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lunedì 19 settembre 2011

Conseguenze di un riconoscimento dello Stato di Palestina

 

 

LA DEBOLEZZA DELL’ANP, SENZA VERA LEGITTIMITA’ SOCIALE

Il rapporto tra leadership, partiti e movimenti da un lato, e base sociale dall’altro rappresenta un elemento fondamentale per comprendere ciò che sta avvenendo all’interno del campo politico palestinese e le conseguenze di un possibile riconoscimento dello Stato di Palestina.



Il 20 settembre la leadership palestinese dell’OLP presenterà richiesta formale alle Nazioni Unite diammissione nel consesso mondiale dello Stato di Palestina sulla base dei confini del 1967. Le precise modalità di tale richiesta non sono ancora note, sebbene da tempo giuristi ed esperti sostengonocome l’esito più praticabile e realistico sia quello di una risoluzione dell’Assemblea Generale che modifichi la posizione dell’OLP in quella di Stato non membro, considerando l’ormai sicuro veto americano in seno al Consiglio di Sicurezza per quanto riguarda la richiesta di un totale accoglimento.
Il significato politico di un voto favorevole all’ONU, in qualunque forma esso arriverà, conferirà ai palestinesi qualche arma in più a livello legale e internazionale e una posizione finalmente paritaria nelle negoziazioni, anche se nell’immediato cambierà poco sul terreno. Ci si potrebbe chiedere perché la leadership non abbia impiegato la stessa energia già a partire dal 2004, quando il parere della Corte Internazionale di Giustizia giudicò illegale la costruzione del muro di separazione. Ma in quel periodo la leadership era nel pieno della Seconda Intifada e solo alcuni movimenti della società civile provarono a spingere per una campagna internazionale, sebbene fossero poco uniti e coordinati all’interno di una strategia nazionale. Proprio il rapporto tra leadership, partiti e movimenti da un lato, e base sociale dall’altro rappresenta un elemento fondamentale per comprendere ciò che sta avvenendo all’interno del campo politico palestinese e le conseguenze di un possibile riconoscimento dello Stato di Palestina.
Dal punto di vista dei partiti e movimenti quasi tutto l’arco politico palestinese sostiene il tentativo di Abu Mazen di percorrere la strada della legittimità internazionale, da Fatah, ormai ridotto a polveroso partito di maggioranza in perenne fase di cambiamento al Partito popolare, dal Fronte Democratico sino a Mustafa Barghouti, leader di al-Mubadara e promotore dell’iniziativa palestinese in seno all’ONU. Hamas ha avuto un atteggiamento piuttosto ambiguo e disinteressato nei confronti del percorso diplomatico; inizialmente il leader Khaled Meshal aveva affermato che non avrebbe posto ostacoli a questo tentativo, che s’inseriva, tra l’altro, nell’ambito dell’accordo di riconciliazione tra Fatah e Hamas sottoscritto al Cairo nel maggio scorso. Successivamente si sono sollevate voci contrarie all’interno del movimento islamico, tra cui quella di Mahmoud al-Zahar, leader di Hamas a Gaza, che ha bollato il tentativo diplomatico come inutile e politicamente irrilevante, affermando l’intenzione di vietare a Gaza qualsiasi manifestazione popolare a supporto dell’iniziativa.
Dal punto di vista della leadership dell’OLP, la richiesta di ammissione all’ONU rappresenta il passaggio definitivo dalla creazione di uno Stato sulla base di una legittimità rivoluzionaria a una legittimità puramente istituzionale, rappresentando il punto finale della parabola iniziata con la dichiarazione d’indipendenza del 1988 e gli Accordi di Oslo nel 1993. L’OLP è, infatti, rappresentante di tutti i palestinesi nel mondo, quelli che vivono nei Territori e quelli che fanno parte della Diaspora, per cui la modifica della posizione dell’OLP che da osservatore diventerebbe Stato non membro nei confini del 1967, se da un lato realizza l’aspirazione territoriale, dall’altro eliminerebbe una volta per tutte il problema del diritto al ritorno dalla questione palestinese. In verità, la richiesta di ammissione alle Nazione Unite pone molti dubbi rispetto a questo problema che avrà delle conseguenze determinanti sul futuro dello Stato di Palestina. Tuttavia, mentre nel periodo 1988-1993, non a caso quello della Prima Intifada, il coinvolgimento popolare era forte e aveva rappresentato la base per gli anni immediatamente successivi agli Accordi, nel presente tentativo diplomatico la leadership si presenta senza un sostegno o un mandato popolare: è l’Autorità Nazionale Palestinese, il governo dei Territori senza una vera legittimità sociale, ma dotato di istituzioni politiche in grado di funzionare, che si presenta alle Nazioni Unite indossando la maschera dell’OLP per provare a giocare quella che sembra l’ultima carta possibile. Dal punto di vista dei movimenti popolari, infine, solo nelle ultime settimane essi hanno espresso interesse e ferma convinzione nel sostenere l’iniziativa diplomatica e sono pronti a manifestare nei giorni immediatamente successivi alla richiesta alle Nazioni Unite. A questo punto gli scenari si moltiplicano: se ci sarà una risoluzione positiva per i palestinesi, anche solo da parte dell’Assemblea Generale, allora il risultato simbolico a livello internazionale sarà importante, ma dovrà necessariamente fare i conti all’interno, non solo con la realtà dell’occupazione israeliana, ma anche con le richieste della popolazione e con il necessario recupero di un contatto con la base sociale, che, in caso di risoluzione negativa, non si esclude possa passare attraverso le piazze di un autunno palestinese.

 PAOLO NAPOLITANO – ISPI*

*questo aticolo e’ stato pubblicato il 12 settembre 2011 da Ispi (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) ed e’ consultabile nella sua versione originale al link seguente:
http://www.ispionline.it/it/documents/Commentary_Napolitano_12.09.2011.pdf

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