altre regioni». I posti di lavoro del Mezzogiorno, in particolare, «sono in numero assai inferiore a quello degli occupati. Ed è la carenza di domanda di figure professionali di livello medio-alto a costituire la principale spinta all’emigrazione». Così nel 2008 il Sud ha perso oltre 122mila residenti a favore del Centro-nord, a fronte di un rientro di circa 60mila persone. Oltre l’87 per cento delle partenze ha origine in tre regioni: Campania [25mila], Puglia [12.200], Sicilia [11.600].
Sono stati invece 173mila gli occupati residenti nel Sud, ma con un posto di lavoro al Centro-nord o all’estero, 23mila in più del 2007 [15,3 per cento]. Sono i pendolari di lungo raggio, cittadini a termine che rientrano a casa nel weekend o un paio di volte al mese. Per lo più giovani e con un livello di studio medio-alto: l’80 per cento ha meno di 45 anni e quasi il 50 per cento svolge professioni di livello elevato [il 24 per cento è laureato]. Spesso sono maschi, single, dipendenti full-time in una fase transitoria della loro vita, come l’ingresso o l’assestamento nel mercato del lavoro. Le regioni che attraggono maggiormente i pendolari – secondo il rapporto – sono Lombardia, Emilia Romagna e Lazio. È da segnalare però la crescita dei pendolari meridionali verso altre province del Mezzogiorno, pur lontane dal luogo d’origine: 60mila nel 2008 [erano 24mila nel 2007].
Il fenomeno, quel che è peggio, interessa soprattutto le fasce di giovanissimi, che già nella scelta dell’università si riversano sulle grandi città del Centro-nord, rifiutando un curriculum studiorum «locale». Rispetto ai primi anni 2000, infatti, sono aumentati i giovani che dal sud si trasferiscono al Centro-nord subito dopo il diploma, che si laureano e poi cercano lavoro lì, mentre sono diminuiti i laureati negli atenei meridionali in partenza in cerca di lavoro dopo la laurea.
In vistosa crescita anche le partenze dei laureati «eccellenti»: nel 2004 partiva il 25 per cento dei laureati meridionali con il massimo dei voti; tre anni più tardi la percentuale è balzata a quasi il 38 per cento. La mobilità geografica Sud-Nord – conclude lo Svimez – permette una mobilità sociale. I laureati meridionali che si spostano dopo la laurea al Centro-nord vanno incontro a contratti meno stabili rispetto a chi rimane, ma a uno stipendio più alto. Il 50 per cento dei giovani «immobili al Sud» non arriva a 1.000 euro al mese, mentre il 63 per cento di chi è partito dopo la laurea guadagna tra 1.000 e 1.500 euro e oltre il 16 per cento più di 1.500 euro.
In calo il lavoro sommerso, ma al sud un lavoratore su 5 è ancora in nero. Durante il 2008 al Sud ci sono stati 22mila lavoratori irregolari in meno, «per effetto anche della campagna di regolarizzazione degli stranieri, soprattutto nel settore edile». In Italia – spiega il rapporto – i lavoratori in nero sono stimati in 2,943 milioni nel 2008, ovvero l’11,8 per cento del totale. Gli occupati sono cresciuti al Centro-nord di 217mila unità, mentre sono scesi di 34mila nel Sud.
Dati che non dovrebbero sorprendere, a giudicare dalle accese polemiche che anche quest’anno hanno accompagnato numerosi provvedimenti, a partire dalla manovra finanziaria dell’estate 2008, che dall’inizio della legislatura riducevano la dotazione dei Fondi per le aree sottoutilizzate [Fas] per il periodo 2007-2013 di ben 13.269,5 milioni di euro.
«Il quadro – conclude lo Svimez – diventa sconsolante se confrontato con le dinamiche economiche degli altri Paesi europei». In dieci anni, dal 1995 al 2005, le regioni meridionali sono sprofondate nella classifica europea, situandosi in posizioni comprese tra la 165esima e la 200esima su un totale di 208. Un processo «in decisa controtendenza con le altre aree deboli Ue, che sono cresciute mediamente del 3 per cento annuo dal 1999 al 2005, mentre il Sud si è fermato a 0,3 per cento».
«All’Italia – conclude lo Svimez – spetta il non invidiabile primato del tasso di disoccupazione giovanile più alto in Europa, di cui è responsabile soprattutto il Mezzogiorno. Nel 2008 solo il 17 per cento dei giovani meridionali in età 15-24anni ha lavorato, contro il 30 per cento del Centro-nord».
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