La Corte Ue boccia l'Italia:
le concessioni sulle spiagge vanno messe all'asta
Secondo la Corte di giustizia la proroga automatica e generalizzata fino al 31 dicembre 2020 per lo sfruttamento turistico di beni demaniali marittimi prevista dalla legge italiana "impedisce di effettuare una selezione imparziale e trasparente dei candidati"
L'Italia impegnata a negoziare con l'Unione europea il salvataggio della banche e la tutela dei risparmiatori che rischiano di vedere bruciati miliardi di risparmi, incassa dalla Corte europea di giustizia uno schiaffo sonoro che potrebbe bruciare migliaia di posti di lavoro e milioni di euro investiti. "Le concessioni sulle spiagge italiane vanno messe a gara" scrive nero su bianco il tribunale di Lussemburgo nella sentenza pubblicata oggi con la quale spiega come la proroga automatica e generalizzata fino al 31 dicembre 2020 per lo sfruttamento turistico di beni demaniali marittimi prevista dalla legge italiana "impedisce di effettuare una selezione imparziale e trasparente dei candidati". Tradotto: da oggi le circa 30mila imprese attive sul territorio italiano rischiano di essere considerate "abusive".
Sul caso l'attenzione del settore italiano è puntata da mesi: la normativa nazionale prevede una proroga automatica e generalizzata della data di scadenza delle concessioni rilasciate, anche senza previa procedura di selezione, per lo sfruttamento turistico di beni demaniali marittimi e lacustri (spiagge in particolare). Nonostante tale legge, tuttavia, ad alcuni operatori privati del settore turistico è stata negata la proroga delle concessioni. Di qui il ricorso contro tali provvedimenti di diniego. Per risolvere la questione i giudici italiani si sono rivolti alla Corte di Giustizia che oggi ha sottolineato come spetti al giudice nazionale verificare se le concessioni italiane debbano essere oggetto di un numero limitato di autorizzazioni per via della scarsità delle risorse naturali.
La decisione di Lussemburgo era in qualche modo attesa dopo che la proroga delle concessioni aveva già incassato il 'no' della Commissione europea, in quanto in contrasto con la direttiva che per le concessioni demaniali prevede l'assegnazione tramite asta pubblica. Secondo l'Ue, infatti, si tratta di "servizi su suolo pubblico" e in quanto tali devono essere aperti alla libera concorrenza come stabilito dalla direttiva Bolkestein, una norma del 2006 entrata in vigore in Italia nel gennaio del 2010.
Nel caso in cui la direttiva sia applicabile, quindi, "il rilascio di autorizzazioni relative allo sfruttamento economico del demanio marittimo e lacustre deve essere soggetto a una procedura di selezione tra i potenziali candidati, che deve presentare tutte le garanzie di imparzialità e di trasparenza (in particolare un'adeguata pubblicità)". La proroga automatica delle autorizzazioni "non consente di organizzare una siffatta procedura di selezione".
Certo, la direttiva permette agli Stati di tener conto - nello stabilire la procedura di selezione - di motivi imperativi di interesse generale, come la necessità di tutelare il legittimo affidamento dei titolari delle autorizzazioni di modo che possano ammortizzare gli investimenti effettuati, ma "considerazioni di tal genere non possono giustificare una proroga automatica, qualora al momento del rilascio iniziale delle autorizzazioni non sia stata organizzata alcuna procedura di selezione". L'articolo 12 della direttiva vieta una misura nazionale che, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati, prevede la proroga automatica delle autorizzazioni di sfruttamento del demanio marittimo e lacustre per attività turistico-ricreative.
La Corte precisa, infine, che, nel caso in cui la direttiva non fosse applicabile e qualora una concessione siffatta presenti un interesse transfrontaliero certo, "la proroga automatica della sua assegnazione a un'impresa con sede in uno stato membro costituisce una disparità di trattamento a danno delle imprese con sede negli altri stati membri e potenzialmente interessate a tali concessioni, disparità di trattamento che è, in linea di principio, contraria alla libertà di stabilimento". Il principio della certezza del diritto, che mira a consentire ai concessionari di ammortizzare i loro investimenti, "non può essere invocato per giustificare una tale disparità di trattamento, dal momento che le concessioni sono state attribuite quando già era stato stabilito che tale tipo di contratto (che presenta un interesse transfrontaliero certo) doveva essere soggetto a un obbligo di trasparenza".
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