come usare le parole vanvera
Nel mondo parallelo in cui vive Matteo Salvini forse le notizie arrivano in ritardo, ed è teoricamente possibile che venerdì lui non sapesse ancora che per un uomo politico oggi non è considerato gaffe imperdonabile ma offesa grave . Sul palco della festicciola leghista di Soncino, quando ha visto un pupazzo di plastica accanto all’orchestrina e ha commentato, ridacchiando, «c’è una sosia della Boldrini qua sul palco», il segretario della Lega Nord era perfettamente consapevole della villania palese e della trivialità implicita che esprimeva paragonando la presidente della Camera a una bambola gonfiabile, che
nell’immaginario del maschio italico è l’onanistico surrogato della femminilità.
Eppure l’ha detta, quella frase. E ha sbagliato due volte. Prima di tutto perché ha spalancato la porta sullo squallido presepe sessista che ancora oggi domina i pensieri del successore di Bossi — quello che dal palco di Pontida, ricordate?, fece il gesto dell’ombrello alla ministra Margherita Boniver — rivelando in quello stesso istante di non essere sideralmente lontano da un altro gaffeur del Carroccio, quel Roberto Calderoli che osò dire della ministra Cecile Kyenge « quando vedo la sua foto non posso
non pensare a un orango » , e pur avendo l’aggravante di essere vicepresidente del Senato venne scandalosamente sottratto al giudice dai suoi onorevoli colleghi. Ci sono parole che non dovrebbero mai essere pronunciate da chi siede in Parlamento, ed è perfetta per sobrietà ed eleganza la risposta che la presidente Boldrini ha dato al segretario leghista
che l’ha offesa in pubblico:
« La lotta politica si fa con gli argomenti, per chi ne ha».
Ma l’errore più grave di Salvini non è lessicale, è politico. Quest’uomo che fino a qualche settimana fa batteva l’Italia in lungo e in largo — cambiando la felpa a seconda della città in cui comiziava, colpito da una inedita sindrome di Fregoli: la sindrome felpata — presentandosi come il nuovo leader del centrodestra, come il conducator che avrebbe tolto a Berlusconi lo scettro del comando e spodestato Renzi cavalcando la paura degli immigrati e la rabbia degli esodati, oggi scopre di essere improvvisamente diventato irrilevante, nella partita del potere. Sognava di espugnare le grandi città, e invece è stato sconfitto a Milano, battuto a Bologna, messo fuori gioco a Roma — la piazza scelta per dare una lezione all’ex Cavaliere — e addirittura umiliato nell’ex roccaforte leghista di Varese.
Progettava di prendere il comando del centrodestra, e oggi assiste disorientato alla metodica scalata di Stefano Parisi. Voleva duellare con il presidente del Consiglio per Palazzo Chigi e ora si accorge che il rivale di Renzi si chiama Grillo ( o Di Maio). Era l’ospite più conteso dai talk-show, e si ritrova sul palco di una festa di provincia a fare battute da addio al celibato. Fa venire in mente la celebre scena di Frankenstein Junior, quella in cui Gene Wilder dice: «Che lavoro schifoso». «Potrebbe andare peggio» gli risponde Marty Feldman. «Potrebbe piovere» .
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